Green pass, Viminale: per gli esercenti controllo d'identità solo in caso di dubbi
Intanto il Garante della privacy chiarisce che sono legittimati a far esibire i documenti ma senza raccolta di dati
Green pass e controllo d'identità del possessore solo eventuale. I gestori di bar e ristoranti, così come gli steward agli spettacoli e agli eventi sportivi possono chiedere la carta d'identità per appurare la coincidenza tra la persona che esibisce l'attestato e quella indicata nel documento (cartaceo o digitale), ma non sono obbligati a farlo. Solo in caso di sospetto abuso tale verifica diviene necessaria (come, ad esempio, quando appaia manifesta l'incongruenza con i dati anagrafici contenuti nella certificazione verde). Ed in quest'ipotesi l'avventore è tenuto all'esibizione del documento di identità anche se il verificatore richiedente non rientri nella categoria dei pubblici ufficiali.
Così la circolare del Ministero dell'interno del 10 agosto, inviata ai prefetti di tutta Italia, a firma del capo di gabinetto Bruno Frattasi, che considera l'attività di controllo dell'identità personale del possessore del certificato verde Covid-19 non indefettibile, come dimostra la locuzione "a richiesta dei verificatori" contenuta nel comma 4 dell'articolo 13 del Dpcm 17 giugno 2021.
Un importante chiarimento che ufficializza quanto preannunciato, nei giorni scorsi, dalla ministra dell'interno Luciana Lamorgese la quale, nel corso di un'intervista in streaming al quotidiano La Stampa, in risposta alle polemiche delle associazioni di categoria dopo che il vigente Dpcm sul green pass li aveva inseriti tra i "verificatori", oltre che del Qr code, anche della titolarità dell'attestato, aveva escluso che gli esercenti pubblici fossero tenuti a chiedere documenti di identità ai loro clienti («I ristoratori non siano poliziotti, non è il loro compito», aveva precisato).
Frattanto il Garante per la protezione dei dati personali – riunitosi in seduta straordinaria per esaminare il tema della protezione dati connesso alle disposizioni in materia di green pass e certificazioni verdi riguardanti lo svolgimento dell'attività scolastica – con parere del 10 agosto, in risposta ad un quesito della Regione Piemonte ha chiarito che la disciplina procedurale sulle modalità di esecuzione delle verifiche dei certificati verdi Covid-19, oggi riconducibile al Dpcm del 17 giugno scorso, contempla la garanzia dell'esclusione della raccolta, da parte dei soggetti verificatori, dei dati dell'intestatario del green pass, in qualunque forma (articolo 13, comma 5, del Dpcm). Entro questi termini, pertanto, e nei sensi di cui al combinato disposto degli articoli 9-bis, comma 4, secondo periodo, del Dl n. 52/2021, e 13, comma 4 del vigente Dpcm, «è consentito il trattamento dei dati personali consistente nella verifica, da parte dei soggetti verificatori di cui all'articolo 13, comma 2 [anche quelli non rientranti nella categoria dei pubblici ufficiali: quali gestori o esercenti di bar e ristoranti, titolari di palestre, steward, NdA] dell'identità dell'intestatario della certificazione verde, mediante richiesta di esibizione di un documento di identità».
Da par suo la circolare del Viminale precisa che, sempre ai fini del rispetto della privacy dell'interessato, quando è necessaria l'esibizione del documento di identità, la procedura di verifica «dovrà in ogni caso essere svolta con modalità che tutelino anche la riservatezza della persona nei confronti di terzi».
Le due fasi: possesso green pass (necessaria) e verifica d'identità (eventuale)
Riguardo al possesso delle certificazioni verdi Covid-19 e al loro utilizzo, la circolare del Ministero dell'interno pone un fondamentale distinguo tra:
1) la prima fase – necessaria ed obbligatoria – di verifica del possesso del green pass da parte dei soggetti che intendano accedere alle attività per le quali è prescritto (vedi relativa scheda in fondo);
2) la seconda fase – eventuale e discrezionale – di dimostrazione, da parte del soggetto intestatario della certificazione verde, della propria identità personale, mediante ostensione del proprio documento di identità.
La prima fase ricorre in ogni caso – scandisce il Viminale – e proprio in ragione di ciò, è configurata dall'articolo 13 del Dpcm 17 giugno scorso come un vero e proprio obbligo a carico dei soggetti ad essa deputati, che sono:
a) tutti i pubblici ufficiali nell'esercizio delle relative funzioni (forze dell'ordine, militari, personale Asl, eccetera);
b) il personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento e di spettacolo in luoghi aperti al pubblico o in pubblici esercizi (steward), iscritto nell'apposito elenco (articolo 3, comma 8, legge n. 94/2009), cui peraltro è fatto divieto di uso di armi e qualunque altro strumento di coazione fisica;
c) i soggetti titolari delle strutture ricettive e dei pubblici esercizi, nonché i loro delegati;
d) il proprietario o il legittimo detentore di luoghi o locali presso i quali si svolgono eventi e attività per partecipare ai quali è prescritto il possesso di certificazione verde, nonché i loro delegati;
e) i vettori aerei, marittimi e terrestri, nonché i loro delegati;
f) i gestori delle strutture che erogano prestazioni sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali per l'accesso alle quali, in qualità di visitatori, sia prescritto il possesso di certificazione verde nonché i loro delegati.
Diversamente della preliminare attività di verifica del pass, la seconda fase – consistente nella richiesta di esibizione di un documento di identità – ha natura discrezionale («non ricorre indefettibilmente», cadenza la circolare): essa «è rivolta a garantire il legittimo possesso della certificazione medesima», ed ha lo «scopo di contrastare casi di abuso o di elusione» delle disposizioni obbligatorie in esame.
Al riguardo il citato articolo 13 del vigente Dpcm opportunamente indica tra i soggetti investiti di tale verifica anzitutto «i pubblici ufficiali nell'esercizio delle relative funzioni» (articolo 357 del Cp), notoriamente muniti del potere di identificazione delle persone per fini di controllo stabiliti a vario titolo dalla legge, mentre in relazione alle altre categorie – e, in particolare, quella costituita da soggetti privati quali i gestori e dagli esercenti di bar e ristoranti e pubblici esercizi in genere – secondo il Viminale la verifica dell'identità si renderà necessaria nei casi di (sospetto) abuso o (sospetta) elusione delle norme (come ad esempio in caso di data di nascita ictu oculi incompatibile con l'età manifesta del possessore, oppure a fronte di un possessore uomo e un'intestataria donna o viceversa). In questi casi, «l'avventore è tenuto all'esibizione del documento di identità ancorché il verificatore richiedente non rientri nella categoria dei pubblici ufficiali, di cui al comma 2, lettera a) dell'articolo 13 del citato Dpcm.
Sanzioni in caso di incongruenze
Il documento di prassi del Viminale chiarisce infine che qualora si accerti la non corrispondenza fra il possessore della certificazione verde e l'intestatario della medesima, la sanzione pecuniaria prevista dall'articolo 4 del Dl n. 19/2020, convertito, con modificazioni, in legge n. 35/2020 (da 400 a 1.000 euro, (riducibile, in caso di pagamento nei cinque giorni, a 280 euro, e raddoppiabile in caso di recidiva) risulterà applicabile nei confronti del solo avventore, laddove non siano riscontrabili palesi responsabilità anche a carico dell'esercente.