Civile

Il punto su promessa disinteressata, donazione e donazione indiretta

Differenze giuridiche, formali e contenutistiche dei negozi giuridici

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di Deborah Quattrone


Di norma, il trasferimento dei diritti e l'assunzione di obbligazioni operano in seguito ad un corrispettivo. Laddove ad una prestazione non corrisponda una controprestazione, e dunque colui che si obbliga non riceve nulla in cambio ma conferisce solo un vantaggio a chi riceve, è da considerarsi gratuita. E' in tale ottica che si inseriscono, con importanti differenze giuridiche, formali e contenutistiche la promessa disinteressata, la donazione le la donazione indiretta.

Tra gli atti gratuiti, assumono una posizione specifica le liberalità, caratterizzate dall'incremento del patrimonio di chi riceve e di conseguenza una deminutio del patrimonio di chi esegue, dalla spontaneità ossia l'assenza di una coazione giuridica nel compimento dell'obbligazione, e dall'animus donandi ovvero dalla mancanza di un interesse patrimoniale sotteso all'operazione.

La donazione ex art. 769 c.c. è l'atto di liberalità per eccellenza connotato da rigide formalità, formalità che hanno imposto una differenziazione rispetto agli altri atti a titolo gratuito che non soggiacciono alle stesse regole, fra i quali la donazione indiretta e le promesse unilaterali, quest'ultimi negozi a titolo gratuito non necessariamente caratterizzate dalla liberalità.

E' opportuno infatti specificare che secondo le dottrina più acclarata ciò che differenzia la gratuità dalla liberalità è la presenza nei primi di un interesse non patrimoniale alla prestazione e alla conseguente assenza di una controprestazione.

Tale interesse dovrà essere valutato alla luce della nozione di causa intesa in senso concreto, quindi in virtù di una valutazione di meritevolezza operata caso per caso.

Sulla scorta di tali premesse si inseriscono le promesse disinteressate e la loro possibile vincolatività in virtù dell'apertura ad un modello di promessa unilaterale atipico.

LA PROMESSA DISINTERESSATA: NOZIONE, CARATTERISTICHE E TESI A CONFRONTO

Per promessa disinteressata, detta anche liberale, si intende una dichiarazione unilaterale fatta dal promittente non sorretta da una controprestazione o necessariamente da uno spirito di liberalità e finalizzata ad una mera attribuzione nei confronti del promissario. La problematica quindi potrebbe involvere la possibilità di considerare tali dichiarazioni giuridicamente vincolanti ed eventualmente di stabilirne i presupposti, i limiti applicativi, l'ambito di operatività e le relative conseguenze. La tematica sottesa al quesito suesposto è quindi strettamente connessa all'evoluzione interpretativa delle promesse unilaterali, soprattutto avuto riguardo all'ammissibilità dell'atipicità di tali negozi giuridici; nonché in relazione al mutamento dell'istituto della donazione.

Le promesse ex art. 1987 c.c. sono negozi giuridici unilaterali con il quale una parte si obbliga senza corrispettivo ad una prestazione, o nei confronti di un singolo individuo c.d. promessa individuale, o della collettività c.d. promessa al pubblico. Le stesse producono effetti a prescindere dall'accettazione del beneficiario, ma con la sola comunicazione nei confronti del destinatario o della collettività: hanno dunque carattere vincolante, gratuito e recettizio.

La giuridicità di tali promesse è una novità di codice civile del 1942, in quanto né nel Codice Napoleonico del 1804, né nel codice Zanardelli del 1865 erano considerate fonti di obbligazioni sull'assunto della mancanza dell'incontro di due volontà. Tale riconoscimento è dunque il frutto del passaggio da una società fondiaria basata sulla proprietà terriera, ad una società incentrata sui traffici commerciali e sulla necessità di agevolare la circolazione della ricchezza dematerializzata.

Il fondamento della vincolatività di tali promesse è rinvenibile secondo parte della dottrina nella sola volontà del promittente di obbligarsi, secondo altra tesi nel ragionevole e prevedibile affidamento del promissario. Quest'ultima teoria è ad oggi la più accreditata anche in virtù dei Principi di diritto europeo che sanciscono il legittimo affidamento, della evoluzione del diritto civile in un'ottica sempre più solidaristica ex art. 2 Cost. e della logicità e razionalità dei rapporti giuridici.

Acclarata l'obbligatorietà di tali promesse, le problematiche più recenti hanno avuto ad oggetto l'ammissibilità del carattere atipico di tali negozi, ovvero di promesse non corrispondenti ai soli casi stabiliti dalla legge ma che comunque soddisfino interessi meritevoli di tutela.

A tal riguardo le due tesi che si sono contrapposte sono le seguenti.

• La tesi negativa, e più risalente nel tempo, pone a sostegno della tipicità diverse considerazioni: in primo luogo, l'argomento letterale di cui all'art. 1987 c.c. che prevede che le promesse unilaterali producano i propri effetti solo nei casi stabiliti dalla legge; sulla stessa scia inoltre si porrebbe anche la Relazione di accompagnamento al Codice Civile; si afferma inoltre che l'art. 1173 c.c. non include tali negozi all'interno delle fonti di obbligazioni; ed infine l'atipicità si porrebbe in contrasto con i principi dell'intangibilità della sfera giuridica altrui e di centralità del consenso del destinatario.

• La tesi favorevole alla atipicità, ad oggi più seguita in quanto maggiormente in linea con l'evoluzione giurisprudenziale dei principi del diritto civile, confuta tutte le argomentazioni suesposte. Innanzitutto valorizza i principi di certezza del diritto e del legittimo affidamento; considera il principio di intangibilità della sfera giuridica altrui relativo solo alle conseguenze pregiudizievoli per il destinatario e non per quelle favorevoli a quest'ultimo; non considera la mancata menzione nell'art. 1173 c.c. un argomento valido per possa negare l'atipicità; ed infine sostiene la tesi secondo cui l'art. 1333 c.c. sia alla base dell'ammissibilità delle promesse unilaterali atipiche. Riguardo quest'ultimo assunto si afferma infatti che non è accettabile la tesi secondo cui l'art. 1333 c.c. disciplini un contratto unilaterale suscettibile di perfezionarsi a prescindere dall'accettazione della controparte.

A sostegno di ciò si sostiene: che l'art. 1333 c.c. non può basarsi sul presupposto che esista la sola volontà bilaterale degli effetti; non sembra altresì accettabile neanche la considerazione che l'art. 1333 c.c. disciplinerebbe un contratto che si perfezionerebbe in virtù di un'accettazione tacita, in quanto non è possibile equiparare il silenzio ad accettazione; si replica inoltre che l'art. 1987 c.c. è una norma di rinvio che non preclude l'atipicità dei negozi in esame; infine si evidenzia che l'art. 1333 c.c. non statuisce la tipizzazione delle promesse, ma solo il loro schema di formazione, diverso rispetto a quello ordinario della proposta e dell'accettazione.

Non è dunque vietata la promessa atipica, ma solo quella atipica pura che prescinda dallo schema procedurale di cui all'art. 1333 c.c.

La tesi dell'atipicità delle promesse unilaterali è altresì rafforzata dalla evoluzione della nozione di causa, non più intesa in senso astratto ma da valutare in concreto quindi in relazione alla meritevolezza degli interessi sottesi al negozio giuridico. La dottrina prevalente infatti ravvisa il fulcro della vincolatività della promessa nell'affidamento riposto dal promissario nel rispetto dell'impegno da parte dal promittente. Secondo la natura atipica del modello quindi ogni prestazione può essere oggetto di promessa unilaterale se lecita, determinata, determinabile e con contenuto patrimoniale ai sensi del combinato disposto degli artt. 1333 c.c. e 1411 c.c.

Dunque la problematica concernente la vincolatività delle promesse liberali quali sub specie di promesse unilaterali atipiche si risolve negativamente per soprattutto in ordine a due diverse ragioni: sia in quanto tali dichiarazioni non risultano ancorabili allo schema formale di cui all'art. 1333 c.c., ma l'ostacolo maggiore rileva ai fini della mancanza di una meritevolezza della causa non passibile di giustificare il legittimo affidamento nei confronti del beneficiario.

LA DONAZIONE

Effettuate le suesposte considerazioni in termini di promessa liberale è adesso possibile analizzare la donazione e la donazione indiretta.

Come anticipato la donazione è disciplinata dall'art. 769 c.c. e corrisponde all'atto di liberalità per eccellenza. Si tratta di un contratto con il quale una parte per spirito di liberalità arricchisce l'altra conferendo a favore di questa, un suo diritto reale o di credito, la rinuncia allo stesso o l'assunzione di un'obbligazione. In virtù di tale differenziazione la donazione è denominata rispettivamente: reale, di credito, liberatoria o obbligatoria.
Gli elementi caratterizzanti la donazione sono: lo spirito di liberalità, inteso quale incontro di due volontà e non di una come per le promesse unilaterali, affinché infatti tale liberalità produca effetti è necessaria l'accettazione dell'altra parte. La causa della donazione è stabilita dalla legge nell'impoverimento da parte del donante e nel conseguente arricchimento della controparte, ma assume una valenza più debole rispetto ad altri elementi come ad esempio in relazione al requisito formale, finanche da essere negata dalla dottrina minoritaria. La rigidità formale dell'art. 769 c.c. è infatti una caratteristica fondamentale che sta alla base della donazione ed ha come "ratio" un'adeguata ponderazione delle scelte del donante.

• Secondo un primo orientamento ormai minoritario, infatti la donazione sarebbe priva di causa. Tali considerazioni sarebbero dettate dalla nozione astratta intesa come funzione economico-sociale del contratto, coincidente nei contratti nominati con il tipo e più in generale con gli scopi predeterminati dall'ordinamento.

• Secondo altra opinione più accreditata, la causa sarebbe individuabile nell'ultimo dei motivi cioè nel motivo finale concernente l'arricchimento del patrimonio del donatario senza che il donante riceva alcun corrispettivo. A tale tesi però si obietta che rinvenire la causa della donazione nella sola intenzione di accrescere il patrimonio della controparte, andrebbe contro il principio della riferibilità della causa alla volontà di entrambe le parti e non quindi di una soltanto.

Per tale motivo autorevole dottrina differenzia l'animus donandi in senso soggettivo da quello oggettivo: il primo incentrato sulla volontà del donante, il secondo sull'effettivo arricchimento del donatario.

Ed è proprio tale differenziazione che distingue le liberalità dagli atti gratuiti: per aversi donazione non è sufficiente l'animus donandi in senso oggettivo altrimenti verrebbe meno la distinzione tra liberalità e gli altri atti gratuiti ma è necessario anche quello soggettivo.

La forma, è espressamente indicata dall'art. 782 c.c. nell'atto pubblico a pena di nullità. Tale atto deve essere redatto quindi da un notaio o da un pubblico ufficiale che attribuiscono al documento pubblica fede ex art. 2699 c.c., requisiti non richiesti invece per le donazioni di modico valore.

Da questa disciplina discende che la donazione deve essere provata per iscritto con l'atto pubblico di donazione.

Tali formalità valgono solo per le donazioni e non anche per le altre liberalità come la donazione indiretta cosi come disciplinato dall'art. 809 c.c.

LA DONAZIONE INDIRETTA

La donazione indiretta, detta anche liberalità atipica, si realizza quando le parti conseguano il risultato tipico della donazione contrattuale ma attraverso uno strumento giuridico diverso dalla donazione. La giurisprudenza ha evidenziato che l'effetto pratico tra le donazioni dirette e indirette è il medesimo, ciò che differenzia i due atti di liberalità è il mezzo utilizzato, che per le prime è il contratto ex art. 769 c.c. e per le seconde è un diverso negozio giuridico.

Le donazioni ex art. 809 c.c. non richiedono infatti la forma solenne espressamente prevista per quelle contrattuali e possono essere poste in essere anche da atti a titolo oneroso dove la prestazione del concedente supera di gran lunga il valore della controprestazione. E' il caso ad esempio della vendita mista a donazione, si tratta infatti di una donazione indiretta attuata mediante il contratto di compravendita e finalizzata ad arricchire il compratore mediante la differenza tra il prezzo pattuito e quello effettivo; in tal caso quindi non è necessaria la forma dell'atto pubblico ma solo le forme previste dallo schema negoziale utilizzato, ovvero la vendita.

Riguardo le liberalità atipiche restano incerti sia la struttura che il meccanismo dell'istituto.
Sebbene infatti parte della dottrina li considera come l'insieme di due negozi, il negozio-mezzo che è lo strumento di volta in volta scelto dalle parti e il negozio-fine ovvero la donazione indiretta, non vengono poste alternative giuridiche tali da poter considerare la riferibilità dell'art. 809 c.c. sia agli atti giuridici in senso stretto che ai negozi giuridici.
Analizzate anche le liberalità atipiche è possibile dare risposta negativa in ordine alla possibilità di ricomprendere le promesse disinteressate all'interno di tale categoria che, seppur generica e non necessitante delle rigidità formali ex art. 769 c.c., soggiacciono comunque, come tutti i negozi giuridici, ad un vaglio di meritevolezza causale non riscontrabile nelle mere promesse liberali che risultano pertanto prive di vincolatività giuridica e si avvicinano alla logica della mera cortesia.

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