Diffamazione per l'esposto dell'avvocato che chiama il collega "villano"
Per la Cassazione, non opera l'esimente ex art. 598 c.p. l'espressione usata non consiste nella prospettazione di dubbi sull'operato del legale o di violazioni di regole proprie della professione legale
Scatta il reato di diffamazione a carico dell'avvocato che in un esposto al Consiglio dell'ordine apostrofa il collega come un "villano". E a nulla serve invocare l'esimente degli atti giudiziari ex articolo 598 c.p. Così, la quinta sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 697/2022.
La vicenda
Nella vicenda, il tribunale di Firenze confermava la sentenza di condanna per il reato di diffamazione a carico di un'avvocatessa che aveva presentato esposto al locale consiglio dell'ordine degli avvocati nei confronti di un collega offendendone la reputazione e descrivendo, contrariamente al vero, episodi di mancanza di lealtà e di correttezza.
La donna, condannata anche al risarcimento dei danni in favore della parte civile liquidati in euro 1.500, proponeva quindi ricorso per cassazione articolando le doglianze su tre motivi.
Le tesi difensive
Col primo denunciava erronea applicazione dell'articolo 595 c.p. in relazione all'articolo 51, in quanto nel caso di specie, a suo dire, non erano stati travalicati i limiti del corretto esercizio del diritto di critica, laddove erroneamente la sentenza impugnata aveva escluso che la parte convenuta per responsabilità professionale e la propria assicurazione costituissero un unicum procedurale, mentre, a fronte del comportamento tenuto dall'avvocato che non aveva salutato la collega ed era stato apostrofato con l'epiteto "villano", legittimamente era stato esercitato il diritto di critica.
Col secondo motivo denunciava erronea applicazione dell'articolo 595 c.p. in relazione all'articolo 598 cod. pen., erroneamente ritenuto non applicabile al caso di specie.
Con il terzo, infine, denunciava vizi di motivazione in relazione al quantum del risarcimento del danno.
Espressione diffamatoria
Per gli Ermellini, il ricorso non merita accoglimento e va rigettato in toto.
La sentenza impugnata, affermano preliminarmente, infatti, "ha fondato il giudizio di sussistenza del fatto diffamatorio correlandolo all'espressione ‘villano' utilizzata dall'imputata nell'esposto contro il collega avvocato, espressione che, ad avviso del giudice di appello, contiene un'evidente carica dispregiativa ed è comunemente avvertita come espressiva di una chiara volontà di offendere la reputazione della persona cui viene riferita". Il ricorso dell'imputata tra l'altro non articola alcuna specifica doglianza, ma si limita a far riferimento al mancato saluto "in udienza", ossia a un diverso contesto, il che rende, per questa parte, il motivo versato in fatto.
Nel resto, poi, "l'espressione utilizzata non consiste nella prospettazione di dubbi o perplessità sull'operato del legale o di violazioni di regole deontologiche proprie della professione legale, sicché risultano inconferenti i richiami giurisprudenziali proposti".
L'esimente ex articolo 598 cp
Quanto all'esimente di cui all'articolo 598 c.p. chiariscono, inoltre, dal Palazzaccio, questa non è applicabile agli esposti inviati al Consiglio dell'Ordine forense, come nel caso di specie, in quanto l'autore dell'esposto non è parte nel successivo giudizio disciplinare e l'esimente in parola attiene agli scritti difensivi in senso stretto, con esclusione di esposti e denunce (cfr., tra le altre, Cass. n. 8421/2019).
Da qui il rigetto del ricorso, complessivamente valutato, e la condanna dell'imputata anche alle spese processuali del giudizio di legittimità.