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Edifici degradati: a rischio sia la legge regionale lombarda sulla rigenerazione urbana che il PGT di Milano

L'intervento legislativo è consistito nella introduzione dell'art. 40 bis in seno alla legge urbanistica generale l.r. 12/2005 ("Legge per il governo del territorio").

di Fabio Andrea Bifulco *


I. Tramite la legge regionale 26 novembre 2019, n. 18, la Regione Lombardia ha previsto misure di semplificazione e incentivazione per la rigenerazione urbana e territoriale, nonché per il recupero del patrimonio edilizio esistente.

Per quanto maggiormente rileva in questa sede, l'intervento legislativo è consistito nella introduzione dell'art. 40 bis in seno alla legge urbanistica generale l.r. 12/2005 ("Legge per il governo del territorio").

Secondo tale norma, in sintesi estrema:

- entro il termine di sei mesi dalla entrata in vigore della novella (termine peraltro poi prorogato), i comuni, con deliberazione consiliare, debbono individuare gli immobili dismessi da oltre cinque anni, e che causano criticità per taluni aspetti all'uopo elencati (salute, sicurezza idraulica, problemi strutturali che ne pregiudicano la sicurezza, inquinamento, degrado ambientale e urbanistico-edilizio; cfr. il comma 1);

- gli interventi su tali immobili usufruiscono di un incremento del 20 per cento dei diritti edificatori, e sono inoltre esentati dall'eventuale obbligo di reperimento di aree per servizi (cfr. il comma 5);

- per interventi che assicurino una superficie deimpermeabilizzata e destinata a verde non inferiore all'incremento di superficie lorda realizzato, nonché per quelli che conseguano una diminuzione dell'impronta al suolo pari ad almeno il 10 per cento, si applica un ulteriore incremento del 5 per cento ell'indice di edificabilità come previsto dal P.G.T, o rispetto alla superficie lorda esistente (cfr. il comma 6);

- la richiesta di piano attuativo, o la richiesta del titolo edilizio (nelle diverse forme possibili), devono essere presentati entro tre anni dalla notifica della individuazione (cfr. il comma 4);

- in difetto, oltre alla perdita dei benefici di cui sopra, il proprietario viene "invitato" a presentare una proposta di riutilizzo entro un termine non inferiore a mesi quattro, e non superiore a mesi dodici (cfr. il comma 7);

- in caso di inosservanza anche di tale "invito", il Comune ingiunge al proprietario la demolizione dell'edificio, o, in alternativa, di procedere agli interventi di recupero e/o messa in sicurezza, da effettuarsi entro un anno (cfr. il comma 8);

- ove il proprietario non vi provveda, il Comune procede in via sostitutiva, con obbligo di rimborso delle relative spese a carico della proprietà (cfr. comma 9).

Già ad una prima lettura, era possibile cogliere la ricorrenza di due possibili rilievi di incostituzionalità:

- sul versante dei cittadini privati, per via della introduzione di una fattispecie surrettiziamente espropriativa a carico di chi non procede agli interventi, o, in via alternativa, di un obbligo di facere in assenza di una base normativa;

- sul versante delle amministrazioni comunali, con riguardo alla compressione della potestà pianificatoria comunale, che viene così privata di autonomo potere regolatorio.

II. In siffatto contesto soggiungono le ordinanze Tar Lombardia, Sez. I, n.ri 371/2021, 372/2021, e 373/2021, del 10 febbraio 2021, che hanno rimesso alla Corte Costituzionale di vagliare la legittimità costituzionale dell'art. 41 bis, come sopra illustrato.

Per maggiore intelligenza delle decisioni, giova precisare che le stesse attengono a controversie promossa da soggetti privati contro il Comune di Milano, per l'annullamento del recente nuovo P.G.T., come approvato dal consiglio comunale con deliberazione del 14 luglio 2019, ed in particolare dell'art. 11 delle NDA (norme di attuazione).

Tale P.G.T., se da un lato mutua una parte della impostazione della legge regionale, prevedendo, inter alios, che in caso di mancata presentazione di una richiesta di costruire (tramite piano attuativo o altro titolo) vi sia l'obbligo della demolizione, dall'altro se ne discosta sensibilmente laddove:

- prevede un ben più breve termine (18 mesi) per la presentazione della richiesta di costruire;

- non contempla incrementi di capacità edificatoria, ma il solo recupero dell'esistente.

Nell'ambito di tali giudizi, riferiscono le pronunce, i ricorrenti hanno sollevato numerosi profili di censura, tra cui, sia la violazione costituzionale di cui si è sopra riferito (atipica previsione espropriativa), e sia la violazione dell'art. 40 bis, l.r. 12/2005.

Quanto alla difesa comunale, la stessa, dopo aver prospettato la coerenza del P.G.T. con l'art. 40 bis, ne ha eccepito la illegittimità costituzionale, per violazione delle competenze pianificatorie comunali.

III. Secondo la decisione in commento, la norma si presta a molteplici dubbi di incostituzionalità, e, segnatamente, per violazione degli artt. 5, 97, 114, secondo comma, 117, secondo comma, lett. p), terzo e sesto comma, e 118 della Costituzione.

Per un primo verso, la norma regionale determinerebbe una violazione della potestà pianificatoria comunale, quale delineata sia dallo Stato in sede di legislazione esclusiva (art. 118, comma 2, lett. p), e sia dai principi di sussidiarietà (artt. 4 e 118), poiché impone, in via non temporanea, un regime urbanistico-edilizio che prescinde – o addirittura si discosta – dalle scelte comunali.

Ciò a maggior ragione vale per la previsione (di cui al primo comma) secondi cui i privati i cui edifici non siano stati oggetto di individuazione, posso ugualmente accedere al regime ed ai benefici legislativi, presentando apposita perizia asseverata; in questo caso, osserva il Tar, il

Comune non ha la facoltà di selezionare gli immobili da recuperare, impedendosi o comunque rendendosi ineffettiva la sua programmazione in ambito urbanistico.

Analoga chiosa riguarda la previsione relativa alle aree che fossero eventualmente state individuate come da recuperare dai comuni già prima della novella legislativa; l'applicazione anche a tali casi del regime qui in esame, determina il riconoscimento generalizzato e automatico di un indice edificatorio premiale di rilevante portata, accompagnato peraltro dall'esenzione dall'eventuale obbligo di reperimento degli standard.

Sotto altro aspetto, l'art. 40 bis risulterebbe altresì manifestamente irragionevole,
posto che si tramuta quella che secondo gli originari intenti della pianificazione comunale era un mero recupero, in un incremento dell'indice edificatorio molto consistente, senza rispetto né degli standard urbanistici, né dell'obbligo delle urbanizzazioni.
Quanto alla disciplina degli standard, viene prospettata anche l'ulteriore violazione dei principi generali come previsti dalla legge statale nelle materie di potestà legislativa concorrente (art. 117, terzo comma), avendo riguardo a quanto previsto diversamente dal d.m. 1444/1968.

Infine, l'ordinanza assume anche la violazione della funzione amministrativa comunale in ambito urbanistico, in quanto l'art. 40 bis detta una disciplina che non lascia alcuno spazio di intervento significativo all'attività pianificatoria comunale, pure qualificata quale funzione fondamentale ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. p), della Costituzione.

IV. In disparte da eventuali profili di inammissibilità della questione costituzionale sotto il profilo della rilevanza rispetto al giudizio a quo (visto il sempre costante maggior rigore con cui negli ultimi anni la Corte Costituzionale scrutina tale aspetto di ammissibilità), nel merito la pronuncia del Tar risulta ben radicata nei principi da poco espressi dalla Consulta con la sentenza n. 179 del 16 luglio 2019 (resa, peraltro, sempre nei confronti della Regione Lombardia).

Nondimeno, come precisato dallo stesso Tar, l'eventuale pronuncia di illegittimità dell'art. 40 bis, se da un lato implicherebbe il rigetto di quel motivo di ricorso che vi si poggia, dall'altro non escluderebbe comunque l'accoglimento del gravame per gli altri motivi.
Anzi, a tal riguardo, la stessa ordinanza prospetta come ben possibile la contestuale negazione della legittimità della normativa regionale, in uno con quella del PGT comunale.
Incidentalmente, la Regione Lombardia risulta evocata in due giudizi, ma non vi ha preso parte.

* Fabio Bifulco, Studio Legale Bifulco

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