Penale

Non basta il deposito della lista testi ai fini dell'ammissione

La Cassazione ricorda che una cosa è la presentazione della lista testi, un'altra è la richiesta di prova ex articolo 493 cpp

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di Marina Crisafi

Il deposito della lista testi difensiva non ne implica l'ammissione se non viene richiesta esplicitamente. Questo perché una cosa è la presentazione della lista ai sensi dell'articolo 468 c.p.p. e altra distinta è la richiesta di prova ai sensi dell'articolo 493 c.p.p. Lo ha stabilito la seconda sezione penale della Cassazione con sentenza n. 27875/2022 pronunciandosi sul ricorso di un imputato straniero, condannato in appello per i reati di rapina aggravata, lesioni personali aggravate e furto in abitazione aggravato in concorso.

La vicenda
Nella vicenda, il difensore dell'uomo adiva il Palazzaccio lamentando, tra i tanti motivi, l'omessa valutazione della lista testimoniale depositata in atti; l'omessa revoca della precedente ordinanza di ammissione delle prove e di quelle precedentemente ammesse; nonchè l'omessa motivazione in ordine alla non ammissione delle prove richieste e depositate in atti.

La decisione
A riguardo, la Suprema Corte osserva preliminarmente che il ricorso è infondato per la gran parte dei motivi e anche in modo manifesto.
Relativamente alla lista testi, gli Ermellini si riportano a quanto deciso dal giudice d'appello che ha correttamente riconosciuto "l'infondatezza della tesi che vorrebbe ritenere che la lista testi della difesa, della quale il difensore d'ufficio non chiedeva l'ammissione, sia stata ammessa de facto dal Tribunale solo perché presente nel fascicolo del dibattimento".
Invero, è riconosciuto "che una cosa è la presentazione della lista testi ai sensi dell'art. 468 c.p.p., altra, ben distinta, è la richiesta di prova ai sensi dell'art. 493 c.p.p." ribadiscono i giudici, riconoscendo come "il deposito, ancorchè rituale, della lista testi non comporta l'implicita successiva formale richiesta di prova, nella specie mai intervenuta e non altrimenti sanabile".
Conseguentemente, "non si può parlare né di omessa valutazione della lista testimoniale - che, il giudice, in sede di presentazione non può sindacare, potendosi solo limitare ad autorizzare la citazione dei testi, in presenza di esplicita richiesta - né, tantomeno, di ammissione implicita di prove e di successiva ingiustificata revoca, per la mancanza di una preventiva formale richiesta in tal senso da parte della difesa".
Del tutto aspecifica poi la doglianza sull'omessa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale attraverso l'esame di alcuni testi, di cui la difesa aveva dedotto la decisività ai sensi dell'articolo 495, comma 2, c.p.p.
Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, "il diritto all'ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico, non è esercitabile liberamente, ma incontra limiti ben precisi nelle prescrizioni degli artt. 188, 189, 190 e 191 c.p.p.: esso deve, infatti, armonizzarsi con il potere-dovere del giudice del dibattimento di valutare la liceità e la rilevanza della prova richiesta onde escludere quelle vietate dalla legge ovvero manifestamente superflue o di rilevanti, e può, pertanto, essere denegato dal giudice, sulla base di adeguata motivazione, proprio soltanto quando le prove richieste risultino manifestamente superflue od irrilevanti; fuori da questi casi, la sua violazione comporta la nullità della sentenza" (cfr., Cass. n. 550/1992).
Nella specie, il giudizio di superfluità ed irrilevanza delle testimonianze in parola è assistito da congrua e logica motivazione, posto che la corte territoriale, dopo aver evidenziato l'assoluta convergenza, credibilità e riscontrabilità delle prove a carico dell'imputato, ha considerato ammantate da una valutazione di non credibilità le dichiarazioni progressivamente modificate nel tempo per renderle compatibili con le deposizioni dei testi che avrebbero dovuto confermarle.
Da qui il rigetto in toto del ricorso.

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