Penale

La Cassazione torna sulla teoria dei vantaggi compensativi e sull'attribuzione della qualifica di amministratore di fatto

Nota a sentenza

di Fabrizio Ventimiglia e Giorgia Conconi*

Con la pronuncia in commento la Suprema Corte ha chiarito la necessità di accertare in concreto – anche nell'ambito di un gruppo di imprese – la sussistenza degli indicatori oggettivi richiesti per l'attribuzione della qualifica di amministratore di fatto, affermando che "in particolare non può ritenersi che la titolarità da parte dell'agente della carica di amministratore della società capogruppo (ovvero la sua identificazione con la holding) implichi di per sé l'assunzione della qualifica di amministratore di fatto delle società controllate, a meno che l'esercizio dei poteri di direzione e coordinamento del gruppo non si traduca specificamente in atti (di) gestione di fasi o settori delle controllate, limitandone (del)l'autonomia e riducendo gli amministratori di diritto a meri esecutori materiali delle direttive impartite".

Al contempo, in tema di vantaggi compensativi, la Suprema Corte ha ribadito che "i suddetti vantaggi non possono dunque ritenersi discendere dalla mera appartenenza al gruppo e tantomeno dal solo vantaggio conseguito dall'ente controllante, ma, qualora la loro esistenza già non risulti in atti, spetta all'imputato fornire quantomeno un principio di prova del saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell'interesse del gruppo, elemento indispensabile per considerare lecita l'operazione temporaneamente svantaggiosa per la società depauperata".

Questa in sintesi la vicenda processuale.La Corte d'Appello di Roma confermava la sentenza di condanna nei confronti dell'imputato, quale amministratore di diritto e, successivamente, di fatto di una società, per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale.

Avverso la sentenza di secondo grado la difesa dell'imputato ricorreva per Cassazione adducendo, tra gli altri motivi di ricorso, l'erronea applicazione della legge penale e il vizio di motivazione in riferimento tanto alla mancata applicazione della disciplina dei vantaggi compensativi di cui all'art. 2634 c.c. quanto all'attribuzione della qualifica di amministratore di fatto in capo all'imputato ai sensi dell'art. 2639 c.c.

La difesa sosteneva, infatti, che le operazioni contestate fossero, in realtà, legittime in quanto avvenute tra società appartenenti ad un medesimo gruppo societario ed a beneficio della fallita; il ricorrente lamentava, altresì, che non fosse stata provata la sussistenza dei requisiti richiesti, per giurisprudenza consolidata, ai fini dell'attribuzione della qualifica di amministratore di fatto.

La Cassazione ha ritenuto inammissibile il primo motivo di ricorso, ma fondato e meritevole di accoglimento il secondo.

Con riguardo all'imputazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la Corte ha ricordato come la mera appartenenza a un gruppo societario non sia elemento di per sé sufficiente affinché le operazioni infragruppo vengano ritenute vantaggiose per il raggiungimento del c.d. interesse di gruppo.

Infatti, secondo il costante orientamento di legittimità l'ingiustificata cessione di partecipazioni societarie si considera alla stregua di una distrazione anche in presenza di un gruppo, salvo la dimostrazione della realizzazione di un concreto vantaggio per la fallita.

Ai fini della esclusione della punibilità occorre, pertanto, che siano provati in concreto dall'imputato i benefici ottenuti tanto dal gruppo quanto dalla fallita a compensazione dell'operazione svantaggiosa posta in essere, non potendo questi – come detto – derivare dalla mera appartenenza ad un gruppo di imprese.

La Cassazione, non avendo ravvisato nel caso in scrutinio il conseguimento di alcun vantaggio a seguito del contestato trasferimento di risorse tra società, ha ritenuto, in forza del suddetto principio, inapplicabile al caso di specie la disciplina dei vantaggi compensativi.

Di contro, la Suprema Corte ha accolto il secondo motivo ritenendo che, anche ai fini dell'individuazione della figura dell'amministratore di fatto di una società appartenente ad un gruppo di imprese, sia necessario il previo accertamento della gestione societaria continuativa, non occasionale e significativa di tale società, a nulla rilevando l'eventuale titolarità della carica di amministratore all'interno della holding.

Di fatti, la Corte ha ricordato come la prova della gestione societaria della capogruppo non determini l'automatica qualifica di amministratore di fatto anche con riferimento alle società dalla medesima controllate, dovendo essere dimostrata caso per caso l'effettiva gestione di fatto di ogni singola società.

Nel caso in scrutinio i Giudici di legittimità non hanno ritenuto provato in concreto lo svolgimento della sistematica attività gestoria delle società controllate da parte dell'imputato, disponendo, di conseguenza, l'annullamento con rinvio dell'impugnata sentenza.

*a cura dell'Avv. Fabrizio Ventimiglia e della Dr.ssa Giorgia Conconi ( Studio Legale Ventimiglia)

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