Lavoro

Dl covid: obbligo vaccinale per i sanitari, rispettata la riserva di legge e la competenza esclusiva statale

Nel solco della costituzione l'articolo 4 del n. 44/2021 prevede una dettagliata procedura operativa attuativa affidata alla collaborazione tra ordini professionali, datori di lavoro, regioni ed aziende sanitarie locali, con annesse misure sanzionatorie in caso di inottemperanza di natura lavoristica<b> <a uuid="" channel="" url="https://i2.res.24o.it/pdf2010/Editrice/ILSOLE24ORE/QUOTIDIANI_VERTICALI/Online/_Oggetti_Embedded/Documenti/2021/04/02/Dl_scudo_Gu.pdf" target=""/> </b>

di Aldo Natalini

Il secondo perno della strategia vaccinale perseguita dall’esecutivo con l’ultimo Dl Covid  – in vigore da ieri, 1° aprile, giorno della sua pubblicazione in Gazzetta –  ruota sull’obbligo di vaccinazione posto a carico degli esercenti le professioni sanitarie: al neo introdotto “scudo penale” in favore dei (soli) vaccinatori e, quindi, all’annessa funzione di rassicurazione verso il personale medico e paramedico coinvolto nella campagna di immunizzazione di massa (vedi l’articolo 3 del decreto-legge n. 44/2021: quotidiano NT Plus diritto del 1° aprile 2021), il governo affianca disposizioni sull’assolvimento dell’obbligo vaccinale da parte di tutti gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario.

Come a dire: gli spazi di liceità (penale) – “ritagliati” per i soli vaccinatori – possono e debbono essere controbilanciati da trattamenti obbligatori di più ampia portata soggettiva, perché sono adempitivi dei doveri di solidarietà sociale (articolo 2 della Costituzione) e rispondono  all’esigenza collettiva di prevenzione del contagio nelle strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali, pubbliche o private, farmacie, parafarmacie e studi professionali.

Dunque, dopo l’allarme di alcuni Presidenti di Regione – che, nei giorni scorsi, avevano denunciato elevate percentuali di medici e paramedici che avevano rifiutato il vaccino, con casi di contagio che sarebbero partiti proprio da operatori “no-vax”, il Governo si è determinato a dare infine attuazione d’urgenza alla riserva di legge prevista dall’articolo 32 della CostituzioneNessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge»), la cui ratio è bene spiegata, da ultimo, in un’importante sentenza costituzionale (la n. 5/2018) redatta dall’allora relatrice Marta Cartabia, oggi proponente la norma di nuovo conio in qualità di ministra della giustizia. Il trattamento sanitario obbligatorio è conforme a Costituzione – statuì nell’occasione la Consulta – se è diretto non solo a tutelare lo stato di salute della persona vaccinata ma anche a preservare la salute degli altri e se non incide negativamente sulla salute di chi viene vaccinato. Condizione, quest’ultima, assicurata dall’odierna previsione normativa laddove svincola dall’obbligo di vaccinazione anti-Covid quanti attestino – e documentino – condizioni cliniche tali da esporli a pericolo per la salute in caso di inoculazione.

Come recita il preambolo al Dl n. 44/2021 (in parte qua identico al preambolo del Dl n. 73/2017, vagliato dalla citata sentenza costituzionale n. 5/2018), a giustificazione della decretazione d’urgenza si pone la necessità di «garantire in maniera omogenea sul territorio nazionale le attività dirette alla prevenzione, al contenimento e alla riduzione dei rischi per la salute pubblica e di assicurare il costante mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza epidemiologica in termini di profilassi e di copertura vaccinale», nonché di assicurare «il rispetto degli obblighi assunti e delle strategie concordate a livello europeo e internazionale e degli obiettivi comuni fissati nell’area geografica europea».

Viene così formalizzata e completata una disciplina, immediatamente cogente, in qualche modo già desumibile – ma ad oggi non specificamente sanzionata – dal combinato disposto delle regole sulla sicurezza delle cure e dei luoghi di lavoro (così Piva, in quotidiano NT Plus diritto del 1° aprile 2021), come confermano anche alcune recenti decisioni di merito in ordine alla legittimità di ferie forzate per i sanitari che rifiutino di vaccinarsi (vedi Tribunale del Lavoro di Belluno, ordinanza 19 marzo 2021, che ha respinto il ricorso di dieci dipendenti di due Rsa che avevano rifiutato l’inoculazione del vaccino anti-Covid e, per questo, erano stati dichiarati inidonei al servizio dal medico del lavoro e  temporaneamente sospesi dalle loro attività, con privazione dello stipendio).

Quanto alle sanzioni previste in caso di inottemperanza, il governo – opportunamente – non ha coniato nuove ipotesi di reato (stanti le vigenti previsioni codicistiche in tema di epidemia colposa), né ha prefigurato sanzioni amministrative pecuniarie (come invece furono introdotte dall’articolo 1, comma 4, del Dl n. 73/2017, che comminava la sanzione pecuniaria da 500 a 7.500 euro nei confronti di genitori e tutori in caso di inosservanza degli obblighi vaccinali): le misure “reattive” sono squisitamente lavoristiche e vanno dall’assegnazione a diverse mansioni (ivi compreso il demansionamento) alla sospensione della retribuzione.

La giurisprudenza costituzionale sull’obbligo vaccinale

Onde vagliare la “tenuta” costituzionale della previsione di nuovo conio, può essere utile ripercorrere, per sommi capi, i principali nodi problematici affrontati dalla sentenza costituzionale n. 5/2018, relativa all’obbligo vaccinale introdotto, anche in quel caso, per decreto-legge (il Dl n. 73/2017), nei riguardi dei minori fino a sedici anni di età, ed avente ad oggetto dodici vaccinazioni obbligatorie e gratuite.

La legittimità dell’uso del decreto legge

Quanto, anzitutto, allo strumento emergenziale, non può davvero negarsi la sussistenza, in questa ingravescente fase pandemica, dei presupposti di straordinaria necessità ed urgenza ex articolo 77 della Costituzione, già riconosciuti nell’occasione dalla Consulta allorché si trattava di prevenire un’epidemia ben circoscritta di morbillo (4.855 casi con 4 decessi) contro – ad oggi – almeno 3,54 milioni contagiati da Coronavirus e oltre 108.000 decessi soltanto in Italia. A fronte di una copertura vaccinale insoddisfacente nel presente e incline alla criticità nel futuro, il giudice delle leggi ritenne allora che «rientri nella discrezionalità – e nella responsabilità politica – degli organi di governo apprezzare la sopraggiunta urgenza di intervenire, alla luce dei nuovi dati e dei fenomeni epidemiologici frattanto emersi, anche in nome del principio di precauzione che deve presidiare un ambito così delicato per la salute di ogni cittadino come è quello della prevenzione» (sentenza costituzionale n. 5/2018, § 6.4).

La competenza statale in materia

Circa la competenza “centrale” ad emanare le misure in commento, l’odierno intervento governativo rientra perfettamente nella competenza esclusiva dello Stato in materia di profilassi internazionale (articolo 117, comma 2, lettera q, della Costituzione): ambito avente un oggetto ben distinto, che include la prevenzione o il contrasto delle malattie pandemiche, tale da assorbire ogni profilo della disciplina, senza tratti di trasversalità, attenendo alla cura degli interessi che emergono innanzi ad una malattia pandemica di larga distribuzione geografica, ovvero tale da dover essere reputata “internazionale”, sulla base della diffusività che la connota (così sentenza costituzionale n. 37/2021, che ha dichiarato l’incostituzionalità della legge della Regione Valle d’Aosta n. 11/2020 - già sospesa cautelarmente con ordinanza costituzionale n. 4/2021 - vedi comunicato stampa del 14 gennaio 2021 - contenente misure di contenimento della diffusione del contagio da Covid-19 di minor rigore rispetto a quelle statali).

Le norme di nuovo conio – valevoli in tutto il Paese (e non in ambito regionale, come pure era stato proposto nelle scorse settimane da qualche Presidente di Regione) – servono a garantire uniformità nell’attuazione, con misure obbligatorie vaccinali omogenee su tutto il territorio nazionale, di programmi di profilassi elaborati in sede internazionale, sovranazionale ed unionale (vedi, rispetto al settore veterinario, sentenze costituzionali n. 270/2016, n. 173/2014, n. 406/2005, n. 12/2004).

Ancora: l’introduzione dell’obbligatorietà del vaccino anti-Covid – peraltro non generalizzata, ma circoscritta ad una categoria di soggetti ben definita: gli esercenti la professione sanitaria, come

 – chiama in causa i principi fondamentali in materia di tutela della salute, pure attribuiti alla potestà legislativa dello Stato (articolo 117, comma 3, della Costituzione). La Corte Costituzionale ha chiarito in più occasioni che il diritto della persona di essere curata efficacemente, secondo i canoni della scienza e dell’arte medica, e di essere rispettata nella propria integrità fisica e psichica (sentenze costituzionali n. 169/2017, n. 338/2003 e n. 282/2002) deve essere garantito in condizione di eguaglianza in tutto il Paese, attraverso una legislazione generale dello Stato basata sugli indirizzi condivisi dalla comunità scientifica nazionale e internazionale. Tale principio vale non solo per le scelte dirette a limitare o a vietare determinate terapie o trattamenti sanitari, ma vale a maggior ragione riguardo alla scelta – di esclusiva competenza statale proprio per ragioni di uguaglianza – di qualificare come obbligatorio un determinato trattamento sanitario, sulla base dei dati e delle conoscenze medico-scientifiche disponibili ().

Secondo i documenti delle istituzioni sanitarie nazionali e internazionali, l’obiettivo da perseguire in questi ambiti è la cosiddetta “immunità di gregge”, la quale richiede una copertura vaccinale a tappeto in una determinata comunità, al fine di eliminare la malattia e di proteggere coloro che, per specifiche condizioni di salute, non possono sottoporsi al trattamento preventivo (sentenza costituzionale n. 5/2018).

L’obbligo di vaccinazione e l’articolo 32 della Costituzione.

Quanto, più in generale, al merito della scelta vaccinale obbligatoria, sintetizzando gli approdi della giurisprudenza costituzionale in materia, per le vaccinazioni ricorrono le condizioni richieste per l’eccezionale imposizione di un trattamento sanitario, a norma dell’articolo 32, comma 2, della Costituzione: ciò perché la vaccinazione preserva dal contagio sia chi la riceve, sia gli altri (particolarmente coloro che non l’hanno ancora ricevuta o non possono riceverla); normalmente, per chi vi si sottopone, la pratica vaccinale comporta conseguenze lievi e temporanee, trascurabili anche a fronte dei benefici immunitari e dei gravi rischi che, altrimenti, possono insorgere (così, da ultimo, sentenza costituzionale n. 5/2018).

In particolare, la Consulta ha precisato che la legge impositiva di un trattamento sanitario – quale oggi l’articolo 4 del n. 44/2021– non è incompatibile con l’articolo 32 della Costituzione, che postula il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l’interesse della collettività (sentenza costituzionale n. 268/2017): se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (sentenze costituzionali n. 258/1994 e n. 307/1990).

Dunque, i valori costituzionali coinvolti nella problematica delle vaccinazioni sono molteplici e implicano, oltre alla libertà di autodeterminazione individuale nelle scelte inerenti alle cure sanitarie e la tutela della salute individuale e collettiva (tutelate dall’articolo 32 della Costituzione), anche l’interesse delle persone fragili o particolarmente vulnerabili. Il contemperamento di questi molteplici principi lascia spazio alla discrezionalità del legislatore (anche urgente, come visto sopra) nella scelta delle modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive, potendo egli selezionare talora la tecnica della raccomandazione – come finora perseguita dal governo – talaltra quella dell’obbligo, nonché, nel secondo caso, calibrare variamente le misure, anche sanzionatorie, volte a garantire l’effettività dell’obbligo. Questa discrezionalità – secondo la Consulta – deve essere esercitata alla luce delle diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte (sentenza costituzionale n. 268/2017) e delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica, che debbono guidare il legislatore nell’esercizio delle sue scelte in materia (così già la fondamentale sentenza n. 282/2002).

 

La procedura di accertamento dell’inottemperanza e le sanzioni

In questa cornice costituzionale di riferimento l’ articolo 4 del n. 44/2021 prevede una dettagliata, procedura operativa attuativa dell’obbligo di vaccinazione per gli esercenti la professione sanitaria affidata alla collaborazione tra ordini professionali, datori di lavoro, regioni ed aziende sanitarie locali, con annesse misure sanzionatorie in caso di inottemperanza di natura lavoristica.

Entro il 6 aprile prossimo, ciascun Ordine professionale competente per territorio dovrà trasmettere l’elenco degli iscritti, con l’indicazione del luogo di rispettiva residenza, alla Regione o Provincia autonoma in cui ha sede. Identico adempimento sarà curato dai datori di lavoro degli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie, socio-assistenziali, pubbliche o private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali, con trasmissione degli elenchi dei propri dipendenti con tale qualifica.

Entro i successivi dieci giorni dalla data di ricezione degli elenchi – quindi, al massimo, entro il 17 aprile – le Regioni e le Province autonome verificheranno lo stato vaccinale di ciascuno dei soggetti obbligati. Quando dai sistemi informativi vaccinali non dovesse risultare l’effettuazione della vaccinazione anti Sars-CoV-2, le Regioni e Province autonoma, nel rispetto delle disposizioni sulla privacy, segnaleranno immediatamente alle Asl di residenza i nominativi dei soggetti non vaccinati.

Ricevuta la segnalazione, le Asl inviteranno gli interessati a produrre, entro cinque giorni, la documentazione comprovante l’effettuazione della vaccinazione (o la presentazione della relativa richiesta), l’omissione o il differimento della stessa oppure l’insussistenza dei presupposti per l’obbligo vaccinale per comprovato pericolo per la salute.

In caso di mancata presentazione della documentazione, le Asl, scaduto il termine di cinque giorni, inviteranno formalmente gli interessati a sottoporsi alla somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2, indicando le modalità e i termini entro i quali adempiere.

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