La nuova normativa sulle note di variazione Iva nell'ambito delle procedure concorsuali: è possibile sostenerne una portata interpretativa?
Il presente contributo si chiede se la nuova normativa, recata dall'art. 18, d.L. n. 73/2021 e riguardante le note di variazione Iva in seno a procedure concorsuali, è suscettibile di un'applicazione estesa anche ai procedimenti già pendenti.
Il presente contributo si chiede se la nuova normativa, recata dall'art. 18, d.L. n. 73/2021 e riguardante le note di variazione Iva in seno a procedure concorsuali, è suscettibile di un'applicazione estesa anche ai procedimenti già pendenti.
In tale ottica, vengono proposte argomentazioni di carattere letterale e sistematico, anche alla luce della giurisprudenza comunitaria e domestica.
1. Premessa: la modifica normativa ed i relativi effetti sostanziali e temporali.
Fra le numerose misure approntate dal d.L. n. 73/2021, spicca certamente quella recata dall'art. 18, sulla rilevanza delle perdite su crediti nell'ambito Iva.Quanto al profilo sostanziale, ora è infatti consentito "anticipare" il recupero dell'Iva applicata per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate, addebitata in via di rivalsa ai cessionari o committenti, ma da questi non versata stante la loro insolvenza e la sottoposizione a procedure concorsuali.
In estrema sintesi, detto recupero viene ora riconosciuto fin dall'avvio della procedura, senza l'obbligo di attendere l'esito della procedura stessa.Quanto al profilo degli effetti temporali, la disposizione trova applicazione per le procedure "avviate" a decorrere dall'entrata in vigore della novella normativa.
Ciò, ad evidenza, pone un problema per le procedure già in corso, antecedenti alla modifica: la littera legis, per come è formulata, non contempla il recupero dell'imposta proprio per le situazioni di crisi causate dall'emergenza sanitaria, ossia quelle situazioni che dovrebbero aver indotto l'adozione di tale strumento. Per ovviare a questo apparente corto circuito logico (e giuridico…) val la pena esplorare se la norma sia effettivamente innovativa o possa rivestire carattere interpretativo, assunta l'esigenza di leggere anche il vecchio testo in conformità ai principi sistematici e comunitari.
In questa prospettiva, conviene muovere dall'impostazione, nota e consolidata, dell'Agenzia delle Entrate: quanto alla procedura di fallimento, la nota di variazione in diminuzione può essere emessa soltanto dopo la chiusura della procedura fallimentare, e in particolare alla scadenza del termine per le osservazioni al piano di riparto finale (oppure, in assenza, alla scadenza del termine per opporre reclamo contro il decreto di chiusura del fallimento): ciò perché in tale momento si realizzerebbe la "condizione di infruttuosità" cui pone(va) riferimento l'art. 26, co. 2, per le procedure concorsuali e le procedure individuali.
Trattasi di impostazione che merita di essere approfondita, in quanto suscita molteplici criticità.
2. L'interpretazione letterale.
Innanzitutto, la ricostruzione dell'Amministrazione finanziaria potrebbe prestare il fianco ad una critica di interpretazione letterale, in quanto pare forzare il dato posto dall'art. 26, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, che palesava una importante circostanza: in relazione alla fattispecie in esame, quale ipotesi che legittima l'emissione di una nota di variazione in diminuzione, in nessun passaggio la disposizione definisce in maniera espressa il dies a quo, ossia il momento a partire dal quale la nota di variazione può essere emessa. Osta quindi una argomentazione di carattere letterale, avverso la ricostruzione erariale.
3. Riflessioni sulla (necessaria) coerenza e ragionevolezza dell'ordinamento tributario (tra imposte indirette e quelle indirette).
Sotto altro profilo, e ricercando un'auspicata razionalità e coerenza sistematica del Legislatore domestico, si osserva che, in caso di mancato pagamento della fattura a causa di "procedure concorsuali", il nostro sistema tributario consente di recuperare l'imposta sui redditi e l'Iva che hanno gravato sul credito relativo al corrispettivo in principio perduto.
E infatti, per un verso, il "ricavo" generato dal corrispettivo che ha concorso a formare la base imponibile Ires (se il fornitore è una società di capitali o un ente commerciale) o Irpef (se il fornitore è un imprenditore individuale) – è "sterilizzato" dalla possibilità di dedurre l'importo del corrispettivo come "perdita su crediti" (art. 101, co. 5 e 5-bis, Tuir); per altro verso, l'"Iva a debito" assolta sul corrispettivo, ancorché non incassata, è "sterilizzata" dal "credito Iva" derivante dall'emissione della "nota di variazione in diminuzione" (art. 26, co. 2).
Insomma: in relazione al medesimo documento (ossia la fattura), e in relazione al medesimo evento sopravvenuto (ossia la procedura concorsuale), il nostro sistema tributario contempla la medesima reazione: il fornitore non deve rimanere inciso da alcuna delle imposte versate all'Erario a fronte di una fattura emessa e contabilizzata, ma non incassata, a causa del sopravvenire di una procedura concorsuale.
Ai fini delle imposte sui redditi e dell'Iva vi è, dunque, una perfetta congruenza di regole, al verificarsi di una "procedura concorsuale", a seguito del perfezionamento civilistico, contabile e fiscale di un'operazione a carattere commerciale.Stante questa premessa, la disciplina ai fini delle imposte sui redditi delle "perdite su crediti", nello specifico caso di procedure concorsuali, costituisce, in sede interpretativa, una significativa "leva" sistematica, per l'individuazione della soluzione corretta ai fini dell'Iva.Infatti, dalla normativa evocata, se ne ricava che, ai fini delle imposte sui redditi, in caso di procedure concorsuali la "perdita su crediti" è automaticamente deducibile a partire dal momento dell'apertura della procedura e non oltre il periodo di imposta in cui avviene (o doveva avvenire) la cancellazione del credito dal bilancio d'esercizio.
Peraltro, proseguendo secondo la direttrice esegetica tracciata, attenta alla coerenza tra i vari comparti impositivi, sembra utile ricordare anche la recentissima ordinanza della Corte di Cassazione n. 15218, 1 giugno 2021.
Essa assegna valenza sostanzialmente interpretativa all'art. 101, co. 5-bis del Tuir e all'art. 13, co. 3, del d. lgs. n. 147/2015 (che, lo si ricorda, a fronte della laconicità del testo precedente, ha espressamente precisato che il momento di avvio delle procedure concorsuali rappresenta solo il momento di avvio della possibilità di svalutare il credito).
Riducendo all'osso l'interpretazione della Suprema Corte: anche prima del 2015, ove il debitore sia assoggettato a fallimento o ad altre procedure concorsuali ed istituti assimilati (ex art. 101 co. 5 del Tuir), la deduzione della perdita su crediti è consentita nel periodo di imputazione a bilancio, entro la "finestra temporale" che decorre dalla data della sentenza dichiarativa di fallimento sino al periodo d'imposta in cui, secondo l'appropriata applicazione dei principi contabili, si deve procedere alla cancellazione del credito stesso dal bilancio.
Per l'effetto, dovrebbe assumersi "sgretolato" l'orientamento secondo cui, fino al 2014, la perdita andava dedotta interamente (e solo e solamente) nell'esercizio di apertura della procedura, come individuato dall'art. 101 comma 5 del Tuir.
In definitiva, l'ordinanza n. 15218/2021 ha il pregio di affermare che l'esercizio di apertura della procedura rappresenta solo il dies a quo per la deducibilità.Dal momento che il Supremo Collegio attribuisce valore interpretativo a tale modifica, ecco che criteri di ragionevolezza e logicità indurrebbero a applicare analoga portata anche alla novellazione che ha interessato l'art. 26 Iva, riducendo quindi la valenza del riferimento alla "apertura" delle procedure riportato nel secondo comma del citato art. 18.
4.I principi generali e comunitari dell'Iva.
Sganciandoci dal mero profilo letterale e da quelli eminentemente "domestici", in ogni caso l'interpretazione erariale pare collidere sia con i principi sistematici che governano l'Iva, sia con i principi fissati dalla più evoluta giurisprudenza comunitaria (ex pluribus: Corte di Giustizia causa C-246/16, sentenza 23 novembre 2017).
Infatti, con la soluzione sostenuta l'Amministrazione finanziaria finisce con applicare l'Iva su una base imponibile rappresentata da un corrispettivo che non è stato mai ricevuto dal fornitore-creditore, e che mai verosimilmente si riceverà (in tutto o in parte), con l'effetto per l'Amministrazione, contrario allo spirito e al sistema della normativa europea Iva, di avere riscosso a titolo di Iva un importo mai percepito dal fornitore-creditore.
Ciò comporta la violazione tanto del perno centrale dell'Iva, ossia il "principio di neutralità", quanto dei principi fondamentali della normativa europea (e, dunque, anche del sistema Iva), ossia il "principio di proporzionalità". In tale prospettiva, il principio di neutralità impone che il soggetto passivo Iva che ha realizzato un'operazione imponibile, per la quale viene emessa fattura con Iva poi versata all'Erario, non deve mai sopportare l'onere dell'Iva, neanche temporaneamente, dovendo essa incidere sempre e solo sul consumatore finale.
Per contro, nel caso di specie l'anticipo di pagamento dell'Iva a causa dell'inadempimento del debitore-cliente, e la soluzione dell'Agenzia delle Entrate di posticipare l'emissione della nota di variazione – attraverso cui è possibile il recupero dell'Iva versata – al momento della chiusura del fallimento, che può avvenire dopo molti anni, comporta un onere rilevante che incide, violandolo, sul principio di neutralità.Per altro – ed importante – verso, il principio di proporzionalità – che entra in gioco con riferimento alla facoltà riconosciuta agli Stati membri, dall'art. 90, par. 2, direttiva n. 112/2006, di derogare all'obbligo di emissione della nota di variazione nella ipotesi di "mancato pagamento in tutto o in parte" – impone agli Stati membri di adottare, fra le molte, la soluzione meno "invasiva" per i contribuenti in relazione all'obiettivo da perseguire (sul tema, poi, si consideri anche la approfondita lettura fornita dalla recentissima Circolare Assonime del 7 giugno 2021, n. 17).
Nella fattispecie in commento, in presenza di una ipotesi connotata da una "incertezza intrinseca" – qual è il "mancato pagamento in tutto o in parte" a seguito dell'apertura di una procedura concorsuale – l'obiettivo di garantire l'emissione di una nota di variazione quando l'Iva è irrecuperabile può essere utilmente perseguito anche in presenza di una ragionevole e oggettiva impossibilità di recupero, che nel fallimento discende dall'apertura della procedura per l'esistenza di uno stato di insolvenza ed è corroborabile attingendo alla sicuramente copiosa e puntuale documentazione degli Organi fallimentari.
5. Alcuni condivisibili approdi giurisprudenziali.
Quanto appena illustrato trova conferma nella già evocata sentenza della Corte di Giustizia, 23 novembre 2017, causa C-246/16, riguardante proprio l'interpretazione dell'art. 26, co. 2, d.p.r. n. 633/72, nel caso di debitore sottoposto a fallimento.
In tale caso (e dovendo sintetizzare) la Corte di Giustizia ha cristallizzato il seguente principio generale: l'art. 11, parte C, par. 1, della "VI Direttiva" – il cui contenuto, come si è detto, è stato trasfuso nell'attuale art. 90, paragrafi 1 e 2, della direttiva "rifusione" – "deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può subordinare la riduzione della base imponibile dell'imposta sul valore aggiunto all'infruttuosità di una procedura concorsuale qualora una tale procedura possa durare più di dieci anni".
E' appena il caso di ricordare che il principio che assegna rilevanza all' avvio della procedura, quale momento che fa sorgere il diritto all'emissione della nota di accredito è stato, infine, di recente affermato dalla stessa Suprema Corte, proprio con riferimento all'omologa del concordato preventivo, nella sentenza n. 18837 dell'11 settembre 2020.
Ancora, e per altro verso, non va sottaciuta la sentenza, sempre del Giudice di legittimità, 16 novembre 2020, n. 25896, che ha pienamente sposato i principi fissati dalla Corte di Giustizia, fissando il seguente principio di diritto: "In tema di iva, è illegittima la pretesa del fisco di ottenere l'imposta dal cedente o dal prestatore che non abbia fatto ricorso al meccanismo previsto dall'art.26 del d.P.R. n. 633/72 per mancato pagamento a causa di procedure concorsuali rimaste infruttuose, qualora questo meccanismo sia stato utilizzato dal cessionario o committente, e sia stato eliminato in tempo utile il rischio di perdita di gettito per l'erario".
6. Sintetiche conclusioni. Alla luce delle argomentazioni qui offerte, pare forse non peregrino sostenere una lettura "interpretativa" della nuova normativa, in tal senso militando molteplici elementi, tanto settoriali, quanto sistematici; ciò, anche alla luce dei più evoluti e recenti approdi giurisprudenziali.
*a cura di Renato Bogoni – Emanuele Artuso, dottori commercialisti in Padova