Comunitario e Internazionale

Figli nati con la maternità surrogata, legittimo il no alla trascrizione

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo respinge i ricorsi presentati da diverse coppie omosessuali ed eterosessuali

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di Patrizia Maciocchi

Non ledono il diritto alla vita privata e familiare le norme italiane che vietano la trascrizione degli atti di nascita dei bambini nati all’estero con la gestazione per altri, nei quali è indicato il genitore di intenzione.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo riunisce i ricorsi presentati da diverse coppie omosessuali ed eterosessuali, che contestavano il rifiuto opposto dalle autorità italiane di trascrivere nei registri dell’anagrafe i certificati di nascita esteri di bambini legalmente concepiti in altri stati. Veto che, ad avviso dei ricorrenti, lede l’articolo 8 della Convenzione Europea sui Diritti Umani, sul diritto al rispetto della vita privata e familiare. Un vulnus che non si può considerare sanato dalla possibilità di fare ricorso all’adozione in casi particolari. Al contrario per gli eurogiudici è proprio questa la via indicata, legittimamente dall’Italia, per riconoscere i legami familiari del bambino nato con il cosiddetto utero in affitto, scoraggiando al tempo stesso la pratica vietata dal diritto interno. Con la decisione, relativa alla richiesta n.59054/19, la Cedu analizza le sentenze delle sezioni unite della Cassazione (12193/2019 e 38162/2022) e quella della Consulta (33/2021). Dalla Suprema corte - ricordano i giudici di Strasburgo - è stata ribadita la contrarietà all’ordine pubblico della trascrizione e indicata la via della stepchild adoption.

Un istituto sul quale è intervenuta la Consulta, cancellando la norma che impediva i rapporti con i parenti dell’adottante.

Mentre è stata proprio la Corte costituzionale, con la sentenza 33/2021, ha precisare che il diritto alla genitorialità, anche del padre di intenzione, va bilanciato con l’obiettivo legittimo del sistema giuridico di contrastare il ricorso alla gestazione per altri considerata reato in Italia.

La Cedu ricorda però anche come la Consulta abbia chiesto al legislatore di trovare una soluzione che tenga conto degli interessi in gioco, attraverso una legge che assicuri la protezione dei bambini nati con la maternità surrogata.

A rispondere, prima del legislatore, sono stati i giudici di legittimità, secondo i quali l’obbligo fondamentale di assicurare al bambino nato da una maternità “sostitutiva” gli stessi diritti di un bambino nato in condizioni diverse è garantito dall’adozione in casi particolari.

Uno strumento che, dal 2014 garantiva la possibilità di riconoscere il legame con i genitori di intenzione. In uno dei caso esaminati dalla Cedu l’opportunità non c’era alla data di nascita del figlio, ma c’era nel 2016, quando è stato fatto il ricorso a Strasburgo. Negli altri due casi invece l’evoluzione della giurisprudenza consentiva già la step child adoption quando sono nati i bambini, «senza che fosse stata fatta alcuna domanda di adozione» da parte dei ricorrenti.

Di conseguenza la Corte conclude che «non esisteva un’impossibilità generale e assoluta di soddisfare il desiderio del riconoscimento di un legame tra i bambini e i genitori di intenzione», perché questi ultimi «avevano a disposizione la strumento dell’adozione e non lo hanno utilizzato».

I ricorrenti hanno creato una famiglia, si legge nel “verdetto”, ricorrendo alla gestazione per altri, sapendo che il diritto italiano la vietava. Per la Corte europea dei diritti dell’Uomo «le difficoltà pratiche che i ricorrenti potranno incontrare nella loro vita privata e familiare a causa del mancato riconoscimento nel diritto italiano di un legame tra il padre di intenzione e i bambini, non va oltre il limite imposto per il rispetto della vita privata e familiare».

La decisione adottata il 30 maggio e comunicata ieri, non si discosta dai precedenti della Cedu. La Corte con i ricorsi n. 65192/11, n. 25358/12 e, da ultimo con il caso Valdìs e altri contro Islanda del 2021, ha negato la violazione dell’articolo 8 a causa della mancata trascrizione o del divieto di gestazione per altri. Affermandolo solo, a carico della Danimarca, per il no all’adozione dei figli nati con la gestione per altri, concedendo solo l’affido condiviso per limitare una pratica considerata commerciale. Resta, infatti, un punto fermo della giurisprudenza di Strasburgo l’esigenza di assicurare il riconoscimento, nell’interesse superiore del minore, del legame di filiazione con chi lo alleva a prescindere dall’orientamento sessuale dei genitori.

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