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Discriminazioni, il risarcimento non ferma l'accertamento del giudice

Lo ha stabilito la Corte Ue, sentenza nella causa C-30/19, affermando che il solo versamento di una somma di denaro non è idoneo a garantire la tutela giurisdizionale effettiva

Un giudice investito di un ricorso per risarcimento fondato su un'asserita discriminazione deve poterne constatare la sussistenza anche se il convenuto accetta di pagare il risarcimento richiesto senza riconoscerla. Lo ha stabilito la Corte Ue, sentenza nella causa C-30/19, affermando che il solo versamento di una somma di denaro non è idoneo a garantire la tutela giurisdizionale effettiva di una persona che chieda la constatazione della discriminazione subita.

Il caso - Nel 2015, il comandante di bordo di un volo interno svedese operato dalla compagnia aerea Braathens Regional Aviation AB ha deciso di sottoporre un passeggero di origine cilena residente a Stoccolma (Svezia) a un controllo di sicurezza supplementare.
Agendo in giudizio per conto del passeggero, il "Mediatore delle discriminazioni" ha chiesto al Tribunale locale di Stoccolma di condannare la Braathens a un risarcimento per discriminazione.

La Braathens ha accettato di versare la somma richiesta senza tuttavia riconoscere la sussistenza di una discriminazione. Il Tribunale ha quindi condannato la compagnia al pagamento della somma, ma ha dichiarato irricevibili le domande dirette a ottenere una sentenza dichiarativa della sussistenza di una discriminazione.

La motivazione - Investita della legittimità di una tale normativa, la Corte suprema ha chiesto un giudizio preliminare alla Corte Ue. I giudici di Lussemburgo ricordano che la direttiva 2000/43 mira a stabilire un quadro per la lotta alle discriminazioni fondate sulla razza o l'origine etnica al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento. Il rispetto di tale principio esige che sia garantita una tutela giurisdizionale effettiva del diritto alla parità di trattamento delle persone che si ritengono vittime di discriminazione.

In questo senso, prosegue la decisione, gli articoli 7 e 15 della direttiva 2000/43, letti alla luce dell'articolo 47 della Carta, "ostano a una normativa nazionale che impedisce a un giudice investito di un ricorso per risarcimento fondato su un'asserita discriminazione vietata da detta direttiva di esaminare la domanda diretta a far constatare la sussistenza di tale discriminazione, qualora il convenuto accetti di versare il risarcimento richiesto senza tuttavia riconoscere la sussistenza di una discriminazione".

Del resto, una normativa nazionale del genere è anche in contrasto sia con la funzione risarcitoria che dissuasiva della direttiva. Infatti, il versamento di una somma di denaro non è sufficiente a soddisfare le pretese di una persona che intenda in via prioritaria far riconoscere, a titolo di risarcimento del danno morale subito, che ella è stata vittima di una discriminazione. Parimenti, l'obbligo di versare una somma di denaro non può garantire un effetto realmente dissuasivo nei confronti dell'autore di una discriminazione.

Inoltre, si produce l'effetto di trasferire il controllo della controversia al convenuto. Mentre il giudice nazionale non violerebbe in alcun modo il principio dispositivo se, nonostante l'ottemperanza del convenuto al versamento del risarcimento, esaminasse la sussistenza o meno della discriminazione.

Infine, la Corte chiarisce che il rispetto del diritto dell'Unione non impone l'istituzione di un nuovo mezzo di ricorso, ma si limita a esigere che il giudice nazionale rifiuti di applicare la norma processuale che gli impedisce di statuire sulla sussistenza dell'asserita discriminazione, e ciò a causa dell'incompatibilità di tale norma, non solo con gli articoli 7 e 15 della direttiva 2000/43, ma anche con l'articolo 47 della Carta. Infatti, tali articoli della direttiva si limitano a concretizzare il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo, quale garantito dall'articolo 47 della Carta, che è sufficiente di per sé per conferire un diritto invocabile in una controversia tra privati.

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