Il velo islamico può essere vietato anche alla dipendente della Pa che non lavora col pubblico
La scelta di bandire negli uffici della pubblica amministrazione qualsiasi segno religioso esibito o indossato è “neutrale” quindi legittima
La Corte ha affermato che è legittima la scelta di un Comune che miri a rendere “neutrale” rispetto a tutte le religioni e convinzioni filosofiche di ognuno gli uffici amministrativi compresi quelli che non si interfacciano con gli utenti. La vicenda viene dal Belgio e riguarda l’uso del velo islamico che era stato vietato anche negli uffici che non hanno contatto col pubblico.
Il principio
Per la Corte Ue la scelta di estendere il divieto all’intero apparato amministrativo è una legittima opzione di neutralità della pubblica amministrazione se viene appplicata a tutti i dipendenti e ai segni di tutte le religioni.
La sentenza
Con la sentenza sulla causa C-148/22 la Corte di giustizia dell’Unione europea ha infatti spiegato che il fondamento che legittima decisioni degli Stati membri in tale ambito è la loro non discriminatorietà. Quindi è legittima tanto la scelta di vietare di indossare qualsiasi segno religioso al pari di quella che invece ne consenta l’uso totalmente libero e a chiunque.
La neutralità
Una pubblica amministrazione può decidere di vietare all’insieme dei suoi dipendenti di indossare segni religiosi e i giudici nazionali devono solo verificare se le misure adottate realizzino una conciliazione tra la libertà di religione e le finalità legittime che sono alla base di tale divieto.
Per cui se il fine è quello di creare un ambiente amministrativo totalmente neutro, una pubblica amministrazione può vietare di indossare in modo visibile sul luogo di lavoro qualsiasi segno che riveli convinzioni filosofiche o religiose. E una regola del genere non è discriminatoria se viene applicata in maniera generale e indiscriminata a tutto il personale di tale amministrazione limitandola allo stretto necessario.
Il caso a quo
A una dipendente di un Comune belga che svolgeva la sua funzione di responsabile di un ufficio principalmente senza contatto con gli utenti del servizio, era stato vietato di indossare il velo islamico sul luogo di lavoro. Poco dopo il Comune ha modificato il proprio regolamento di lavoro e attualmente richiede ai propri dipendenti di osservare una rigorosa neutralità, vietando qualsiasi forma di proselitismo e non consentendo di indossare segni vistosi della propria appartenenza ideologica o religiosa, compresi a quelli che non sono a contatto con gli utenti. La donna aveva chiesto ai giudici nazionali di accertare la violazione della sua libertà di religione e della discriminazione da lei subita.
La Corte investita del rinvio pregiudiziale sulla domanda ha chiarito che la politica di rigorosa neutralità imposta da una pubblica amministrazione ai suoi dipendenti al fine di creare al suo interno un ambiente amministrativo totalmente neutro può essere considerata oggettivamente giustificata da una finalità legittima. Altrettanto giustificata sarebbe la scelta di un’altra pubblica amministrazione a favore di una politica che consenta, in maniera generale e indiscriminata, di indossare segni visibili di convinzioni, in particolare filosofiche o religiose, anche nei contatti con gli utenti, o l’introduzione di un divieto di indossare siffatti segni limitato alle situazioni che implicano contatti del genere.
Infatti, ogni Stato membro, e ogni ente infrastatale nell’ambito delle sue competenze, dispone di un margine di discrezionalità nella concezione della neutralità del servizio pubblico che intende promuovere sul luogo di lavoro, a seconda del suo proprio contesto. Ciò premesso, tale finalità deve essere perseguita in modo coerente e sistematico, e le misure adottate per conseguirla devono essere limitate allo stretto necessario.