Penale

Giudizio abbreviato non ammesso per i delitti puniti con l’ergastolo

La Corte costituzionale, sentenza n. 2 del 2025 depositata oggi, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 438, co. 1-bis, del Cpp

di Francesco Machina Grifeo

La Corte costituzionale, sentenza n. 2 del 2025 depositata oggi, conferma l’inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo. Sono state infatti dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 438, co. 1-bis, del Cpp, come introdotto dall’articolo 1, co. 1, lettera a), della legge 12 aprile 2019, n. 33, sollevate, in riferimento agli articoli 3, 24, 27 e 111 della Costituzione, dalla Corte di assise di Cassino.

La Corte rimettente era chiamata a giudicare della responsabilità dell’imputato per il delitto di omicidio aggravato dall’aver agito per motivi abietti e futili, per il quale è prevista la pena dell’ergastolo. A seguito della notifica del decreto di giudizio immediato, l’imputato aveva chiesto il rito abbreviato. Il Gip, tuttavia, ha dichiarato la richiesta inammissibile, dal momento che il delitto rientrava nella previsione dell’articolo 438, co. 1-bis, Cpp., secondo il quale «[n]on è ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo».

Secondo l’ordinanza di rimessione ciò contrasterebbe con gli articoli 3 e 27 Cost., accomunando fattispecie autonome di reato punite con la pena dell’ergastolo (a esempio il delitto di strage) con altre che pervengono a tale sanzione – come nel caso di cui al giudizio a quo – unicamente in ragione della contestazione di circostanze aggravanti.

La Consulta richiama un proprio precedente (ordinanza n. 163 del 1992) per ribadire che «l’inapplicabilità del giudizio abbreviato ai reati punibili con la pena dell’ergastolo, non è in sé irragionevole, né l’esclusione di alcune categorie di reati, come attualmente quelli punibili con l’ergastolo, in ragione della maggiore gravità di essi, determina una ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli altri reati, trattandosi di situazioni non omogenee».

Inoltre, la scelta legislativa di far dipendere l’accesso al giudizio abbreviato dalla sussistenza di una circostanza a effetto speciale «esprime un giudizio di disvalore della fattispecie astratta marcatamente superiore a quello che connota la corrispondente fattispecie non aggravata; e ciò indipendentemente dalla sussistenza nel caso concreto di circostanze attenuanti, che ben potranno essere considerate dal giudice quando, in esito al giudizio, irrogherà la pena nel caso di condanna» (sentenza n. 260 del 2020).

La Consulta richiama poi il principio di proporzionalità della pena particolarmente pregnante nel caso del trattamento sanzionatorio del delitto di omicidio, i quanto esso può essere connotato, nei casi concreti, da «livelli di gravità notevolmente differenziati», che possono aver riguardo tanto al profilo oggettivo – in relazione, in particolare, alla tipologia e alle modalità della condotta – quanto a quelli soggettivi, attinenti al diverso grado di manifestazione dell’intento omicidiario.

Infine, se è vero che l’accesso ai riti alternativi - quando legislatore abbia previsto la loro esperibilità in presenza di certe condizioni - costituisce «parte integrante del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost.”, non se ne può però dedurre un diritto di qualunque imputato ad accedere a tutti i riti alternativi previsti dall’ordinamento processuale penale, come invece parrebbe, erroneamente, presupporre il giudice a quo.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©