Mantovano: c’è il rischio che le toghe agiscano come establishment
“C’è il rischio che la magistratura percepisca se stessa non già come chi è chiamato ad esercitare l’arte regale dello ’jus dicere’ nel caso concreto bensì come parte di un establishment che ha la funzione di arginare la pericolosa, pericolosa tra virgolette, coerenza tra la manifestazione del voto, la rappresentanza politica e l’azione di governo”. Lo ha detto il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Alfredo Mantovano, nel corso del suo intervento alla inaugurazione dell’anno giudiziario del Consiglio nazionale forense.
È un intervento complesso quello dell’ex magistrato, intervenuto in “rappresentanza personale” del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che affronta alcuni dei temi maggiormente divisivi del dibattito politico, con una chiamata diretta per gli avvocati che con la loro funzione possono “garantire la divisione dei poteri dello Stato” ed essere i garanti di una decisione deideologizzata e rispettosa del diritto, “richiamando il magistrato all’esercizio equilibrato della funzione giurisdizionale”.
Secondo la teoria dell’establishment illustrata da Mantovano, l’argine verrebbe posto anche contro le riforme costituzionali e “non importa che la riforma osteggiata ha costituito parte non marginale del programma con il quale la coalizione che oggi sostiene l’esecutivo ha ottenuto il consenso degli elettori nel settembre del ’22”. “Non importa – ha proseguito - che se si assume un impegno con gli elettori e ne ricevo il consenso poi devo esser coerente con l’impegno assunto. Secondo l’establishment deve prevalere il diktat dell’establishment”.
“Vi prego - ha continuato - non riduciamo questo scenario ad un racconto di toghe rosse in azione, che forse aveva senso 30 anni fa, ma adesso pare macchiettistico. È qualcosa di più complesso e più grave. È ormai un cronico sviamento della funzione giudiziaria perché quest’ultima deraglia dai propri confini e decide insieme alle norme le politiche sui temi più sensibili e chi quelle politiche deve applicare. È uno sviluppo che attraversa tutte le giurisdizioni, a prescindere da appartenenze e collocazioni. Ritrovare equilibrio è indispensabile. Ed il ruolo dell’avvocatura è fondamentale”.
“Il tema della giurisprudenza creativa – ha proseguito - è diffuso fra tutte le giurisdizioni, con riferimenti alle fonti internazionali ed europee, dando una lettura ’estensiva’, per non dire arbitraria, delle norme costituzionali”. E c’è “la tendenza delle corti a negare spazi regolativi al legislatore”, che erode “gli spazi di diretta espressione della sovranità popolare. Pensiamo, per riportare un esempio di leggi sistematicamente disapplicate, a quelle in materia di immigrazione”. “Quello che noi desideriamo non è delegittimare l’Unione europea, ma di preservare il fondamento garantito dall’articolo 1 della Costituzione, laddove si indica che “la sovranità appartiene al popolo”, ebbene per noi questo non è un concetto superato dalla storia, è alla base delle regole delle convivenza civile del Paese”.
Mantovano ha poi parlato del caso Le Pen, in Francia. “Il pensiero va alla sentenza con cui alla leader francese Marie Le Pen è stata applicata la sanzione accessoria immediatamente esecutiva dell’ineleggibilità per cinque anni. Mi limito a constatare che commentatori di parti politiche contrapposte a Marie Le Pen, in Francia come in altre nazioni Italia inclusa, hanno espresso forti dubbi sulla proporzione tra i reati posti a base della condanna, l’entità di quest’ultima e soprattutto l’applicazione anticipata della sanzione accessoria. Non entrare nel merito non impedisce di riflettere sul criterio di proporzione e quindi sul bilanciamento operato, anche perché non è il primo caso. Il diritto di elettorato passivo è qualcosa di particolarmente delicato, attiene al cuore dell’espressione della sovranità popolare. Deve essere vincolato a parametri di onorabilità del candidato, ma perché a tali parametri deve applicarsi la presunzione di consapevolezza, che vale pure per l’immediata applicabilità della sanzione accessoria, soprattutto in presenza di reati che non appartengono al catalogo dei più gravi”.
Non è mancata una immediata presa di posizione contro. Il Consigliere laico del Csm Ernesto Carbone ha commentato: “Considero pericolose le parole del sottosegretario Alfredo Mantovano. A maggior ragione perché provengono da un magistrato che adesso è sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Cosa dovrebbero fare i giudici? Interpellare palazzo Chigi e chiedere il permesso prima di emettere una sentenza? ‘’Evidentemente è quello che pensano alla Presidenza del Consiglio. Strano concetto di democrazia quello per cui i giudici vanno ‘contro la volontà popolare’. Strano concetto di senso dello Stato e divisione dei poteri. Chi cerca così lo scontro fa male al Paese’’.