Comunitario e Internazionale

Cure in Paesi Ue rimborsate anche se non autorizzate

I costi sostenuti in uno Stato membro non di residenzavanno coperti interamente

di Marina Castellaneta

Le cure mediche sostenute in uno Stato membro, diverso da quello della residenza, devono essere rimborsate integralmente anche se il paziente non ha ottenuto l’autorizzazione a curarsi all’estero dall’istituzione sanitaria competente. È poi contrario al diritto Ue, l’obbligo di presentare, per ottenere l’autorizzazione, un parere del medico del proprio Stato di residenza. È la Corte di giustizia dell’Unione europea a stabilirlo con la sentenza del 6 ottobre (C-538/19) che amplia le possibilità di scelta delle cure e semplifica l’iter per i malati che vogliono curarsi all’estero.

Il caso

La vicenda aveva preso il via da una controversia tra gli eredi di un cittadino rumeno che, ammalatosi di tumore, dopo avere ottenuto la diagnosi e un parere del suo medico, aveva deciso di chiedere un consulto in Austria. Il medico austriaco gli aveva suggerito di non sottoporsi all’intervento chirurgico, ma di optare per un trattamento di radioterapia, chemioterapia e immunoterapia che avrebbe avuto lo stesso grado di efficacia dell’intervento senza causargli una grave disabilità.

Il paziente aveva chiesto il modulo E 112, ma per ottenere il rimborso integrale delle cure sostenute avrebbe dovuto presentare una prescrizione medica sulla necessità di sottoporsi a quel trattamento redatta da un medico indicato dall’istituzione nazionale competente, accompagnata da altri documenti. Una giungla burocratica che aveva portato il paziente ad andare in Austria per curarsi senza presentare i documenti richiesti.

Il rimbrso parziale

Il rimborso concesso non era stato integrale, ma calcolato in base alle tariffe applicate in Romania per una cifra corrispondente a soli 8.240 euro. Gli eredi avevano avviato un’azione giudiziaria e la Corte di appello di Costanza (Romania) ha chiesto chiarimenti agli eurogiudici sull’interpretazione del regolamento 883/2004 sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale.

Il Trattato

Prima di tutto, la Corte Ue ha precisato che una prestazione medica fornita dietro un corrispettivo rientra nella prestazione dei servizi e, quindi, deve essere applicato l’articolo 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che include anche il diritto del paziente a spostarsi nello spazio Ue per ottenere un servizio. È vero – osserva Lussemburgo – che l’articolo 56 non impedisce a uno Stato membro di richiedere un’autorizzazione preventiva, ma a condizione che essa sia giustificata «alla luce di esigenze imperative di interesse generale».

Tra queste esigenze può rientrare il rischio di una grave alterazione dell’equilibrio finanziario del sistema di previdenza sociale, necessario per assicurare un servizio medico accessibile a tutti, ma a patto che venga circoscritta la discrezionalità decisionale delle autorità nazionali per evitare discriminazioni e provvedimenti arbitrari.

Pesa lo stato di salute

Se, quindi, l’autorizzazione non è di per sé incompatibile con il diritto Ue, lo diventa se non si tiene conto dello stato di salute dell’interessato e della necessità di ottenere urgentemente le cure mediche. Non solo. Per la Corte, non si può richiedere che il parere medico da presentare a sostegno della domanda di autorizzazione preventiva sia redatto obbligatoriamente da un medico appartenente al sistema sanitario dello Stato membro di residenza del paziente interessato.

Una simile richiesta è incompatibile con l’articolo 20 del regolamento 883/2004 perché disincentiva il ricorso a prestazioni sanitarie transfrontaliere tanto più che non è garantito che il parere di un medico di un altro Stato membro sia preso in considerazione dall’istituzione nazionale dello Stato di residenza del paziente.

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