Niente diffamazione per le dichiarazioni su internet del Sindaco se il tema è d'interesse pubblico
Il Sindaco che esprime su internet le sue ragioni circa una vicenda di interesse pubblico, che coinvolge gli interessi contrastanti dell'amministrazione comunale e di un privato, non può essere condannato per diffamazione, se le sue dichiarazioni sono espresse in maniera appropriata e si fondano su fatti accertati. In tal caso, infatti, si configura il diritto di critica, di cui all'articolo 51 c.p., che esclude la configurabilità del reato. Questo è quanto emerge dalla sentenza 35791 della Cassazione, depositata ieri.
Il caso - La vicenda, nella quale si intersecano profili amministrativi e penalistici, prende le mosse dalla decisione dell'amministrazione di un Comune abruzzese di alienare, poco prima dell'inizio della campagna elettorale, un edificio scolastico dismesso, bene facente parte del patrimonio comunale, in favore di un privato, maresciallo dei Carabinieri. In seguito alla delibera di aggiudicazione, la nuova amministrazione riscontrava nella fase antecedente l'assegnazione numerosi rilievi e pareri negativi circa la dismissione del bene e, di conseguenza, decideva di revocare in autotutela l'aggiudicazione. Il privato assegnatario del bene, tuttavia, non si mostrava favorevole a tale soluzione e decideva di impugnare il provvedimento di revoca dinanzi ai giudici amministrativi e di querelare, altresì, il Sindaco per abuso d'ufficio.
Dopo alcuni tentativi di risolvere la questione in via transattiva, una volta che la vicenda era ormai alla piena attenzione dell'opinione pubblica, il Sindaco decideva di pubblicare sul proprio sito internet un comunicato nel quale, dando atto della situazione di stallo, sottolineava lo sforzo dell'amministrazione comunale volto a risolvere positivamente la questione e sottolineava il contrasto tra la difesa dell'interesse pubblico, dalla sua Giunta perseguito, e la difesa dell'interesse privato, unico movente del maresciallo. Infastidito dal comunicato, quest'ultimo denunciava nuovamente il Sindaco, questa volta per diffamazione, ottenendo la condanna del primo cittadino, sia in primo che in secondo grado, in quanto le sue dichiarazione venivano giudicate offensive della sua reputazione.
Il diritto di critica esclude la diffamazione - Il caso arriva, infine, in Cassazione dove i giudici di legittimità ribaltano il verdetto e assolvono direttamente l'imputato con la formula «perché il fatto non costituisce reato», riconoscendo cioè la sussistenza della causa di giustificazione dell'esercizio di un diritto di cui all'articolo 51 c.p., sub specie del diritto di critica. La Corte analizza le presunte dichiarazioni diffamanti e il contesto ambientale della vicenda ed afferma che il Sindaco, legittimato dal suo ruolo, ha solo «voluto offrire all'attenzione della pubblica opinione il proprio punto di vista su una vicenda ben delineata nei suoi contorni fattuali e provocare una approfondita riflessione su di un tema di rilevante interesse, quale la dismissione di beni pubblici e la congruità del prezzo dell'alienazione», evidenziando la contrapposizione tra interesse pubblicistico e quello privatistico. Stante l'interesse pubblico della tematica, poi, per il Collegio sussistono anche le altre due condizioni che determinano l'applicazione dell'esimente del diritto di critica, ovvero la continenza del linguaggio e la verità del fatto narrato.
Sotto quest'ultimo aspetto, in particolare, i giudici di legittimità ripercorrono le tappe della giurisprudenza europea sull'interpretazione dell'articolo 10 Cedu e sottolineano come nel diritto di critica, specie se politica, le dichiarazioni che contengono un giudizio di valore, che possono sembrare anche esagerate ed eccessive, devono essere valutate in maniera più elastica e sempre con riferimento al nucleo fattuale, che deve però essere veritiero. E nel caso di specie, chiosa la Corte, il Sindaco con il suo comunicato ha voluto denunciare, con un linguaggio consono e in riferimento a fatti veri, una situazione di interesse per l'ente locale e per la cittadinanza, oltre che la correttezza dell'agire della sua amministrazione, senza che ciò possa aver assunto una carica offensiva e diffamatoria nei confronti del privato.
Corte di cassazione – Sezione V penale – Sentenza 26 luglio 2018 n. 35791