Penale

La restituzione dei finanziamenti dei soci in caso di successivo dissesto della società

Note a margine della sentenza Cass. Pen., Sez. V, 16 settembre 2019- 3 dicembre 2019, n. 49136

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di Claudio Schiaffino e Agata Russo *


La sentenza in commento affronta nuovamente il dibattuto tema circa la rilevanza penale della restituzione dei finanziamenti operati dai soci in caso di successivo dissesto della società.

Come noto, in seno alla quinta sezione penale della Corte di Cassazione, si sono confrontati orientamenti in taluni casi difformi che tengono in considerazione la causa "a monte" del versamento operato dal socio.

In estrema sintesi, il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte: in caso di restituzione di un versamento effettuato dal socio in conto capitale (o "in conto futuro aumento di capitale") è configurabile l'ipotesi di bancarotta fraudolenta per distrazione ex art. 223, comma 1, 216, comma 1, n. 1.

La conclusione trae fondamento da consolidati principi di carattere civilistico secondo cui il versamento effettuato in conto capitale (o "in conto futuro aumento di capitale") deve essere considerato capitale di rischio con la conseguenza che la sua restituzione deve avvenire solo a seguito dello scioglimento della società nei limiti dell'eventuale attivo del bilancio di liquidazione e (soprattutto) deve essere postergata rispetto al soddisfacimento di tutti gli altri creditori sociali.

In buona sostanza, il socio - come efficacemente sottolineato dai Giudici di legittimità - assume la posizione di residual claimant.

La ratio - come affermato da autorevole dottrina - risiede nell'evidente asimmetria informativa in relazione alle reali condizioni finanziarie della società fra i soci e i terzi creditori e il meccanismo della postergazione si pone proprio l'obiettivo di tutelare il soddisfacimento del ceto creditorio in via prioritaria; diversamente – laddove la restituzione di tale versamento al socio potesse liberamente avvenire nel corso della vita della società e senza tenere in considerazione la capacità dell'impresa di soddisfare le poste creditorie – diverrebbe attuale il rischio di un indebito trasferimento del rischio di impresa sui creditori.

Tale orientamento non rappresenta certo un novum in materia e si segnala per il suo rigore laddove viene ritenuta configurabile una ipotesi di reato avente ad oggetto fattispecie distrattive ad una condotta che - al di là delle considerazioni di carattere civilistico sviluppate in sentenza - pare piuttosto presentare, a parere di chi scrive, spiccati tratti di preferenzialità.

La pronuncia in commento è, invece, categorica nell'escludere che la restituzione di un versamento effettuato in conto capitale (o "in conto futuro aumento di capitale") possa rendere configurabile la fattispecie di illegittima restituzione di conferimenti e, quindi, in caso di dissesto, l'ipotesi di bancarotta da reato societario sub specie art. 223, comma 2, n.1 e art. 2626 c.c..

La Suprema Corte ritiene, infatti, che tale tipologia di versamento non comporti un immediato incremento del capitale sociale ed esclude l'applicabilità dell'art. 2626 c.c. a tali forme di versamento in quanto, secondo quanto si legge in motivazione, si risolverebbe in un'interpretazione estensiva della nozione di conferimento e, quindi, in un'inammissibile analogia in malam partem.

Il rilievo non è di poco momento atteso che l'ipotesi di bancarotta da reato societario, come noto, richiede per la sua punibilità la sussistenza di un nesso di causa fra la (indebita) condotta di restituzione ed il dissesto, nesso di causa che (salvo l'isolato caso della cd. "sentenza Ravenna calcio") non è mai stato considerato elemento di fattispecie con riferimento all'ipotesi ex art. 216 L.F. (tanto più oggi dopo la Sezioni Unite Passarelli che hanno stabilito come la sentenza di fallimento debba essere ritenuta condizione obiettiva di punibilità del reato di bancarotta).

Con riferimento, infine, alla configurabilità dell'ipotesi di bancarotta preferenziale, la Suprema Corte parrebbe assumere un orientamento di maggiore apertura rispetto a precedenti pronunce: si afferma, infatti, come possa porsi il caso che i soci si limitino ad apportare alla società esclusivamente capitale di rischio mediante versamenti a titolo di mutuo con conseguente possibilità di restituzione dello stesso nel corso della vita della società.

In tal caso, laddove il socio - consapevole della situazione di dissesto in cui versa la società - disponga in suo favore l'estinzione del proprio credito in violazione della par condicio creditorum sarebbe, quindi, chiamato a rispondere della meno grave fattispecie di bancarotta preferenziale ex art. 216, co. III, L.F.

È evidentemente compito del giudicante - sulla scorta degli elementi di fatto addotti dalle parti processuali - la valutazione in concreto della reale volontà negoziale intercorsa fra socio e società al fine di ricostruire correttamente la natura del versamento - la cui restituzione è oggetto di processo - al fine di procedere ad una corretta qualificazione giuridica della condotta contestata.

* a cura dell'Avv. Claudio Schiaffino (Direttore Comitato Scientifico Centro Studi Borgogna) e dell'Avv. Agata Russo (Centro Studi Borgogna)

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