Penale

La Corte di Cassazione si pronuncia sulla costituzione della persona giuridica nel giudizio a carico degli enti ex Dlgs. 231/2001

Nota a sentenza: Cass. Pen., Sez. III, 3 marzo 2021, n. 8498

di Fabrizio Ventimiglia e Giorgia Mancuso *


Con la sentenza in commento, i Giudici di legittimità si sono pronunciati su una rilevante questione attinente alla rappresentanza e costituzione dell'ente nel procedimento penale instaurato ai sensi del D. lgs. n. 231/2001.

In tale occasione, la Suprema Corte ha affermato il principio di diritto secondo il quale "la persona giuridica non può stare in giudizio e svolgere le proprie difese senza costituirsi con le forme stabilite dall'art. 39 D.lgs. 231/2001", norma che, come noto, definisce quelle che sono le modalità inderogabili di costituzione della persona giuridica nel procedimento per l'accertamento di una eventuale responsabilità amministrativa dell'ente.

Questa in sintesi la vicenda processuale.

La questione vedeva coinvolte due società chiamate a rispondere dell'illecito amministrativo previsto dall'art. 25-undecies D.lgs. 231/2001, per aver – secondo la prospettazione accusatoria - posto in essere un'attività di gestione di rifiuti non autorizzata di cui all'art. 256 comma 1, lett. a) e b) D.lgs. 152/2006, tramite la raccolta, il trasporto e l'abbandono di rifiuti speciali pericolosi. L'imputazione ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001 derivava dal fatto che le predette contestazioni erano state ascritte anche a soggetti aventi funzioni di rappresentanza, amministrazione e direzione dell'ente che, peraltro, era sprovvisto di un modello di organizzazione e di gestione idoneo a prevenire la commissione di reati sopra enunciati.

Ebbene, le società si costituivano in giudizio per il tramite del difensore di fiducia il quale, tuttavia, aveva ricevuto il mandato difensivo proprio dai legali rappresentanti imputati (nell'ambito dello stesso procedimento) dei reati da quali originava la responsabilità ai sensi del D. lgs. n. 231/2001.

Il Tribunale di L'Aquila rilevava l'inefficacia della relativa nomina in ragione della regola sancita all'art. 39 D.lgs. 231/2001 che, come noto, pone una deroga alla partecipazione dell'ente al procedimento penale attraverso il proprio rappresentante legale qualora "questi sia imputato del reato da cui dipende l'illecito amministrativo"; deroga che ovviamente ha anche un riflesso rispetto alla possibilità (non ammessa) del rappresentante legale indagato (o imputato) di poter procedere al conferimento del mandato difensivo per l'ente evocato in giudizio. Rilevata, pertanto, l'incompatibilità dei difensori di fiducia e la relativa inammissibilità della nomina fiduciaria formalizzata, il Giudice di prime cure disponeva procedersi confermando la nomina dei difensori di ufficio originariamente nominati in sede di notifica del decreto di citazione diretta a giudizio dichiarando, al contempo, la contumacia delle società imputate.

Le difese degli enti, eccepivano, quindi, la nullità dell'ordinanza che ne aveva dichiarato la contumacia, ricorrendo per Cassazione e censurando, in uno dei motivi di gravame, la decisione del Tribunale in quanto essa avrebbe comportato una menomazione all'esercizio del diritto di difesa da parte della persona giuridica, posto che, secondo la prospettazione difensiva, tale diritto non poteva essere subordinato alle formalità di costituzione così come previste dall'art. 39 del D.lgs. 231/2001.

Le eccezioni avanzate dalle difese, sono state disattese dalla Corte di Cassazione, la quale ha rilevato come le società fossero state destinatarie dell'informazione di garanzia, con l'avvertimento che potevano costituirsi ai sensi dell'art. 39 e che, in assenza di suddetta costituzione, il decreto di citazione diretta a giudizio era stato regolarmente notificato agli enti e al difensore di ufficio all'uopo nominato.

In particolare, la Suprema Corte, richiamando quanto già ribadito dalle Sezioni Unite, ha precisato che "la partecipazione attiva dell'ente al procedimento che lo riguarda è subordinata alla sua previa costituzione, formalità individuata dall'art. 39 D.lgs. 231/2001, quale mezzo di esternazione della volontà, diverso e più articolato di quello dell'imputato persona fisica, in quanto corrispondente alla struttura complessa di tale figura soggettiva e idoneo a rendere quanto prima evidente l'eventuale conflitto di interessi derivante dall'essere il legale rappresentante indagato o imputato del reato da cui dipende l'illecito amministrativo".

Al riguardo, è bene precisare che l'art. 39 prevede due fasi autonome e accessorie: da un lato, l'atto di costituzione in giudizio con cui l'ente dichiara la propria intenzione di partecipare al processo e, dall'altro lato, il conferimento della procura speciale al difensore, necessaria per la sottoscrizione della dichiarazione di costituzione in giudizio.

Alla luce di quanto sopra, è evidente come l'art. 39 richieda precise modalità per la partecipazione in giudizio dell'ente, tipiche di quelle previste per le altre parti private, ed escludendo, al tempo stesso, possibili equipollenti con la disciplina prevista per l'imputato.

Del resto, mentre le persone fisiche, imputate nel procedimento, possono scegliere di partecipare attivamente al processo o di rimanervi assenti, lo stesso non può dirsi dell'ente per il quale, non essendo ipotizzabile una presenza fisica, potrà esprimere la propria volontà di partecipazione solo mediante l'atto di costituzione di cui all'art. 39 D.lgs. 231/2001.

In definitiva, il divieto ex art. 39 D.lgs. 231/2001, ad avviso della Suprema Corte, non si presta ad alcun tipo di censura, avendo la precisa funzione di assicurare il pieno godimento del diritto di difesa della persona giuridica ed essendo, altresì, finalizzato a impedire un irrimediabile conflitto di interessi, giacché, in astratto, le linee difensive dello stesso e del suo legale rappresentante potrebbero essere contrastanti e non conciliabili.


* a cura dell'Avv. Fabrizio Ventimiglia e dell'Avv. Giorgia Mancuso (dello Studio Legale Ventimiglia)

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