Non si può sospendere l'avvocato per meno di due mesi
Il CNF può rilevare d'ufficio la nullità della sospensione inferiore al minimo edittale, non essendo legittima una sanzione inesistente nell'ordinamento professionale
L'avvocato non può subire una sospensione dalla professione per meno di due mesi. In caso contrario, il provvedimento è invalido per errore di diritto e va inflitta la pena inferiore prevista dall'ordinamento professionale, ossia la censura. È quanto ha affermato il Consiglio Nazionale Forense (sentenza n. 163/2022) interpellato da un legale che contestava il provvedimento del CDD di Bologna con cui era stata disposta la sanzione disciplinare della sospensione per un mese.
La vicenda
L'avvocato ricorrente era stato sottoposto a procedimento disciplinare a seguito di esposto da parte di un'ex cliente, la quale denunciava che nonostante il difensore si fosse espressamente impegnato, anche a titolo gratuito, non aveva presentato l'appello e, inoltre, nel corso del tempo aveva pure fornito false informazioni sullo stato del procedimento di secondo grado.
L'incolpato si imitava ad evidenziare che nessun danno era stato procurato alla parte assistita in considerazione del fatto che la sentenza di primo grado era ben motivata e che aveva riconosciuto il giusto risarcimento in favore della signora e chiedeva la sospensione del procedimento in considerazione dell'apertura di un parallelo procedimento penale a suo danno per i medesimi fatti di cui al capo di incolpazione, a seguito di querela depositata dalla stessa esponente.
Il COA procedeva alla sospensione ma nella pendenza del procedimento penale entravano in vigore le nuove norme regolatrici dei procedimenti disciplinari, per cui non essendo più necessario attendere l'esito del procedimento penale, stante il venir meno della pregiudizialità di quest'ultimo rispetto al primo, il neo costituito CDD riattivava il procedimento disciplinare.
All'esito della fase istruttoria, pur essendo nelle more archiviato il procedimento penale da parte del Gip, rilevata la gravità del comportamento dell'incolpato irrogava la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione forense per mesi 1.
Il ricorso
L'avvocato proponeva quindi rituale impugnazione al CNF, ribadendo quanto già dedotto nel corso del procedimento disciplinare e criticando il provvedimento sostanzialmente per un unico motivo relativo alla eccessività e sproporzionalità della sanzione irrogata soprattutto in considerazione del fatto che le violazioni contestate prevedevano come "pena edittale" l'avvertimento o la censura.
Chiedeva, pertanto, l'annullamento della decisione o comunque l'applicazione della minore delle sanzioni disciplinari previste per le violazioni contestate.
Sanzione al di sotto del limite edittale
Per il CNF, tuttavia, le doglianze sollevate dall'avvocato non colgono nel segno, in quanto l'erroneità della decisione "non è da ravvisarsi nell'aver applicato una sanzione eccessiva, ma esattamente nel contrario" ossia nell'"aver disposto una sanzione al di sotto del limite edittale con conseguente illegittimità della decisione".
In vigenza della precedente normativa (ndr durante la quale si collocano i fatti), spiega quindi il Consiglio, "nella quale come noto non erano espressamente (e previamente) previste specifiche sanzioni per le singole condotte contestate, è dirimente ai fini del decidere stabilire, nel rispetto dei principi dell'irretroattività della legge e di successione delle leggi nel tempo, quale sia la sanzione più favorevole per l'incolpato".
Questa valutazione, come statuito anche dalla Suprema Corte, "non può limitarsi alla sola sanzione edittale dovendo invero aversi altresì riguardo alle eventuali aggravanti ex artt. 53 L. n. 247/2012 e 22 Ncdf (per tutte Cass. n. 22521/2016)".
Ora, osserva dunque il CNF, la norma (articolo 22 comma 2 lettera b) NCDF), che "non brilla certamente per chiarezza" è stato oggetto di attenta disamina da parte della Cassazione che "con una esegesi lineare e ben argomentata, dalla quale non vi è ragione per discostarsi, ha statuito che l'art. 22, comma 2, lettera b) del Codice deontologico Forense approvato dal Consiglio Nazionale Forense, ai sensi dell'art. 65, comma 5, primo inciso della L. n. 247 del 2012, si deve interpretare nel senso che la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione, da essa prevista per i casi più gravi di illeciti che di norma sono sanzionati con la censura, trova applicazione necessariamente nel minimo di due mesi, ancorchè la norma non fissi espressamente una misura minima della sospensione" (Cass. sez. un. 13237/2018).
Minimo che, peraltro, prosegue il CNF, "corrisponde esattamente a quello previsto anche nella previgente normativa" posto che l'articolo 40 del Rd 1578/1933 stabiliva che la sospensione dall'esercizio della professione fosse per un tempo non inferiore a due mesi e non maggiore di un anno.
Per cui, all'esito del raffronto tra le due normative, considerato anche che nel caso in esame, le condotte dell'avvocato sono state ritenute di una certa gravità tanto da meritare la pena della sospensione, la stessa doveva avere una durata di almeno due mesi.
Pertanto, precisa il Consiglio, "anche a prescindere dalla normativa ritenuta applicabile, la sanzione sarebbe dovuta essere la stessa e questo senza alcuna violazione del favor rei".
Invece, il CDD ha applicato una sospensione di mesi uno, imponendo così "una sanzione di entità non prevista dall'ordinamento ed in quanto tale illegittima".
La decisione
Come ha avuto modo di chiarire la stessa giurisprudenza domestica, statuisce infine il CNF, "tanto nella vigenza della precedente normativa quanto in quella attuale, il provvedimento con il quale viene inflitta la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione per mesi uno, inferiore al minimo previsto dalla legge professionale, è invalido per errore di diritto, ricadente su una norma la cui osservanza è obbligatoria. Tale nullità può essere rilevata d'ufficio dal CNF non essendo possibile legittimare una sanzione inesistente nell'ordinamento professionale. Ne consegue che, per il divieto della reformatio in pejus, deve essere inflitta la pena inferiore prevista dall'ordinamento, e cioè la censura" (cfr. CNF n. 7/1997 e n. 224/2020).
Da qui l'accoglimento del ricorso e la parziale riforma della decisione con l'applicazione della sanzione della censura.