Nessuna sanzione per l'avvocato che "wazzappa" col cliente
Per il CNF, l'uso della messaggistica consente una comunicazione più immediata e veloce e non viola il codice deontologico
L'avvocato che comunichi con il Cliente tramite WhatsApp, sms ed altre modalità di messaggistica istantanea non vìola il decoro professionale. È quanto affermato dalla sentenza n. 28/2021 con cui il Consiglio nazionale forense ha annullato la sanzione della censura inflitta ad un avvocato.
La vicenda
La vicenda traeva origine dall'esposto presentato al COA di Pescara da parte di una signora che denunciava di aver ricevuto una missiva dall'avvocato ricorrente con cui lo stesso le comunicava di essere stato nominato difensore d'ufficio in un procedimento penale a suo carico. Il professionista rappresentava l'urgenza di un contatto immediato precisando di aver già richiesto tutta la documentazione del procedimento e inviava una serie di messaggi alla donna insistendo sull'urgenza dell'incontro vista l'imminente scadenza dei termini. La signora però non aveva mai avuto notizia del procedimento e informava l'incolpato di aver già nominato un avvocato di fiducia, nomina che veniva confermata dallo stesso legale a mezzo pec. A questo punto l'incolpato inviava richiesta scritta di pagamento delle proprie spettanze e la donna si rivolgeva al Coa di appartenenza dell'avvocato d'ufficio denunciando i fatti suddetti.
Il procedimento disciplinare
Veniva avviato così il procedimento disciplinare che si concludeva con l'irrogazione a carico dell'avvocato della sanzione della censura a causa delle seguenti violazioni:
a) violazione dell'articolo 9, in relazione all'articolo 35 comma 11 del codice disciplinare per avere nei confronti della Sig.ra, con insistente uso del telefono cellulare, violato i doveri di esercitare l'attività professionale con dignità, probità e decoro da rispettare anche nelle forme e modalità delle informazioni;
b) violazioni dell'articolo 29 comma 4 cod. disciplinare per aver richiesto compenso manifestamente sproporzionato alla attività svolta.
La tesi difensiva
L'avvocato, ovviamente, non ci sta e impugna la decisione del Cdd, sostenendo che l'uso degli sms rappresenta una consuetudine quale sistema corrente e veloce di comunicazione e che tale uso non può integrare di per sé una violazione delle norme deontologiche. Inoltre, si sarebbe trattato di pochi messaggi, cessati all'atto della conoscenza dell'intervenuta nomina del difensore di fiducia, in alcun modo integranti insistenza molesta, tenuto conto anche del contenuto informativo degli stessi.
Quanto alla sproporzione del compenso, invece, lo stesso evidenzia di aver richiesto parere di congruità al Coa e di aver ridotto l'iniziale richiesta, che quindi diventava assolutamente congrua e proporzionata alle attività poste in essere.
Infine, lamentava la sproporzione della sanzione in relazione ai fatti contestati chiedendo il proscioglimento o in subordine la riduzione a richiamo verbale.
La decisione
Per il CNF, l'appello è fondato e merita accoglimento.
L'uso della messaggistica, che consente una comunicazione più immediata e veloce, ritiene infatti il Consiglio, non può ritenersi in sé in violazione dell'articolo 9 del NCDF poiché, per molti aspetti, ormai "rappresenta un vero e proprio metodo di comunicazione avente anche valore legale e, che per di più, fornisce anche una valida prova nel processo".
Sul punto anche la giurisprudenza ha ritenuto il messaggio "quale valida prova nei rapporti contrattuali tra le parti essendo parificabile ad un documento informatico che consente la conoscenza della volontà delle parti stesse".
Il valore di prova della messaggistica è stato confermato dalla Cassazione "per cui i contenuti dei messaggi rappresentano la memorizzazione di fatti storici e quindi sono considerati alla stregua di prova documentale" (cfr. Cass. n. 49016/2017).
Nel caso di specie, inoltre, dalla lettura dei messaggi inviati si può desumere che si sia trattato di un normale sistema di interlocuzione che l'incolpato ha inteso utilizzare per rapportarsi con la propria assistita. E in ogni caso si è trattato di un numero limitato di messaggi aventi contenuto squisitamente professionale.
Da qui l'inesistenza di rilievi deontologici a carico dell'avvocato: "appare infatti rispettato il dettato deontologico avendo il ricorrente usato modalità e forme che non pare vadano a violare i principi di dignità e decorso della professione forense" sentenzia il CNF. Medesima la conclusione relativamente ai compensi, i quali a dire del Consiglio, non erano manifestamente sproporzionati neanche nella maggiore richiesta originaria.