Penale

Costruire una strada senza autorizzazione è reato e comporta le conseguenti responsabilità penali

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di Andrea Magagnoli

La costruzione di un tratto stradale in area protetta, in assenza di apposita autorizzazione, configura i reati di cui all'articolo 44, comma 1, lettera c) del Dpr 6 giugno 2001 n. 380 e dell’articolo 181, comma 1 , del Dlgs 22 gennaio 2004 n. 42. Questa è la decisione presa della Corte di cassazione con la recente sentenza 50138/2018, nell'individuazione delle responsabilità penali conseguenti a un’opera realizzata in una sede soggetta a vincoli ambientali.

La questione veniva portata all'esame degli ermellini, a seguito del ricorso avverso a una sentenza della Corte di Appello di Napoli, la quale condannava gli imputati alle pene di legge, per aver realizzato un tratto di strada in un’area d'interesse pubblico in assenza di prescritta autorizzazione.

Deducevano sul punto i ricorrenti, in tre appositi motivi di ricorso, l'evidente illegittimità della decisione di merito.

Rappresentava il primo dei ricorrenti come l'intervento edilizio posto in essere non apportava innovazioni al paesaggio, tanto da non costituire reato, trovandosi al di fuori delle ipotesi previste dalla normativa penale che ricomprende le sole opere dirette a modificare la zona oggetto di vincolo paesaggistico; non solo, ma ulteriori aspetti d' illegittimità questa volta di carattere formale, potevano essere rilevati nella mancata considerazione da parte del giudice del merito dell'omessa indicazione del vincolo urbanistico che caratterizzava l'area e che impediva ogni intervento edilizio; il secondo dei ricorrenti invece deduceva anche esso, in apposito motivo, la mancata prova circa la sua responsabilità, osservando come fosse del tutto estraneo all'attività illecita svoltasi sul terreno di cui era proprietario e come dal semplice rapporto di coniugio, in assenza di altri elementi indizianti, non si potessero trarre considerazioni di alcun tipo circa il suo coinvolgimento nella realizzazione dell'opera vietata.

Il ricorso viene rigettato riguardo alla posizione di uno degli imputati, con l'assoluzione invece del secondo, per i reati ascritti non potendosi rilevare alcuna responsabilità a suo carico.

La motivazione si apre con l'esame delle contestazioni a carico del principale dei due imputati, ovvero di quello che materialmente aveva realizzato l' intervento ritenuto illecito.
Rilevano gli ermellini, come la natura dell'intervento, configurava a ogni modo una nuova costruzione idonea a modificare la situazione paesaggistica ambientale, tanto che in area soggetta a vincolo si rendeva necessaria un’apposita autorizzazione, mancante nel caso di specie, pertanto la sua realizzazione costituiva illecito, con la conseguente applicazione delle sanzioni penali, previste dalla normativa.

Sul punto l'operato del giudice del merito, pare perfettamente rispondente alla legge, e non può essere censurato in alcun modo.

L' orientamento dei giudici di legittimità, infatti era assolutamente uniforme, nel ritenere che qualunque tipo di intervento, anche di lieve entità realizzato però in zona soggetta a vincolo urbanistico, necessitasse di un’autorizzazione diretta a consentirlo.

In seguito gli ermellini, proseguivano con l'esame del secondo dei motivi di ricorso, in questo caso relativo all'assenza nel capo d'imputazione dell'espressa indicazione del vincolo paesaggistico nella sede dove era stato effettuato l'intervento. Secondo i giudici supremi , anche se risponde al vero che il provvedimento sul vincolo non era espressamente indicato, esso poteva comunque essere ricavato da un altro atto, sia pure molto risalente nel tempo, ma che comunque consentiva la compiuta identificazione della zona oggetto della condotta illecita, quale sede nella quale non potevano essere svolte opere in assenza di apposito nulla osta.

Pertanto in capo al ricorrente incombeva l' obbligo di richiedere l'autorizzazione, in realtà mai ottenuta: la sua opera era stata dunque realizzata in assenza dei presupposti di legge, con la configurazione dei reati previsti per i casi come quello di specie .

Quindi, in relazione alla posizione di uno degli imputati, viene confermata in pieno la decisione del giudice di merito con il rigetto del ricorso.

La situazione si presenta in maniera ben diversa per il secondo imputato, moglie del primo che aveva realizzato materialmente l'opera illegittima. Secondo la Corte suprema, dal semplice rapporto di coniugio, senza altri elementi indizianti quali ad esempio la presenza del soggetto nei luoghi ove era stata realizzata l'opera, non poteva automaticamente dedursi la consapevolezza dell'attività illecita, posta in essere da altri, con la conseguente applicazione delle relative sanzioni.

In mancanza di tale prova, l' imputazione a carico del secondo degli imputati viene ritenuta infondata, con il conseguente annullamento della sentenza a suo carico.

Cassazione - Sezione II penale – Sentenza 7 novembre 2018 n. 50138

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