Penale

Imputato alloglotta, l'avvocato non ha l'obbligo di traduzione

Il difensore dell'imputato alloglotta ha l'obbligo di ricevere gli atti destinati al proprio assistito ma non certo quello di tradurli. L'orientamento della Cassazione

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di Marina Crisafi

Nel processo penale, l’obbligo di tradurre gli atti in favore dell’imputato alloglotta sussiste, a pena di nullità, ma non spetta certo all’avvocato il quale è tenuto (nel caso di elezione di domicilio) soltanto a ricevere gli atti destinati al proprio cliente, ma non certo quello di procedere alla loro traduzione. Lo ha affermato la sesta sezione penale della Cassazione (sentenza n. 30143/2021) aderendo a un orientamento ermeneutico in contrasto con i più recenti arresti giurisprudenziali in materia.

 

La vicenda

La vicenda ha origine dalla condanna nei confronti di un cittadino cinese, da parte della Corte d’appello di Napoli, per i reati cui agli articoli 322 e 712 del codice penale unificati sotto il vincolo della continuazione.

L’imputato propone ricorso al Palazzaccio avverso la sentenza lamentando l'omessa traduzione in lingua cinese sia del decreto di citazione per il giudizio di appello che dell'ordinanza emessa dal Tribunale di Napoli con la quale era stata disposta la correzione del capo b) dell'imputazione, nonché l’estinzione per prescrizione del reato ex articolo 712 del codice penale.

La Suprema corte gli dà ragione, ritenendo il ricorso fondato e annullando senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’estinzione del reato per prescrizione e disponendo la trasmissione degli atti al giudice del rinvio per quanto riguarda la mancata traduzione.

 

Gli orientamenti contrapposti

Gli Ermellini danno quindi conto degli orientamenti contrapposti esistenti in materia.

Il primo, cui ha aderito la corte territoriale, esclude l'obbligo di traduzione degli atti in favore dell'imputato alloglotta che abbia eletto domicilio presso il difensore di fiducia, non verificandosi in tale ipotesi alcuna lesione concreta dei suoi diritti (si veda, in tal senso, tra le tante, Cassazione n. 57740/2017).

Detto orientamento ermeneutico è stato inizialmente declinato con riferimento alla condizione processuale dell'imputato alloglotta irreperibile o latitante (cfr. Cassazione n. 47896/2014).

Il medesimo principio di diritto è stato successivamente ribadito, sempre in relazione alla condizione processuale dell'imputato irreperibile o latitante, anche a seguito della riformulazione dell'articolo 143 del codice di procedura penale (cfr. Cassazione n. 12101/2015). In tale arresto, la Cassazione ha affermato che l'obbligo di traduzione degli atti, “ha un senso unicamente rispetto agli atti processuali cui l'imputato alloglotta partecipi personalmente o che comunque giungano nella sua sfera di conoscenza o di conoscibilità in quanto soltanto in queste ipotesi acquista rilievo l'esigenza di assicurare la piena comprensione degli atti stessi da parte del prevenuto che non conosca la lingua italiana”.

Al fine di evitare prassi abusive riconducibili alle ipotesi di volontaria sottrazione alla conoscenza del procedimento o di suoi specifici atti, la S.C. ha, invece, escluso la sussistenza dell'obbligo in questione nei casi in cui gli atti debbano notificarsi al solo difensore, ritenendo che “il destinatario della comunicazione sia perfettamente in grado di comprenderne il contenuto e, eventualmente, di riferirlo al proprio assistito, qualora mantenga dei contatti con quest'ultimo, nella lingua da essi prescelta”.

Tale orientamento ha registrato un'ulteriore progressione ermeneutica con la sua estensione, non solo ai casi di latitanza o di irreperibilità dell'imputato, bensì anche alle ipotesi in cui lo stesso abbia eletto domicilio presso il difensore di fiducia (Cassazione n. 31643/2017), poiché in linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale (con la sentenza n. 136 del 2008), la nomina del difensore di fiducia “comporta l'insorgere di un rapporto di «continua e doverosa informazione» da parte del difensore verso il cliente, che comprende, non solo la tempestiva informazione sugli atti processuali che interessano il cliente, ma anche l'obbligo-onere di traduzione degli atti nella eventuale diversa lingua del cliente alloglotta o, quantomeno, di farne comprendere allo stesso comunque il significato”.

 

Tuttavia, vi è un altro orientamento ermeneutico, al quale la sesta sezione della Suprema corte decide di aderire, che ponendosi in contrasto i più recenti arresti sopra indicati, afferma invece che “l'obbligo di traduzione dell'atto in favore dell'imputato alloglotta sussiste - a pena di nullità ex art. 178 lett. c) cod. proc. pen. - anche nel caso in cui egli abbia eletto domicilio presso il difensore, avendo quest'ultimo solo l'obbligo di ricevere gli atti destinati al proprio assistito, ma non anche quello di procedere alla loro traduzione” (cfr. Cass. n. 23347/2017).

Secondo tale ultimo orientamento, infatti, “l'elezione di domicilio presso un difensore attiene solo alle modalità di notificazione degli atti processuali e non comporta la rinuncia dell'indagato alloglotta alla traduzione degli atti nella propria lingua né alla lettura ed all'esame degli atti che lo riguardano (necessari per la predisposizione di una più efficace difesa), svolgendo tale elezione, soprattutto ove si tratti di individuo privo di recapiti stabili, la funzione opposta di garantirgli una più sicura conoscenza degli stessi”.

Dunque, attraverso l'elezione di domicilio, l'indagato sceglie sia il luogo che la persona alla quale devono essere notificati gli atti processuali, ma il rapporto fiduciario che lo lega al suo domiciliatario, quand'anche lo stesso sia il difensore di fiducia, “comporta a carico di quest'ultimo solo l'obbligo di ricevere gli atti al primo destinati e di tenerli a sua disposizione, ma non di certo, come sostenuto dal contrario indirizzo ermeneutico, anche l'obbligo-onere di traduzione degli atti nella diversa lingua del cliente alloglotta, o di farne comprendere al suo assistito il significato”.  

 

Il principio di diritto

Gli Ermellini affermano quindi il seguente principio di diritto: “l'obbligo di traduzione degli atti in favore dell'imputato alloglotta, non irreperibile né latitante, sussiste - a pena di nullità ex art. 178 lett. c) cod. proc. pen. - anche nel caso in cui egli abbia eletto domicilio presso il difensore, avendo quest'ultimo solo l'obbligo di ricevere gli atti destinati al proprio assistito, ma non anche quello di procedere alla loro traduzione”.

 

La decisione

Per cui nella fattispecie, non essendo l'imputato latitante o irreperibile, e avendo lo stesso semplicemente eletto domicilio presso il difensore di fiducia, lo stesso aveva diritto alla traduzione del decreto di citazione per il giudizio di appello. Tale omissione ha determinato una nullità, sia pure a regime intermedio, del decreto di citazione che, essendo stata tempestivamente eccepita nel giudizio di appello non può ritenersi sanata. Da qui la parola al giudice del rinvio.

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