Professione e Mercato

Disciplinare all’avvocato che prende l’incarico e non porta poi avanti l’azione

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di Giampaolo Piagnerelli

Misura disciplinare a carico dell'avvocato legittima se, a seguito di incarico ricevuto da un cliente, poi non prosegua l'azione. Lo precisano le sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 15287/2016. La Corte in particolare ha rilevato come la sanzione disciplinare dell'avvertimento per violazione dell'articolo 5 del Codice deontologico forense fosse pienamente applicabile al legale che, ricevuto l'incarico dal cliente per impugnare una cartella dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Messina, di fatto non avesse mai presentato ricorso.

Il ricorso del legale
Contro il provvedimento l'avvocato ha proposto ricorso eccependo che si dovesse applicare la nuova disciplina dell'ordinamento forense, che la composizione del Coa non fosse regolare e che la motivazione fosse illogica. Sul primo punto la Corte ha rilevato che «in materia di sanzioni disciplinari a carico degli avvocati l'articolo 65, comma 5, della legge 247/2012 nel prevedere con riferimento alla nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense, che le norme contenute nel nuovo codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l'incolpato, riguarda esclusivamente la successione nel tempo delle norme del previgente e del nuovo codice deontologico». Ne consegue - si legge nella decisione - che per l'istituto della prescrizione la cui fonte è legale e non deontologica, resta operante il criterio dell'irretroattività delle norme in tema di sanzioni amministrative, così è inapplicabile lo ius superveniens introdotto dall'articolo 56 della legge 247/212. Per quanto riguarda poi i vizi nella convocazione e composizione del Coa la Corte ha rilevato come l'eccezione non sia già stata sollevata nel corso del procedimento disciplinare dinanzi al medesimo Consiglio dell'ordine e per questo non potesse essere dedotta come motivo di impugnazione dinanzi al Consiglio nazionale forense né tantomeno come nel caso di specie dinanzi alle sezioni unite della Cassazione.

Quando si impugna la motivazione
Sul terzo motivo di ricorso, infine, i Supremi giudici rilevano come la riformulazione dell'articolo 360, comma 1, del Cpc deve essere interpretata come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione: pertanto è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione della legge costituzionale, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia peraltro deve essere costituita dalla mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili re nella motivazione obiettivamente incomprensibili. Ipotesi queste che tuttavia non ricorrono nell'attuale vicenda con riconoscimento della sanzione inflitta al professionista.

Corte di cassazione - sezioni unite Civili - Sentenza 25 luglio 2016 n. 15287

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