Immobili

Locazioni commerciali, per la Cassazione l'impresa non è più la parte "debole"

La Terza Sezione civile, ordinanza 22826 depositata oggi, invita il Legislatore a rivedere l'assetto normativo e la irrinunciabilità dell'indennità di avviamento a favore del conduttore

di Francesco Machina Grifeo

Nonostante il principio per cui il conduttore, anche nelle locazioni commerciali, debba essere considerato sempre e comunque la parte "debole" del rapporto sia ormai fuori sincrono rispetto alla realtà economica, la lettera della norma parla chiaro. Non è dunque possibile una preventiva rinuncia, da parte dell'esercente, alle indennità di avviamento previste dall'articolo 34 della legge 392/1978, in quanto presidiate dal divieto, posto dall'articolo 79 della stessa legge, di "ogni pattuizione" diretta ad attribuire al locatore "altro vantaggio" in contrasto con le disposizioni della stessa legge (istitutiva dell'equo canone).

Il chiarimento arriva dalla Terza Sezione civile, ordinanza 22826 depositata oggi, che ha accolto il ricorso incidentale del conduttore, al termine di una "completa e accurata ricostruzione" che, prosegue il testo, "non manifesta alcuna crepa nel logica né tantomeno giuridica". Ed ha così dichiarato illegittima la clausola del contratto di locazione che prevedeva la rinuncia del conduttore a parte delle indennità riconosciute per legge.

La Suprema corte dà comunque atto di un orientamento minoritario – un "fiumicello nascosto" che "riaffiora" di dieci anni in dieci anni – secondo cui la rinuncia a determinati diritti "di favore" inseriti dal legislatore nel paradigma della locazione commerciale sarebbe legittima laddove si determina come un corrispettivo sinallagmatico a fronte, per esempio, della diminuzione del canone.

Tuttavia, prosegue la decisione, per legge tale rinuncia è possibile soltanto ove il contratto sia stato già concluso e dunque le parti si trovino in una condizione di effettiva parità. Seguendo il filo di questo ragionamento, per la Corte, definire concordato un canone quando per diminuirlo occorre rinunciare ai diritti che il legislatore attribuisce al conduttore "appare intrinsecamente contraddittorio, per non dire un fragile espediente". Si finisce infatti per qualificare come "già concordati elementi essenziali come il canone quando in realtà la trattativa è ancora aperta e giunge, infatti, ad un canone diverso". In questi casi, nella "notoria realtà commerciale", piuttosto sussiste "un canone preteso" dal locatore che si dichiara disponibile a ridurre qualora la potenziale controparte gli proponga a sua volta dei particolari vantaggi.

In questo senso, la Cassazione rimarca che l'articolo 79 effettivamente costituisce "una sorta di intrusione" in ambito commerciale del paradigma imposto alla locazione ad uso abitativo dalla cosddettia legge dell'equo canone. Il legislatore del 1978, continua, ha scelto di disciplinare entrambi i tipi di locazione in un unico testo normativo, e la "tanto forte quanto pervadente percezione del conduttore come parte debole … ha contagiato anche la figura del conduttore nella locazione commerciale".

Sebbene dunque "a distanza di decenni dalla legge del 1978", non sia "agevole comprendere la ragione per cui chi svolge un'attività commerciale debba essere reputato parte debole - o comunque debba esserlo sempre - in rapporto ad un proprietario di immobile, quasi che in termini economici la proprietà immobiliare sia ontologicamente superiore all'attività di impresa", tuttavia "l'articolo 79 non può essere "svuotato" con interpretazioni che scardinano il concetto di contratto, trasformandolo in una fattispecie a formazione progressiva in cui le parti prima concordano una cosa e poi ne concordano un'altra per "smontare" quella precedente, ma rimanendo unico il contratto".

Una criticità, prosegue l'ordinanza, che "trascorsi ormai più di quarant'anni dal testo normativo da cui discende ed essendo stato modificato nel frattempo proprio il paradigma della locazione abitativa ... meriterebbe tuttavia, anche de jure condendo, di essere superata, infrangendo quella debolezza del conduttore che, nella locazione non abitativa, quale canone generale pare integrare una fictio juris et de jure".

In mancanza, però, l'interprete "non può giungere ad un vero e proprio rifacimento del testo normativo". Né vi sono gli estremi per ricorrere al giudice delle leggi, "rimanendo solidamente all'interno del perimetro della discrezionalità del legislatore ordinario, al quale pertanto compete un eventuale intervento di aggiornamento specifico, che tenga conto, per riportare l'autonomia negoziale alla massima misura, della ormai netta eliminazione della "parte debole" quantomeno nel paradigma locatizio commerciale".

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