Penale

Caccia, il reato scatta anche solo per i mezzi predisposti in assenza di prede

Si tratta di reato di pericolo a consumazione anticipata che rileva quando è acecertata l’offensività concreta delle strumentazioni anche diverse dalla normali armi da sparo, ma idonee alla cattura

di Paola Rossi

La detenzione di reti ampie, di richiami acustici per la cattura degli uccelli e di alcuni esemplari vivi o morti è un quadro indiziario sufficiente a provare la commissione del reato di uccellagione, sanzionato dall’articolo 30 della legge 157/1992.

E come chiarisce la Corte di cassazione penale - con la sentenza n. 8863/2025 - per la consumazione del reato non sarebbe neanche necessario rinvenire nell’immediatezza dell’accertamento del fatto la presenza di esemplari appena catturati.

Si tratta, infatti, di un reato cosiddetto di pericolo a consumazione anticipata. Quindi ciò che rileva è la predisposizione di strumenti atti a cacciare gli animali selvatici nel loro habitat naturale contravvenendo alle leggi dello Stato o regionali.

Il reato è perciò integrato con “qualsiasi atto diretto alla cattura di uccelli con mezzi diversi dalle armi da sparo e con potenzialità offensiva indeterminata, non essendo invece richiesta l’effettiva apprensione dei volatili”.
Mezzo diverso dalle armi da sparo con potenzialità offensiva indeterminata è sicuramente l’apposzione di reti.

Un’altra disposizione della stessa norma incriminatrice è poi quella relativa ai richiami sonori che intercettano i volatili attraendoli. Scatta il reato se una persona possiede e fa funzionare un simile richiamo tenendo un atteggiamento da caccia.

Da ciò va desunto che il reato si configura non solo in caso di effettiva uccisione o cattura della selvaggina, ma anche con riguardo al compimento di qualunque attività preliminare alla caccia. E anche realizzando qualsiasi atto che appaia comunque diretto alla soppressione o alla cattura di uccelli (o di animali in genere)

Infine, lo stesso articolo di legge contiene un’altra disposizione penale che sanziona la mera detenzione di animali “protetti, cioè quelli ricompresi nell’elenco dell’articolo 2 della stessa legge del 1992. Tra essi rientrano anche la specie di volatili di cui aveva il possesso il ricorrente, il quale si è quindi visto respingere il ricorso per cassazione anche in ordine a tale ultima imputazione.

Conclude, sul punto, la Cassazione facendo rilevare che in caso di detenzione di animali di cui la caccia sia vietata l’onere della prova incombe sull’imputato che dovrà dimostrare la provenienza non illecita degli esemplari. Altrimenti, insindacabilmente risulterà violato il divieto di detenzione di esemplari di fauna selvatica.

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