Il Pacchetto Omnibus e il nuovo “Clean Industrial Deal”
Alle ombre rappresentate dalla progressiva ritirata del Green Deal si contrappongono i fiochi barlumi del nuovo Clean Industrial Deal con il quale saranno mobilitati oltre 100 miliardi di euro per supportare la transizione industriale pulita “made in Europe”
Il 26 febbraio scorso ha rappresentato una data importante nella recente evoluzione dell’ordinamento unionale in materia di finanza sostenibile, di cui registriamo gli sviluppi dalle righe di questa rubrica. Tuttavia, l’evoluzione regolamentare non avviene con ritmo lineare e coerente, ma piuttosto con passo sincopato.
Da un lato, la traiettoria nel lungo termine, gli obiettivi finali predeterminati (quali il contenimento dell’aumento della temperatura globale entro 1,5 gradi, la riduzione delle emissioni di gas serra, il rispetto dei diritti umani ed il contrasto allo sfruttamento sui luoghi di lavoro e alle disuguaglianze sociali) ed anche le tappe intermedie (come il ruolo chiave, “abilitante”, dell’industria finanziaria per l’investimento nelle attività produttive maggiormente sostenibili, assolto attraverso la trasparenza dell’informativa societaria e contabile, ed il controllo delle catene di fornitura) appaiono chiaramente definiti.
Come si sa, però, il diavolo è nei dettagli e, dall’altro lato, l’insorgenza di nuovi obiettivi di politica economica dell’Unione Europea, associati a (o, per meglio dire, necessitati da) le tensioni geopolitiche internazionali e le sopravvenute, recenti misure protezionistiche nel commercio internazionale, influisce sulla tempistica di recepimento di tale regolamentazione. Si noti, incidentalmente, che tali ritardi non sono neutrali rispetto alla stima dei rischi climatici e ambientali (in primis i rischi fisici, con i relativi impatti da fattorizzare), ma, al contrario, sono suscettibili di accrescere la magnitudine dei predetti rischi e la loro trasmissione ai rischi di natura eminentemente finanziaria.
Il 26 febbraio la Commissione europea ha presentato a Consiglio e Parlamento UE il pacchetto Omnibus, comprendente due proposte di Direttive: una recante sostanzialmente una proroga di alcuni termini ed un’altra, più complessa, modificativa della portata degli adempimenti di importanti disposizioni comunitarie in materia ESG. In particolare, il fine del nuovo impianto normativo è quello di semplificare gli adempimenti, riducendo l’ambito di applicazione soggettivo e posticipando l’implementazione delle disposizioni della Direttiva (UE) 2022/2464 (CSRD) e della Direttiva (UE) 2024/1760 (CSDDD).
Il pacchetto Omnibus è stato definito come una semplificazione che, però, non intende essere una deregolamentazione. Le imprese originariamente destinatarie della CSRD erano quelle che, integrando almeno due requisiti su tre, avrebbero dovuto avere più di250 dipendenti e siano considerate “enti di interesse pubblico” – per tali intendendosi le società quotate sui mercati regolamentati, le banche, i gestori del risparmio, le compagnie di assicurazione e riassicurazione (gli altri due requisiti inizialmente richiedevano uno stato patrimoniale superiore a 20 milioni di euro e ricavi netti superiori a 40 milioni di euro; rientravano inoltre nell’ambito di applicazione della CSRD le società extracomunitarie quotate sui mercati regolamentati UE o con filiazioni nel territorio dell’Unione e ricavi superiori a 150 milioni di euro, nonché le PMI comunitarie quotate). Se la proposta di pacchetto Omnibus dovesse essere approvata dai co-legislatori così come presentata dalla Commissione, i soggetti interessati sarebbero limitati alle sole imprese che, tra i propri requisiti, abbiano più di 1.000 dipendenti e ricavi da vendite e prestazioni superiori a 50 milioni di euro o un totale di bilancio superiore a 25 milioni di euro, con una riduzione stimata di oltre l’80% delle società destinatarie. Di conseguenza, sarebbe sottratto dalla sfera di applicazione della CSRD un ingente numero di PMI quotate.
Il primo provvedimento del pacchetto Omnibus ad essere stato emanato, il 14 aprile scorso, è stata la Direttiva (UE) 2025/794, pubblicata due giorni dopo sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea e recante le disposizioni c.d. “stop the clock”. Con tale espressione s’intende l’articolato normativo teso a proroga dei termini di recepimento e riduzione delle disposizioni comunitarie in materia di reportistica societaria (CSRD) e due diligence di sostenibilità (CSDDD), con una diminuzione degli oneri amministrativi di oltre il 25% per le imprese in origine destinatarie di tali provvedimenti e, in particolare, del 35% per le PMI.
Specificatamente, è stato disposto il differimento:
• di due anni, per gli esercizi aventi inizio il 1° gennaio 2028, a decorrere dal quale gli Stati Membri dovranno far rispettare gli obblighi della CSRD relativi alla rendicontazione societaria di sostenibilità per le grandi imprese, che non abbiano ancora adottato tale reportistica, ma vi sarebbero state tenute a partire dal 2026 o dal 2027 (per le PMI quotate che invece continuassero ad essere soggette alla CSRD, il termine decorrerebbe dal 1° gennaio 2029), evitando così che tali adempimenti da parte delle imprese di maggiori dimensioni gravino, a cascata, su società e aziende più piccole collocate lungo la loro supply chain;
• di un anno, per gli esercizi aventi inizio il 1° gennaio 2027, a decorrere dal quale gli Stati Membri dovranno imporre l’applicazione, per la prima volta, degli obblighi di due diligence sulla sostenibilità di cui alla CSDDD (Direttiva a cui avevamo dedicato un precedente contributo in questa stessa rubrica) alle imprese di maggiori dimensioni. Gli obblighi imposti dalla CSDDD si applicheranno a partire dal 26 luglio 2028 per le società con sede nei Paesi Membri che, dal bilancio relativo all’esercizio sociale precedente a tale data, abbiano avuto in media più di 3.000 dipendenti e ricavi netti, a livello globale, superiori a 900 milioni di euro (tale soglia di fatturato è rilevante anche per le imprese di Paesi terzi, mentre per queste ultime non rileva il numero di dipendenti).
Gli Stati Membri dovranno adottare le disposizioni legislative e regolamentari di cui alla citata Direttiva 2025/794 entro il 31 dicembre 2025.
Il pacchetto Omnibus restringe notevolmente l’ambito applicativo della CSDDD attraverso i seguenti interventi:
• le valutazioni relative ai fattori di rischio si applicano solo ai fornitori diretti;
• la periodicità richiesta per il monitoraggio è drasticamente ridotta da una volta all’anno a una volta ogni cinque anni;
• è eliminato qualsiasi obbligo di porre termine ai contratti con i fornitori che non siano conformi alla normativa;
• è rimossa la responsabilità civile in caso di inadempimento, ovvero le aziende non saranno soggette a sanzioni euro-unitarie, ma si applicheranno i singoli regimi nazionali;
• una volta stabilito un target, questo vale per tutti e gli Stati Membri non potranno definire disposizioni di due diligence più stringenti.
Il pacchetto Omnibus contiene altresì emendamenti alla CSRD relativi alla rendicontazione della Tassonomia, con deroga all’articolo 8 del Regolamento (UE) 2020/852 (Regolamento Tassonomia), riducendo l’onere informativo degli obblighi di rendicontazione, originariamente incombenti su tutte le imprese che, rientrando nell’ambito applicativo della CSRD, sarebbero state tenute anche a comunicare come la propria attività d’impresa fosse allineata alle attività economiche ecosostenibili. Tale obbligo sarebbe ora ridotto, con applicazione limitata soltanto alle società di maggiori dimensioni (società con ricavi netti superiori a 450 milioni di euro ed oltre 1.000 dipendenti), mentre per le imprese con più di 1.000 dipendenti, ma ricavi inferiori a 450 milioni di euro, è stata proposta la possibilità di rendicontazione volontaria della Tassonomia UE.
È stata inoltre introdotta la possibilità di rendicontare le attività che siano solo parzialmente allineate alla Tassonomia stessa, favorendo i finanziamenti per una transizione ambientale delle attività economiche reali graduale nel tempo, ed è stata prevista l’esenzione dalla valutazione dell’idoneità e dell’allineamento alla Tassonomia per le attività economiche che non siano finanziariamente rilevanti rispetto al business caratteristico delle imprese destinatarie (ad esempio, quelle che non superano il 10% del loro fatturato totale, delle spese in conto capitale o del totale degli attivi). È stata anche proposta la semplificazione dell’articolato criterio “Do No Significant Harm” (DNSH) per la prevenzione e il contrasto all’inquinamento, cui si era fatto cenno in questo precedente contributo e che consente di definire un’attività economica come ecosostenibile nella misura in cui persegua uno dei sei obiettivi ambientali elencati nell’articolo 9 del Regolamento Tassonomia, senza arrecare un danno significativo a nessuno degli altri obiettivi.
In definitiva, nel corso della navigazione nel mare aperto della finanza sostenibile, passato da bonaccia a burrasca a causa dei sempre più alti e frequenti flutti delle tensioni geopolitiche, dei conflitti militari e dei dazi al commercio, la Commissione ha compreso che la sola bussola del Green Deal europeo non fosse sufficiente e, per correggere la rotta, vi ha affiancato una nuova carta nautica, con la successiva comunicazione (29 gennaio 2025) sul Competitive Compass, volta a colmare il gap di competitività delle imprese comunitarie con le economie più avanzate del mondo dal punto di vista tecnologico, attraverso la riduzione degli adempimenti di conformità considerati più onerosi e la significativa esclusione delle società di minori dimensioni collocate lungo le catene di fornitura di quelle maggiori.
A tali strumenti poi, sempre il 26 febbraio scorso, si è aggiunto anche il sestante del Clean Industrial Deal, che persegue l’ambizioso obiettivo del bilanciamento tra l’urgente incremento di produttività di interi settori industriali strategici, puntando in particolare su quelli ad alta intensità energetica (siderurgia, metallurgia e industria chimica) e su quelli delle tecnologie pulite, da un lato, e gli obiettivi di riciclo, circolarità e decarbonizzazione industriale, dall’altro lato. Attraverso il Clean Industrial Deal saranno mobilitati oltre 100 miliardi di euro per supportare la transizione industriale pulita “made in Europe”, potenziando le capacità finanziarie del Fondo per l’Innovazione e promuovendo la costituzione di una Banca per la decarbonizzazione industriale.
Sarebbe probabilmente riduttivo limitarsi a rilevare, tra Commissione von der Leyen I e Commissione von der Leyen II, l’ambiguità dell’orientamento di politica economica sul Green Deal, in un contesto geopolitico profondamente mutato negli ultimi anni. Si vedrà come la proposta di Direttiva modificativa di CSRD, CSDDD e Regolamento sulla Tassonomia, nel pacchetto Omnibus, uscirà dal Trilogo nella sua versione definitiva, ma al momento è fuor di dubbio che, al di là di un pur corretto ribilanciamento regolamentare ispirato al pragmatismo, alcune tra le principali disposizioni di finanza sostenibile originariamente emanate potranno risultare sostanzialmente ridotte in scala ed efficacia. Mentre non sono diminuite e restano imponenti le sfide ambientali all’orizzonte per la nostra “casa comune” (a cui, dieci anni fa, Papa Francesco dedicava la sua più celebre enciclica ed il suo testamento spirituale). Alle lunghe ombre rappresentate dalla progressiva ritirata del Green Deal si contrappongono, in ogni caso, i fiochi barlumi del nuovo Clean Industrial Deal.
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*Avv. Pietro Massimo Marangio, Partner Eversheds Sutherland