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Diritto alla provvigione, la Cassazione torna sulle clausole vessatorie

E’ vessatoria la clausola che riconosce il diritto del mediatore alla provvigione dopo la scadenza del contratto qualora l’affare venga concluso da un familiare

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di Beatrice Molteni

La Corte di Cassazione si pronuncia in tema di clausole predisposte unilateralmente dal mediatore, rilevando come le stesse debbano considerarsi vessatorie ed abusive, ai sensi dell’art.1341 c.c. e dell’art.33 del Codice del Consumo, nei casi in cui riconoscano il diritto alla provvigione, dopo la scadenza del contratto e senza limiti di tempo, da parte di un soggetto che si sia avvalso dell’attività del mediatore, qualora l’affare sia stato successivamente concluso da un familiare, società o persona “riconducibile”.

I fatti di causa

La controversia origina da un contratto di mediazione concluso tra un’agenzia immobiliare e la proprietaria di un immobile sito in Roma, avente ad oggetto la locazione dell’immobile medesimo.

In relazione al predetto immobile, veniva sottoscritta una proposta di locazione, con contestuale impegno al riconoscimento al mediatore di una provvigione, anche nell’ipotesi in cui l’affare venisse concluso dopo la scadenza dell’incarico da parte di familiari o persone riconducibili alla proponente.

La proposta non veniva accettata ma, scaduto il mandato, l’immobile veniva effettivamente locato al marito della proponente.

L’agenzia immobiliare promuoveva quindi un giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Roma ai fini del pagamento della provvigione sia nei confronti della proprietaria, sia nei confronti della proponente.

Il Giudice di Pace accoglieva la domanda formulata dal mediatore, con condanna di entrambe le parti convenute al pagamento della provvigione.

Avverso la suddetta sentenza solo la proponente proponeva appello dinanzi al Tribunale di Roma che lo accoglieva, dichiarando come nulla fosse dovuto all’agenzia immobiliare, difettando la prova del nesso causale tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare.

L’agenzia immobiliare proponeva quindi ricorso per Cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Roma sollevando due motivi di ricorso.

Con il primo motivo di ricorso veniva dedotto l’omesso esame da parte del Tribunale di fatti o documenti controversi decisivi per il giudizio, ai sensi dell’art.360, comma 1, n.5 c.p.c., costituiti dalla circostanza che la resistente avesse visitato l’immobile con il marito, avesse effettuato una proposta di locazione rifiutata dalla proprietaria e che, dopo la scadenza dell’incarico con l’agenzia immobiliare, il contratto di locazione fosse stato concluso dal coniuge, con conseguente prova del nesso di causalità tra l’attività di mediazione e la conclusione dell’affare.

Con il secondo motivo di ricorso veniva dedotta la violazione dell’art.2697 c.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., in quanto il Tribunale avrebbe errato nell’applicazione del principio dell’onere della prova circa l’esistenza di un nesso causale tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare, a fronte dell’assolvimento da parte del mediatore dell’onere probatorio, avendo documentato l’attività di mediazione svolta in favore della resistente, l’esito positivo di tale attività, sfociata nella proposta di locazione non accettata dalla proprietaria, la conclusione del contratto da parte del marito e l’esistenza di un obbligo contrattuale di corrispondere la mediazione in caso di contratto concluso con persone a lei riconducibili dopo la scadenza dell’incarico.

La proponente depositava controricorso deducendo la violazione degli artt. 1341 c.c. e degli artt.33 e 34 del D. Lgs 206 del 2005 (Codice del Consumo), ai sensi dell’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., a fronte della nullità della clausola con cui si era obbligata a corrispondere il compenso al mediatore anche nel caso in cui l’immobile fosse stato locato dopo la scadenza dell’incarico, qualora il contratto fosse stato concluso da parte di soggetti ad essa riconducibili (familiari, società partecipate), rilevando come tale clausola, essendo stata redatta su un modulo predisposto dall’agenzia immobiliare, limitasse la libertà contrattuale nei rapporti con i terzi senza limiti di tempo, sicché avrebbe richiesto la specifica approvazione per iscritto, attesa la sua natura vessatoria, determinando altresì un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto in cui è parte un consumatore.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione con sentenza n. 785 depositata in data 9 gennaio 2024 accoglieva il ricorso principale e quello incidentale, cassando la sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Roma in persona di altro magistrato.

La Suprema Corte accoglie i due motivi di ricorso principale, precisando che ai fini del riconoscimento del diritto del mediatore alla provvigione ex art. 1755, comma 1, c.c., occorre richiamare il principio di causalità adeguata, secondo cui spetta al giudice accertare non solo la messa in relazione delle parti da parte del mediatore, ma anche il carattere adeguato dell’apporto causale di quest’ultimo, per giungere a ritenere che la conclusione dell’affare sia l’effetto dell’intervento del mediatore (Cass. civ., Sez. II, 02 febbraio 2023, n.3165)

La Suprema Corte precisa poi che per recidere il nesso causale tra l’attività del mediatore e la successiva conclusione dell’affare sia necessario che la finalizzazione dell’affare sia indipendente dall’intervento del mediatore che le aveva poste originariamente in contatto (Cass. civ, Sez. VI, 16 ottobre 2020, n.22426), sottolineando come la sentenza impugnata abbia omesso di valutare specificamente le circostanze dedotte da parte attrice circa la visita dell’immobile che sarebbe stata effettuata dalla proponente insieme al marito; che il marito abbia successivamente stipulato la locazione; che la proponente aveva formulato una proposta di locazione, ritenendo pertanto idoneo l’immobile.

La Corte accoglie inoltre il motivo di ricorso incidentale precisando come la clausola di cui la controricorrente eccepiva la nullità, essendo inserita in un modulo contrattuale predisposto del mediatore, avesse certamente determinato uno squilibrio significativo, vincolando il consumatore al pagamento della provvigione per un periodo indeterminato dopo la scadenza del contratto ”, nell’ipotesi in cui il contratto sia stato concluso da un familiare, società partecipate dal medesimo o da altre persone “riconducibili” al consumatore.

La Corte di Cassazione afferma quindi il seguente principio di diritto che il Tribunale di Roma, quale giudice del rinvio, dovrà applicare: “ E’ vessatoria ed abusiva, ai sensi dell’art.1341 c.c. e dell’art.33 del Codice del Consumo, la clausola, predisposta unilateralmente dal mediatore, che prevede il diritto del compenso provvigionale, dopo la scadenza del contratto e senza limiti di tempo, da parte di un soggetto che si sia avvalso della sua attività qualora l’affare sia stato successivamente concluso da un familiare, società o persona “riconducibile ”; detta clausola determina un significativo squilibrio a carico del consumatore perché lo obbliga ad una prestazione in favore del professionista indipendentemente da ogni accertamento, anche in via presuntiva, del preventivo accordo con il soggetto che ha concluso l’affare o di ogni altra circostanza concrete da cui risulti che l’affare sia stato agevolato in ragione dei rapporti familiari o personali tra le parti”.

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