Penale

Fatture false per evadere iva e imposte sui redditi: utilizzabilità delle dichiarazioni rese in sede di verifica fiscale

Nota a Corte di Cassazione, Sez. III Penale, Sentenza 9 aprile 2021 n. 13275

di Mattia Miglio, Paolo Comuzzi

Con la sentenza qui in esame ( Cassazione 13275/2021 ), la Suprema Corte prende in esame una fattispecie complessa nella quale l'odierno imputato era stato condannato nei primi due gradi del giudizio per una serie di reati tributari e precisamente "…in quanto ritenuto colpevole dei reati di frode fiscale (art. 2, d. Igs. 74 del 2000) e del reato di omessa dichiarazione (art. 5, d. Igs. 74 del 2000), limitatamente ai fatti contestati ai capi 2.1, 2.2., 2.3 e 2.4 della rubrica (utilizzo di fatture per operazioni inesistenti con indicazione, nelle dichiarazioni fiscali ai fini delle imposte dirette ed IVA relativamente agli anni di imposta dal 2010 al 2013, di elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo meglio descritto nelle tabelle E), F), G), nonché A), B) e C) del capo 2.3.; omessa dichiarazione a fini IRES ed IVA per l'anno d'imposta 2014, con evasione superiore alla soglia di punibilità, come indicato al capo 2.4.) …".

L'imputato ricorre con una serie di articolati motivi avanti alla Suprema Corte, in relazione ai quali la Cassazione formula le seguenti considerazioni.

La prima afferisce alle dichiarazioni rese dai commercialisti del ricorrente in sede di verifica fiscale, dichiarazioni rispetto alle quali la Corte di Appello di Milano "condividendo la tesi del primo giudice, aveva affermato che le dichiarazioni dei due professionisti erano pienamente utilizzabili poiché, al momento della loro assunzione, non erano emersi ancora elementi costitutivi dei reati, poi contestati".

Con riferimento a questo rilievo, la Corte di Cassazione evidenzia che "in materia di attività ispettive di vigilanza di natura amministrativa, il momento a partire dal quale, nel corso di tale attività, sorge l'obbligo di rispettare le garanzie del codice di procedura penale è quello nel quale è possibile attribuire rilevanza penale al fatto, emergendone tutti gli elementi costitutivi, anche se ancora non possa essere ascritto a persona determinata (viene richiamata, in particolare, Sez. 3, n. 31223 del 04/06/2019 - dep. 16/07/2019, Rv. 276679 — 01)".

Quindi, per rendere inutilizzabili le dichiarazioni del professionista rese in verifica fiscale nell'ambito del successivo processo penale, è fondamentale che le stesse vengano rese in un contesto certo di esistenza della fattispecie di reato e che non si possa affermare invece che la situazione sia quella per cui "quanto emerso in sede di verifica non fosse certo idoneo a qualificare in termini di rilevanza penale il "sospetto" degli operanti di trovarsi in presenza di false fatturazioni per operazioni inesistenti".

Siccome nel caso di specie il procedimento penale è stato frutto "della successiva attività di indagine volta a riscontrare quanto emergente dall'attività di verifica, di per sé inidoneo a determinare l'insorgenza di un sospetto sulla sussistenza di indizi di reato" le dichiarazioni rese dai professionisti restano valide e non possono essere ignorate.

La seconda considerazione afferisce alla fattispecie di frode fiscale; la Corte conferma che "che il reato di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti (art. 2, D.Lgs. n. 74 del 2000) è integrato, con riguardo alle imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva, ovvero quella relativa alla diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti, mentre, con riguardo all'IVA, esso comprende anche la inesistenza soggettiva, ovvero quella relativa alla diversità tra soggetto che ha effettuato la prestazione e quello indicato in fattura. La condotta di dichiarazione fraudolenta mediante fatture o documenti per operazioni inesistenti, si aggiunge in sentenza, presenta una "struttura bifasica", in cui la dichiarazione, quale momento conclusivo, integra un falso contenutistico, mentre la condotta preparatoria, cioè la registrazione o detenzione a fini di prova dei documenti che costituiranno il supporto della dichiarazione, si riferisce ai documenti falsi (cioè contraffatti o alterati) emessi da altri in favore dell'utilizzatore.

La falsità può cadere sul contenuto della fattura o del documento contabile rilevante, attestandosi che è stata eseguita una operazione in realtà non eseguita oppure che l'importo dell'operazione è superiore a quello reale, ma può cadere anche sulla indicazione dei soggetti tra cui è intercorsa l'operazione.

A tale riguardo "soggetti diversi da quelli effettivi" sono quei soggetti che, in realtà, non hanno preso parte all'operazione e sono invece indicati nel documento".

In relazione a ciò, la Cassazione richiama il consolidato orientamento richiamato nella sentenza della stessa Corte di Appello, secondo il quale "non vi è alcun fondamento razionale nell'affermare che l'ipotesi non ricorre quando i soggetti che appaiono emittenti del documento siano addirittura inesistenti (trattandosi, ad esempio, di nomi di fantasia) o siano soggetti che nessun rapporto abbiano mai avuto con il contribuente che utilizza il documento medesimo. Anche in tal modo, infatti, il contribuente fa apparire di avere speso somme in realtà non sborsate e pone così in essere una lesione del bene giuridico protetto, costituito dal patrimonio erariale, con la conseguenza, dunque, che nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) la falsità può essere riferita anche all'indicazione dei soggetti con cui è intercorsa l'operazione, intendendosi per "soggetti diversi da quelli effettivi", ai sensi dell'art. 1 lett. a), del citato D.Lgs., coloro che, pur avendo apparentemente emesso il documento, non hanno effettuato la prestazione, sono irreali, come nel caso di nomi di fantasia, o non hanno avuto alcun rapporto con il contribuente finale".

La terza considerazione richiamata dalla Cassazione concerne la reati in contestazione e,"in particolare se trattasi di un unico delitto, ovvero, se, considerata la formulazione normativa, possano considerarsi coesistenti nella medesima disciplina due distinti reati connessi ai distinti obblighi dichiarativi ai fini delle imposte sui redditi e dell'Iva, potendo nella seconda eventualità contestarsi anche l'art. 81 del codice penale per la continuazione, con conseguente aumento della pena, come avvenuto nel caso di specie".

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