Comunitario e Internazionale

Multa di 4 miliardi a Google per abuso di posizione

L’indagine Ue sulle app di navigazione e di ricerca preinstallate sui cellulari. L’azienda californiana dal 2011 limita illecitamente l'ingresso di concorrenti

di Alessandro Galimberti

Il Tribunale dell’Ue ha confermato la responsabilità di Google/Alphabet per abuso di posizione dominante nel mercato europeo, infliggendogli una multa di 4,125 miliardi di euro.

Al centro dell’indagine, iniziata sette anni fa e sfociata nel provvedimento della Commissione Ue del luglio 2018 - allora l’ammenda fu di 4,343 miliardi, la più alta mai inflitta dall’antitrust - sono le restrizioni contrattuali imposte dal “quasi” monopolista di Mountain View ai produttori di dispositivi mobili (cellulari) e agli operatori di rete.

Secondo la Commissione, attivata nel 2103 dall’esposto di un’associazione di imprese (FairSearch Aisbl) su pratiche commerciali iniziate già dal 2011, le restrizioni imposte alla concorrenza sono di tre tipi.

Il primo, gli «accordi di distribuzione» che imponevano ai produttori di dispositivi mobili di preinstallare le applicazioni di ricerca generica (Google Search) e di navigazione (Chrome) per poter ottenere da Google una licenza operativa per il suo portale di vendita Play Store.

Ci sono poi le restrizioni inserite negli «accordi antiframmentazione», che subordinano la concessione delle licenze operative per la preinstallazione delle applicazioni Google Search e Play Store all’impegno dei produttori di astenersi dal vendere dispositivi equipaggiati con versioni del sistema operativo Android senza l’approvazione di Google.

Infine, la Commissione aveva censurato le clausole inserite negli «accordi di ripartizione del fatturato», che vincolano il rimborso di una parte degli introiti pubblicitari di Google ai produttori di dispositivi mobili e agli operatori di reti mobili all’impegno a rinunciare, da parte loro, alla preinstallazione di un servizio di ricerca generica concorrente su un portafoglio predeterminato di dispositivi.

Secondo la Commissione, che aveva adottato il provvedimento impugnato davanti al Tribunale continentale, le restrizioni avevano lo scopo di proteggere e rafforzare la posizione dominante di Google nei servizi di ricerca generica e, pertanto, di difendere in modo illecito gli introiti derivanti dagli annunci pubblicitari collegati alle ricerche formalmente gratuite. Nonostante la preinstallazione di applicazioni concorrenti non sia vietata in linea di principio, ha poi osservato il Tribunale, il divieto scatta di fatto con gli accordi di ripartizione del fatturato - sia degli accordi di ripartizione del fatturato per portafoglio, sia degli accordi di ripartizione del fatturato per dispositivi, che li hanno sostituiti - ossia per più del 50% dei dispositivi Google Android venduti dal 2011 al 2016.

Quanto alla asserita libertà degli utenti di scaricare altre app concorrenti sui dispositivi acquistati, la Commissione prima e il Tribunale ora hanno ritenuto che la preinstallazione può generare, e di fatto genera, una «tendenza allo statu quo», dovuta all’inclinazione degli utenti a servirsi delle applicazioni di ricerca e navigazione a loro disposizione. Pertanto la pratica commerciale contestata resta idonea a «incrementare in modo significativo e duraturo l’uso del servizio in questione, senza che questo vantaggio possa essere compensato dei concorrenti di Google».

Nonostante la sostanziale conferma della maxi multa a, la sentenza di ieri del Tribunale Ue non chiude ancora definitivamente la questione con Google/Alphabet. Entro due mesi e dieci giorni dalla notifica formale della decisione, il colosso californiano può ancora ricorrere davanti alla Corte dell’Unione, ma solo per questioni di diritto.

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