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"Dieselgate", no a doppia sanzione per Volkswagen - Cgue: ha già pagato 1mld di euro in Germania

Per la Corte Ue, sentenza n. C.27/22 di oggi, va applicato il principio del ne bis in idem: no alla "multa" da 5mln di euro dell'Agcm italiana

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di Francesco Machina Grifeo

L'Autorità Antitrust italiana (Agcm) resta a bocca asciutta rispetto alla sanzione da 5mln di euro irrogata a Volkswagen per il "dieselgate". Il colosso automobilistico infatti ha saldato il suo debito con la giustizia comunitaria pagando la ben più cospicua sanzione di 1miliardo di euro in Germania, a seguito dell'azione promossa dalla Procura di Braunschweig per illeciti amministrativi collegati alla installazione di un software che alterava la misura delle emissioni delle auto commercializzata dal 2009. Lo ha stabilito la Corte Ue, sentenza nella causa C-27/22 depositata oggi, affermano che il principio del "ne bis in idem" si applica anche alle sanzioni irrogate per pratiche commerciali sleali qualificate come sanzioni amministrative di natura penale. In tal modo viene escluso che possa essere avviato o proseguito un procedimento penale per gli stessi fatti, qualora esista una decisione definitiva, anche se successiva.

La vicenda – Nell'agosto 2016, l'Agcm ha irrogato alla Volkswagen Group Italia SpA (VWGI) e alla Volkswagen Aktiengesellschaft (VWAG) una sanzione pecuniaria per pratiche commerciali scorrette. La misura era collegata, da un lato, alla commercializzazione di veicoli diesel in Italia contenenti un software che consentiva di alterare la misurazione dei livelli di emissioni di ossidi di azoto (NOx) in occasione dei test di controllo e, dall'altro, la diffusione di messaggi pubblicitari che ne evidenziavano la conformità ai criteri europei. Contro questa decisione le società hanno proposto ricorso al Tar Lazio.

Nel frattempo, la Procura tedesca ha irrogato alla VWAG una sanzione pecuniaria di importo di 1 miliardo di euro per aver violato la legge sugli illeciti amministrativi che sanziona le violazioni colpose dell'obbligo di vigilanza sull'attività delle imprese, in relazione sempre allo sviluppo del software e alla sua installazione su 10,7 milioni di veicoli diesel (di cui 700mila venduti in Italia). La decisione tedesca è divenuta definitiva il 13 giugno 2018, in quanto la VWAG ha versato la sanzione pecuniaria e ha formalmente rinunciato a proporre ricorso. A questo punto le società hanno dedotto l'illegittimità sopravvenuta della decisione italiana per violazione del principio del ne bis in idem, sancito dall'articolo 50 della Cedu.

La motivazione - Il Cds ha chiesto lumi alla Cgue che ha risposto in senso affermativo: le sanzioni irrogate per pratiche commerciali sleali sono qualificabili come sanzioni amministrative di natura penale. Ed ha individuato tre criteri: 1) l'articolo 50 della Carta si applica anche a procedimenti non qualificati come «penali» ma che debbano considerarsi come "aventi natura penale"; 2) la sanzione deve poi perseguire una finalità repressiva; 3), deve essere "severa" con riguardo alla pena massima prevista.

Alla luce di questi tre criteri, la Corte ha concluso che, benché sia qualificata come sanzione amministrativa dalla normativa nazionale, una sanzione pecuniaria irrogata a una società dall'autorità nazionale competente in materia di tutela dei consumatori per sanzionare pratiche commerciali sleali costituisce una sanzione penale quando persegue una finalità repressiva e presenta un elevato grado di severità.

La Corte inoltre ha chiarito che il principio del ne bis in idem osta a una normativa nazionale che consente il mantenimento di una sanzione pecuniaria penale inflitta a una persona giuridica per pratiche commerciali sleali nel caso in cui essa abbia riportato una condanna penale per gli stessi fatti in un altro Stato membro, anche se tale condanna è successiva ma è divenuta definitiva prima che la sentenza sul ricorso giurisdizionale proposto avverso tale decisione sia passata in giudicato.

Infine, la Corte dichiara che è autorizzata la limitazione dell'applicazione del principio del ne bis in idem, in modo da consentire un cumulo di procedimenti o di sanzioni per gli stessi fatti, qualora siano soddisfatte tre condizioni: il cumulo non deve rappresentare un onere eccessivo per l'interessato, norme chiare e precise devono consentire di prevedere quali atti e omissioni possano essere oggetto di cumulo e, infine, i procedimenti devono essere stati condotti in modo sufficientemente coordinato e ravvicinato nel tempo.

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