Penale

La Cassazione sui criteri di accertamento dell'idoneità del "Modello 231": necessaria la "colpa organizzativa" dell'ente

Nota a sentenza: Cass. pen., sez VI, 15 giugno 2022, n. 23401

di Fabrizio Ventimiglia e di Edoardo Baccari *

Con la sentenza in commento, la Corte di Appello di Milano è tornata a pronunciarsi sulla responsabilità degli enti ex D.lgs. 231/2001 , affermando che "La commissione del reato, non equivale a dimostrare che il modello non sia idoneo. Il rischio reato viene ritenuto accettabile quando il sistema di prevenzione non possa essere aggirato se non fraudolentemente, a conferma del fatto che il legislatore ha voluto evitare di punire l'ente secondo un criterio di responsabilità oggettiva. [...] L'esonero dell'ente dalla responsabilità da reato può trovare una ragione giustificativa solamente in quanto la condotta dell'organo apicale rappresenti una dissociazione dello stesso dalla politica d'impresa; in tale evenienza, dunque, il reato costituisce il prodotto di una scelta personale ed autonoma della persona fisica, realizzata non già per effetto di inefficienze organizzative, ma, piuttosto, nonostante un'organizzazione adeguata, poiché aggirabile, appunto, soltanto attraverso una condotta ingannevole".

Questa in sintesi la vicenda processuale

La Corte di Cassazione rigettava il ricorso presentato dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Milano nel procedimento a carico di una Società evocata in giudizio per rispondere dell'illecito amministrativo di cui all' Art. 25-ter lett. r) D.lgs. 231/2001 – Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.

In particolare, veniva contestato, quale reato presupposto, il delitto di aggiotaggio (Art. 510 c.p. "Rialzo e ribasso di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio") ascritto al Presidente del Consiglio di Amministrazione ed all'Amministratore Delegato della medesima Società.

Il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Milano assolveva la Società, valutando idoneo il Modello organizzativo ex D.lgs. 231/2001.

Il Pubblico Ministero, quindi, ricorreva in appello, contestando nello specifico – contrariamente a quanto rilevato nella sentenza di prime cure – la mancata concreta attuazione del Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo, la carenza di effettivi controlli da parte dell'Organismo di Vigilanza, nonché l'insussistenza di un'elusione fraudolenta da parte degli autori del reato presupposto dei presidi del MOGC..

La Corte di Appello di Milano respingeva il gravame. A seguito dell'impugnazione della sentenza di secondo grado da parte della Procura Generale, la Corte di Cassazione, in accoglimento del ricorso, annullava con rinvio la Sentenza emessa dalla Corte d'Appello.

All'esito del giudizio di rinvio, la Corte di Appello di Milano confermava la decisione assolutoria.

Avverso tale pronuncia ricorreva nuovamente per Cassazione la Procura Generale, ritenendo che il Giudice del rinvio non si fosse uniformato ai principi di diritto affermarti nella sentenza di annullamento emessa dalla Suprema Corte.

La Suprema Corte respingeva, in quanto infondato, il ricorso.

I Giudici di Legittimità, nella sentenza de qua, hanno affermato che in ossequio al principio costituzionale del divieto di responsabilità per fatto altrui (Art. 27, primo comma, Cost.), la responsabilità dell'ente non possa essere l'automatica conseguenza dell'accertamento del reato in capo ai soggetti rivestenti funzioni apicale. Invero, evidenziano i Giudici, l'Art. 6, comma 1, lett. c), D.lgs. 231/2001, richiede, ai fini della sussistenza della responsabilità amministrativa dell'ente, che i soggetti in posizione apicale abbiano agito "eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e gestione". È necessario, quindi, che si tratti di una condotta ingannevole, elusiva o, per utilizzare le parole dei Giudici della Suprema Corte, "tale da frustrare con l'inganno il diligente rispetto delle regole da parte dell'ente".

È opinione del Collegio che, tra l'altro, l'efficacia decettiva della condotta debba dispiegarsi "all'interno" della struttura organizzativa dell'ente e non nei confronti dei terzi, estranei alla Società. Il comportamento, infatti, andrebbe valutato in riferimento non al precetto penale, bensì ai presidi di prevenzione adottati e quindi, nel caso in esame, alle prescrizioni del Modello organizzativo.

Nella Sentenza, inoltre, la Corte ha avuto modo di chiarire quale sia il criterio più corretto per valutare l'adeguatezza del Modello organizzativo, premessa indispensabile per ravvisare la "colpa di organizzazione" dell'ente. Ebbene, i Giudici di Legittimità hanno specificato che i codici di comportamento, redatti dalle associazioni rappresentative degli enti e approvati dal Ministero della Giustizia, debbano fungere da linee-guida e, quindi, da parametro di riferimento, sebbene non vincolante.

I criteri di progettazione del Modello da parte dell'impresa, infatti, sono frutto di un processo di "auto-normazione" in cui la stessa, sulla base delle proprie esigenze, individua le cautele da porre in essere. Di contro, in presenza di un Modello conforme a tali codici di comportamento e adeguato alla specificità realtà aziendale, il Giudice sarà tenuto a motivare le ragioni per le quali, ciò nonostante, si possa comunque ravvisare la "colpa di organizzazione" dell'ente.

Da ultimo, la Corte è tornata a pronunciarsi sul delicato rapporto tra la definizione dei poteri dell'O.d.V. e la relativa autonomia rispetto agli organi di vertice della Società.

Ai sensi dell'art. 6, D.lgs. 231/2001, ricordano i Giudici di Legittimità, l'Organismo di Vigilanza, pur non dovendo necessariamente essere esterno alla struttura organizzativa dell'ente, deve essere comunque munito di poteri "autonomi rispetto agli amministratori". È da rilevare, quindi, che un Modello organizzativo che rendesse obbligatorio un preventivo controllo di qualsiasi atto, anche da parte dei vertici societari, sarebbe difficilmente conciliabile sia con il potere riconosciuto a tali organi, che con il ruolo che il D.lgs. 231/2001 riconosce all'O.d.V. che, si ricorda, "è solamente quello di individuare e segnalare le criticità del Modello e della sua attuazione, senza alcuna responsabilità di gestione".

In virtù di tali considerazioni, i Giudici di Legittimità hanno ritenuto il Modello idoneo ed hanno valutato "decettiva", in quanto frutto di un personale accordo estemporaneo, la condotta posta in essere dai vertici societari.

La pronuncia in commento rafforza l'orientamento giurisprudenziale che censura l'automatismo tra l'accertamento di un reato presupposto e la condanna dell'ente. Appare evidente, anche sulla scorta della sentenza in disanima, che il monito della giurisprudenza di legittimità sia quello di richiedere ai Tribunali e alle Corti Inferiori più incisive valutazioni sulla concreta idoneità dei Modelli organizzativi che possano condurre – come nella vicenda oggetto di giudizio – alla valorizzazione della componente "premiale" prevista dalla disciplina sulla responsabilità amministrativa degli Enti.

*a cura dell'avv. Fabrizio Ventimiglia e di Edoardo Baccari (Studio Legale Ventimiglia)


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