Nessuna sanzione per l'avvocato che viola l'obbligo formativo per stato di necessità
Il Consiglio Nazionale Forense ‘salva' il professionista che non adempie all'obbligo formativo se la violazione è scriminata dallo stato di necessità
Non può essere sanzionato l'avvocato che non adempie all'obbligo formativo per stato di necessità. Così il Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 202/2022 (pubblicata il 13 marzo 2023 sul sito del Codice deontologico) accogliendo il ricorso di una professionista avverso la sanzione disciplinare irrogatale dal CDD di Torino.
La vicenda
Alla legale veniva contestato il mancato assolvimento dell'obbligo formativo per il biennio 2008/2010, attraverso il richiamo verbale.
La professionista sosteneva, invece, di aver adempiuto parzialmente al suddetto obbligo e, in ogni caso, di avere diritto ad un esonero, perché nel 2009 era in gravidanza e nel 2010 subiva parto d'urgenza.
Per cui, le sue precarie condizioni di salute durante la gravidanza e quelle del figlio, subito dopo la nascita, oltre a varie questioni personali, non le avevano consentito di poter recuperare l'attività di formazione in precedenza non effettuata.
Inoltre, la stessa evidenziava di non aver avuto conoscenza della comunicazione del COA di Torino che la invitava a conseguire crediti formativi entro un termine specifico.
Il CDD in considerazione del carattere lieve e scusabile dell'infrazione comminava all'avvocatessa il richiamo verbale.
A questo punto, la donna insorge innanzi al CNF chiedendo di annullare il richiamo comminato per difetto di prova ovvero in considerazione dell'impossibilità di adempiere all'obbligo formativo ed effettuare il recupero dei crediti richiesti.
Impugnabilità del richiamo verbale
Il CNF, in via preliminare, si sofferma sull'impugnabilità del richiamo verbale, il quale, "sebbene non abbia carattere di sanzione disciplinare (art.22 cdf), presuppone comunque l'accertamento di un illecito deontologico (anche se lieve e scusabile) e costituisce pur sempre un provvedimento afflittivo, sicché se ne deve ammettere l'impugnabilità dinanzi al Consiglio Nazionale Forense da parte dei soggetti legittimati, se pronunciato all'esito della fase decisoria". Per le stesse ragioni, spiega il Consiglio, "anche se pronunciato all'esito della fase istruttoria preliminare, il provvedimento è impugnabile dinnanzi al Consiglio Nazionale Forense da parte del P.M. e dal Consiglio dell'Ordine presso cui l'avvocato è iscritto, mentre quest'ultimo può proporre, in tal caso, eventuale opposizione avanti al CDD medesimo ex art.14, comma 4-bis Reg. CNF n.2/2015".
La decisione
Entrando nel merito del ricorso, il CNF, lo ritiene fondato.
Deve evidenziarsi, afferma infatti che, "sebbene ragioni di opportunità ed un criterio di ragionevolezza abbiano condotto il CDD alla delibera del richiamo verbale, lo stesso non ha opportunamente valutato in aderenza alle giustificazioni fornite dall'iscritta, le ragioni che hanno consentito, peraltro, di riconoscere l'esonero totale dall'obbligo formativo".
Non v'è dubbio, per il Consiglio che "da un lato che le particolari condizioni familiari della ricorrente, che le hanno consentito di ottenere un successivo esonero dall'obbligo formativo, possono assumere rilievo sotto il profilo di ‘stato di necessità', al quale la giurisprudenza riconosce efficace scriminante del dovere di formazione, pur in assenza di una preventiva richiesta o concessione di esonero (cfr. n. 117/2016); e dall'altro che il principio di presunzione di non colpevolezza vale anche in sede disciplinare".
Il procedimento disciplinare, prosegue ancora il CNF, "è di natura accusatoria, sicché deve essere accolto il ricorso avverso la decisione del Consiglio territoriale allorquando la prova della violazione deontologica non si possa ritenere sufficientemente raggiunta per mancanza di prove certe o per contraddittorietà delle stesse, giacché l'insufficienza di prove su un fatto induce a ritenere fondato un ragionevole dubbio sulla sussistenza della responsabilità dell'incolpato, che deve essere prosciolto dall'addebito, in quanto per l'irrogazione della sanzione disciplinare non incombe all'incolpato l'onere di dimostrare la propria innocenza né di contestare espressamente le contestazioni rivoltegli, ma al Consiglio territoriale verificare in modo approfondito la sussistenza e l'addebitabilità dell'illecito deontologico".
Nella fattispecie, nonostante il CDD di Torino abbia riconosciuto l'esistenza di evidenti ragioni della condizione familiare, lo stesso non ha applicato la relativa scriminante proprio riguardo allo stato di necessità.
"Lo stato di necessità conseguente alla malattia propria e di un proprio familiare – conclude quindi il CNF - esclude rilevanza disciplinare alla violazione dell'obbligo di formazione continua, di cui peraltro costituisce scriminante pur in mancanza di una previa richiesta o concessione di esonero ex art. 15 Reg. CNF n. 6/2014 (ex multis CNF n. 117/2016)". Senza contare che non essendovi prova della dell'avvenuta consegna della raccomandata del COA, "risulta evidente come non risulti provata la consapevolezza nella ricorrente di porre in essere un atto deontologicamente scorretto".
Per cui il ricorso è accolto.