La cannabis dopo 60 anni esce dalla tabella Onu degli stupefacenti
La Commissione della Nazioni Unite è intervenuta sulla classificazione della Cannabis all'interno della Convenzione Unica sugli Stupefacenti del 1961. In particolare, l'organo dell'ONU ha riconosciuto le proprietà mediche della stessa eliminandola dalla lista delle sostanze ritenute pericolose dopo 59 anni.
La Commissione della Nazioni Unite è intervenuta sulla classificazione della Cannabis all'interno della Convenzione Unica sugli Stupefacenti del 1961. In particolare, l'organo dell'ONU ha riconosciuto le proprietà mediche della stessa eliminandola dalla lista delle sostanze ritenute pericolose dopo 59 anni.
Convenzione unica sugli stupefacenti del 1961
La Convenzione Unica sugli Stupefacenti del 1961 è un trattato internazionale introdotto con lo scopo di proibire la produzione e la commercializzazione di sostanze stupefacenti. L'attuale testo ha abrogato la Convenzione di Parigi del 13 luglio 1931. L'aggiornamento si era reso necessario per includere una serie di sostanze, soprattutto oppioidi sintetici, inventate, prodotte e commercializzate tra il 1931 e il 1961.
La Convenzione affida al Consiglio Economico e Sociale della Nazioni Unite il potere di aggiungere o eliminare sostanze dalla lista delle sostanze stupefacenti, anche sulla base di raccomandazioni e conclusioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.
Il parere dell'OMS
L'OMS, in effetti, si era pronunciata sul punto il 24 gennaio 2019. In particolare, l'istituto specializzato dell'ONU per la salute, a conclusione dei lavori della quarantunesima riunione del comitato degli esperti sulla tossicodipendenza tenutasi dal 12 al 16 novembre 2018 a Vienna, aveva presentato al Segretario Generale delle Nazioni Unite sei raccomandazioni chiedendo, tra le altre cose, l'eliminazione della cannabis dalla Tabella IV della Convenzione Unica sugli Stupefacenti del 1961.
La decisione dell'ONU
La Commissione Narcotici dell'ONU, quindi, con 27 Paesi a favore, 25 contro e 1 astenuto, ha seguito il parere dell'OMS affermando che la cannabis non deve più essere considerata una sostanza pericolosa e che, anzi, devono esserne riconosciute le proprietà mediche, specie con riferimento al morbo di Parkinson, epilessia e dolori legati a cancro. A votare favorevolmente sono stati quasi tutti i paesi europei e il Nord e Sud America mentre i voti contrari provengono principalmente da Asia e Africa.
La situazione in Italia
Nel nostro Paese, peraltro, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12348/2020, si è già pronunciata sulla coltivazione domestica di cannabis evidenziando che non è reato coltivare cannabis se le piante sono destinate ad uso personale. Secondo gli ermellini, in particolare il reato di coltivazione di stupefacenti "è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente". Nonostante ciò, però, "devono ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all'ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell'ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all'uso personale del coltivatore". La detenzione di sostanza rimane, però, sempre soggetta al regime sanzionatorio amministrativo.
*a cura dell'avv. Elio Palumbieri, Studio legale Palumbieri