L'avvocato deve non solo essere ma anche apparire integerrimo
Ricorda il Cnf che l'autorevolezza di un avvocato non risiede solo nella sua preparazione ma nella correttezza del suo comportamento che deve essere rispettoso dei canoni deontologici e anche apparire tale
Essere o apparire? L'eterno dilemma che attanaglia il genere umano non è un problema per l'avvocato. Quest'ultimo infatti, dato l'alto ruolo, deve sia essere che apparire integerrimo. È quanto sottolineato dal Consiglio Nazionale Forense (con sentenza n. 170/2020 pubblicata il 9 marzo 2021 sul sito del codice deontologico).
La vicenda
Ad adire il Cnf è un legale sospeso dalla professione per tre mesi dal Consiglio distrettuale di disciplina del Veneto, per aver suggerito al proprio cliente la creazione di validi titoli esecutivi mediante l'emissione di assegni bancari tratti su un conto privo di provvista, al fine di sottrarre al credito azionato dalla controparte gran parte delle somme da quest'ultima pignorate nel corso di un'esecuzione, nonché per aver agito più volte in regime di conflitto di interesse.
Il procedimento traeva origine dalla segnalazione pervenuta al Consiglio dell'ordine dalla controparte, la quale chiedeva al Coa di verificare se i comportamenti posti in essere dall'avvocato avessero rilevanza disciplinare.
Il Consiglio territoriale notiziava il professionista della segnalazione pervenuta in suo danno e l'invitava a fornire chiarimenti inviando gli atti al competente Consiglio Distrettuale.
L'avvocato, dal canto suo, depositava memoria contestando la fondatezza di ogni assunto dell'esponente, ma, svolta l'istruttoria preliminare, il Cdd Veneto deliberava l'apertura del procedimento, all'esito del quale, acquisiti documenti ed escussi i testimoni, irrogava nei confronti dell'incolpato, la sanzione disciplinare della sospensione per mesi tre.
In particolare, il Cdd, riteneva indimostrata la tesi secondo cui il legale sarebbe stato il dominus di un'operazione volta alla creazione di titoli esecutivi fittizi finalizzati ad ostacolare la soddisfazione del credito della controparte e che i crediti professionali fossero stati fittiziamente formati; tuttavia, riteneva provato il conflitto di interessi, poiché a fronte di una solamente fittizia rinuncia al mandato, risultava innegabile che l'incolpato avesse agito in palese conflitto di interessi con il cliente nel momento in cui era intervenuto nell'esecuzione (pur mantenendo i legami professionali col precedente, facendolo peraltro assistere "formalmente" da una collega di studio, nella stessa procedura in cui egli era creditore interveniente), dimostrando di essere perfettamente consapevole del conflitto di interessi sussistente.
La decisione veneziana, da ultimo, evidenziava l'irrilevanza che una tale strategia fosse concordata o autorizzata dal cliente posto che il divieto di esercizio della professione in conflitto di interessi deve essere considerato un principio generale di decoro e dignità della professione inderogabile, rispetto al quale del tutto irrilevante è un eventuale accordo con l'assistito.
L'avvocato non ci sta e adisce il Consiglio nazionale Forense chiedendo la riforma del provvedimento adottato in suo danno, disponendo il proscioglimento dalle incolpazioni a lui contestate per insussistenza dei fatti, o, in subordine, mitigando la sanzione irrogata.
Il conflitto di interessi
Per il Cnf, tuttavia, la tesi della difesa non è condivisibile. Innanzitutto, il Cdd del Veneto non ha contestato la violazione dell'articolo 34 nuovo Cdf visto che l'avvocato aveva quantomeno formalmente rinunciato al mandato, ma quella di cui all'articolo 24, configurata quale illecito di pericolo, teso a garantire la terzietà dell'avvocato, in modo che non possano esservi situazioni o atteggiamenti tali da far intendere diversamente, tutelando la condizione astratta di imparzialità e indipendenza (e dunque anche il solo conflitto apparente o potenziale) per il significato che trasmette alla collettività.
La norma, invero, tutela la condizione astratta di imparzialità e di indipendenza dell'avvocato – e quindi anche la sola apparenza del conflitto – per il significato anche sociale che essa incorpora e trasmette alla collettività, "alla luce dell'id quod plerumque accidit, sulla scorta di un giudizio convenzionale parametrato sul comportamento dell'uomo medio, avuto riguardo a tutte le circostanze e peculiarità del caso concreto, tra cui la natura del precedente e successivo incarico" (cfr. tra le altre CNF n. 60/2019).
Onestà e correttezza nel comportamento personale
L'autorevolezza di un avvocato, ha ricordato, dunque, il Cnf, "consapevole del suo alto ruolo ("garantire al cittadino l'effettività della tutela dei diritti") risiede non solo e non tanto nella sua preparazione, nel suo personale talento ma nell'onestà e correttezza del suo personale comportamento. La corrispondenza di quest'ultimo ai canoni deontologicamente stabiliti è a tutela non del singolo avvocato, ma dell'intera avvocatura, ed è per tale motivo che il comportamento del professionista non soltanto debba essere rispettoso di tali canoni, ma debba altresì sempre apparire tale".
La decisione
Per cui correttamente il Cdd del Veneto ha motivato la propria decisione a detta del Cnf, con un giudizio pienamente condivisibile, in quanto viene certamente meno l'immagine di indipendenza e di assenza di conflitto nel comportamento di un avvocato che assiste un cliente, agisce contro lo stesso per le proprie spettanze rinunciando ai precedenti mandati, lo rappresenta tuttavia contestando in opposizione quello stesso titolo in forza del quale agisce nella procedura esecutiva presso terzi contro di lui, si trova in posizione avversa alla collega di studio che assiste il vecchio cliente esecutato ed infine riprende il mandato non appena concluso il procedimento esecutivo.
Né può ritenersi fondata l'asserita strategia concordata con il cliente, giacchè neppure un accordo con il proprio assistito, "può colorare di liceità un comportamento simulato dal quale l'indipendenza dell'avvocato, l'assenza di conflitto di interessi, la stessa trasparenza del mandato professionale risultino mortificati, come mortificati risultano il decoro e la dignità della professione".
Nulla di fatto, infine, anche con riferimento al trattamento sanzionatorio più mite invocato dall'avvocato. Il rigetto delle tesi del ricorrente e l'affermata correttezza delle contestazioni disciplinari che sono state mosse nel capo di incolpazione ha come diretta conseguenza l'infondatezza anche della prospettazione difensiva quanto alla sanzione inflitta. Sanzione, peraltro, conclude il Cnf, correttamente determinata in base ai canoni deontologici violati.
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Francesco Machina Grifeo
Norme & Tributi Plus Diritto