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“Numeri sospetti”: come Benford aiuta a intercettare operazioni anomale prima della segnalazione all’UIF

Lo strumento statistico consente di intercettare pattern numerici anomali che possono costituire spia di comportamenti fraudolenti o irregolari

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di Angelo Ruggiero*

Nel contesto della prevenzione del riciclaggio di denaro, l’affidabilità dell’analisi preliminare è fondamentale. Spesso, i flussi finanziari illeciti non si manifestano in modo diretto, ma si celano in una massa di operazioni apparentemente lecite. È qui che strumenti statistici come la legge di Benford (Benford) si rivelano preziosi. Lungi dall’essere una curiosità teorica, essa consente di intercettare pattern numerici anomali, che possono costituire spia di comportamenti fraudolenti o irregolari.

L’intuizione alla base è semplice quanto potente: i numeri non si distribuiscono casualmente. E quando lo fanno, è bene farsi delle domande.

Tale legge statistica, nota anche come First Digit Law, descrive la distribuzione probabilistica delle prime cifre significative di una serie di numeri reali. Secondo questa legge, in insiemi numerosi e spontanei di dati (come importi di fatture, movimentazioni bancarie, transazioni economiche), la prima cifra è “1 circa nel 30% dei casi,2 nel 17,6%, e via decrescendo fino al “9”, che compare solo nel 4,6% dei casi. Un comportamento apparentemente controintuitivo, ma matematicamente dimostrato e riscontrabile in natura, contabilità, bilanci, prezzi di borsa e perfino nei dati fiscali.

Quando una distribuzione numerica si discosta significativamente da quella prevista da Benford, può essere segno di manipolazioni, errori sistematici o costruzioni artificiose. E ciò accade spesso nei tentativi di mascherare condotte illecite, tra cui l’occultamento di ricavi, il frazionamento artificioso di operazioni, l’utilizzo di fatture soggettivamente o oggettivamente inesistenti.

Nel sistema delineato dal D.lgs. 231/2007, tutti i soggetti obbligati – tra cui banche, assicurazioni, intermediari finanziari, professionisti (in particolare commercialisti, avvocati, notai), revisori, società fiduciarie, operatori non finanziari come agenti immobiliari e compro oro – sono tenuti a istituire presidi di controllo volti a individuare operazioni sospette (SOS).

In tale quadro, Benford può essere utilizzata nella fase ex ante, di analisi interna, come strumento di ausilio tecnico a supporto del giudizio professionale. Non si tratta di sostituire l’intuito o l’esperienza, ma di integrare strumenti oggettivi e misurabili nel processo valutativo.

Un esempio concreto: analizzando la distribuzione delle cifre iniziali delle fatture ricevute da un determinato fornitore, si potrebbe scoprire una concentrazione anomala di numeri che iniziano con “7” o “9”, ben lontana dalla curva attesa di Benford. Questo può indurre il soggetto obbligato ad approfondire, verificare la genuinità delle operazioni e, in ultima istanza, valutare l’opportunità di una segnalazione alla UIF.

È importante sottolineare che l’utilità di Benford si esplica prima ancora della segnalazione delle SOS. Essa rappresenta infatti uno strumento di screening preliminare, utile a individuare aggregati di dati che meritano attenzione, fungendo da filtro iniziale. In questo modo:

si riduce il rischio di omettere segnalazioni rilevanti per mancanza di evidenza diretta o per volume eccessivo di dati da analizzare manualmente;

si migliora la qualità delle segnalazioni, fondandole su analisi strutturate e documentabili;

si rafforza il sistema di controllo interno, favorendo l’adozione di modelli predittivi e tecniche di data mining compatibili con le best practice internazionali.

Benford non sostituisce, ma supporta gli indici di anomalia elaborati da UIF e dalle Autorità di vigilanza (es. Banca d’Italia, IVASS, CNDCEC), creando un ponte tra l’analisi quantitativa e la valutazione qualitativa.

Molti software gestionali e soluzioni di forensic accounting integrano già algoritmi basati su Benford, consentendo l’analisi automatica di database complessi. La vera frontiera consiste però nella integrazione organica di questi strumenti nei modelli di adeguata verifica rafforzata e nei presìdi AML interni.

Ad esempio, una piattaforma AML per un intermediario finanziario può applicare Benford a:

• flussi di bonifici in entrata e uscita di clienti classificati a rischio medio-alto;

pagamenti ricorrenti tra soggetti collegati o economicamente incoerenti;

• scomposizione di importi frazionati sotto la soglia dei 10.000 euro.

In ambito professionale, invece, Benford può essere un utile ausilio nei controlli documentali interni di studi associati o STP, soprattutto in caso di incarichi di consulenza contabile o fiscale a soggetti esposti a rischio riciclaggio.

È essenziale ribadire che Benford non prova nulla in sé. Si tratta di uno strumento indiziario, utile a selezionare le operazioni da esaminare con maggiore attenzione. La sua applicazione è significativa solo su dataset numericamente consistenti, non manipolati a monte, privi di soglie artificiali o arrotondamenti sistematici. Non è adatta, ad esempio, all’analisi di importi fissi (canoni, stipendi) o numeri derivati da meccanismi normativi rigidi.

In sede giudiziaria, la giurisprudenza ha ammesso l’uso di Benford come supporto all’attività di verifica fiscale o contabile, ma non come fonte esclusiva di prova. Vale lo stesso nel sistema antiriciclaggio: può fondare un sospetto, non costituire prova di reato.

L’utilizzo di Benford si presenta oggi come uno strumento innovativo e a basso costo per rafforzare la capacità di intercettazione delle anomalie nei flussi economico-finanziari, ponendosi come valido supporto tecnico nella fase antecedente alla segnalazione UIF. La sua introduzione nei presidi di controllo dei soggetti obbligati risponde alla crescente esigenza di integrare modelli predittivi nel sistema antiriciclaggio, in linea con l’evoluzione normativa e tecnologica.

Tuttavia, è opportuno ricordare che l’impiego di Benford non rientra tra i compiti istituzionali del commercialista, salvo che ciò sia espressamente richiesto dal cliente nell’ambito di specifici incarichi di consulenza o revisione. Inoltre, trattandosi di una metodologia statistica avanzata e ancora poco diffusa nella pratica corrente, è necessario che anche i professionisti contabili siano opportunamente formati sull’uso corretto e sulle implicazioni operative di tale strumento. Solo in tal modo sarà possibile evitare interpretazioni scorrette, valorizzarne l’efficacia e renderlo parte integrante di una nuova cultura della compliance, fondata su analisi dei dati, interdisciplinarità e consapevolezza del rischio.

I numeri, se ascoltati, parlano. E quando sussurrano qualcosa di strano, vale la pena fermarsi ad ascoltare.

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*Angelo Ruggiero, commercialista ODCEC di Cassino e revisore legale, esperto scientifico di diritto ed economia dei tributi, esperto del MUR, docente alla SSM, coordinatore scientifico FSU

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