Il coniuge non assegnatario non può abitare nella casa familiare rimasta libera
Lo ha precisato il tribunale di Torino con la sentenza n. 3958/20201
In tema di separazione personale, la scelta del coniuge affidatario dei figli minori di andare a vivere in altro luogo e di non chiedere l'assegnazione della casa familiare, che spetterebbe di diritto, può essere dettata dalle più svariate ragioni, legate alle nuove esigenze di vita, ma non costituisce di per sé un comportamento concludente idoneo a esprimere il consenso all'utilizzo dell'immobile da parte dell'altro coniuge. Questo è quanto emerge dalla sentenza del Tribunale di Torino n. 3958/2021.
La vicenda - La controversia oggetto della decisione riguarda due ex coniugi i cui rapporti, nonostante il raggiungimento di un accordo per la separazione consensuale, rimanevano altamente conflittuali. A seguito della separazione, la figlia minorenne veniva affidata alla madre, che decideva di trasferirsi in altra città assieme alla figlia, lasciando di fatto libera la casa familiare, acquistata in comproprietà con l'ex marito. Quest'ultimo decideva perciò di rimanere a vivere nell'abitazione, continuando a pagarne il mutuo.
Dopo circa tre anni, tuttavia, l'uomo chiedeva alla ex moglie di versargli la metà delle rate di mutuo da lui solo versate. La signora, dal canto suo, si opponeva chiedendo di far valere in compensazione il riconoscimento dell'indennità per l'occupazione, da parte del marito, dell'immobile in comproprietà, a lei spettante in quanto affidataria della minore e che, solo per scelta personale, non era stato adibito a propria abitazione.
L'utilizzo è necessariamente esclusivo - Il Tribunale accoglie la richiesta dell'uomo in merito al pagamento della metà delle rate di mutuo versate alla banca e accoglie altresì la domanda della donna circa il pagamento dell'indennità di occupazione della casa familiare. Quanto a quest'ultimo aspetto, il giudice ritiene improprio il richiamo fatto dall'uomo all'articolo 1102 cod. civ. circa il godimento esclusivo del bene in comunione, che non avrebbe impedito alla ex moglie di farne comunque uso. Difatti, il presupposto della norma è costituito «dalla circostanza che il bene oggetto di comunione, per la sua natura o per le modalità del suo utilizzo da parte dei comproprietari, sia suscettibile di essere fruito, sia pure in tempi diversi, da parte di tutti i partecipi alla comunione». Ciò non può accadere per la casa in comproprietà tra due coniugi, trattandosi di unità immobiliare non frazionabile, con la conseguenza che «l'utilizzo da parte di uno dei due inevitabilmente determina l'esclusione di qualsiasi possibilità di godimento ed utilizzo da parte dell'altro».
La scelta di vivere altrove non implica consenso a occupare la casa - Ciò posto, secondo il giudice non può dirsi nemmeno che vi sia stato consenso da parte della ex moglie all'utilizzo della casa da parte dell'ex marito, posto che la mera circostanza che, dopo la separazione, la stessa si sia trasferita in altro luogo con la figlia non può certo deporre in tal senso. Ebbene, «la scelta di andare a vivere altrove e di non chiedere l'assegnazione della casa coniugale, che sarebbe seguita di diritto, visto l'affidamento della figlia, può essere stata dettata dalle più svariate ragioni, anche di ordine logistico e di organizzazione rispetto alle nuove esigenze di vita, ma non costituisce di per sé comportamento concludente, idoneo, anche in via meramente indiziaria, ad esprimere il consenso all'utilizzo dell'immobile» da parte dell'ex marito, così rinunciando anche alle possibilità di messa a reddito dell'immobile.