Professione e Mercato

Patrocinio a spese dello Stato anche per la mediazione sine iudicio

La Cassazione, ordinanza n. 7974 depositata il 25 marzo, individua il 21 gennaio 2022 come la data spartiacque. L’assenza di norme self-executing nella pronuncia della Consulta (10/2022) “non esonera gli organi giurisdizionali, in attesa che il legislatore adempia al suo compito, dall’applicazione diretta di quel principio”

di Francesco Machina Grifeo

Dal 21 gennaio 2022, giorno successivo alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale (n. 10/2022) che ha dichiarato illegittima la limitazione del compenso per il gratuito patrocinio alla sola attività difensiva in giudizio, in caso di patrocinio a spese dello Stato, anche il difensore che abbia raggiunto un accordo di composizione bonaria della lite ha diritto al compenso per l’attività prestata. In armonia con l’art. 136 Costituzione, infatti, la norma che limitava il riferimento della disciplina sul patrocinio a spese dello Stato ai soli procedimenti giudiziali ha cessato di avere vigore e, pertanto, la decisione giudiziale che continui, ciononostante, a farne applicazione deve qualificarsi illegittima.

La Cassazione, ordinanza n. 7974/2024, ha dunque accolto il ricorso di un legale (che aveva fornito assistenza in una procedura di divisione giudiziale nell’ambito di una successione) contro la decisione del Tribunale di Firenze che aveva respinto l’istanza in quanto vi osterebbe l’art. 75 d.P.R. 115/2002 (T.U. spese di giustizia), il quale, facendo riferimento ad “ogni grado e fase del processo o ad eventuali procedure che nel processo si innestino”, escluderebbe l’applicazione della normativa sul patrocinio a spese dello Stato alle procedure stragiudiziali che non sfociano in una lite giudiziaria, come è nel caso della mediazione obbligatoria conclusasi con esito positivo. Il Tribunale inoltre richiamava un decisione conforme della Cassazione (n. 18123/2020) che però era precedente alla decisione della Consulta.

Per la Seconda sezione civile l’interpretazione che il giudice a quo ha offerto della sentenza n. 10/2022 della Corte costituzionale, “alla luce della precedente decisione di questa Corte n. 18123/2020, è priva d’ogni fondamento logico”. In quanto, come visto, successivamente la Consulta ha mutato il quadro normativo.

Il principio di ragionevolezza, prosegue, impone il riconoscimento al difensore del compenso per l’attività stragiudiziale espletata, specialmente nei casi in cui essa ha consentito, anche grazie all’impegno dello stesso, lo scopo deflattivo perseguito dal legislatore. Inoltre, la disposizione poi censurata comprimeva il principio di eguaglianza sostanziale, in quanto impediva a quanti versano in condizione di non abbienza “l’effettività dell’accesso alla giustizia…”.

Ne consegue, continua la Cassazione, che tanto l’argomento dell’equilibrio di bilancio quanto quello dello sconfinamento nella produzione normativa non sono più invocabili, in quanto definitivamente e pacificamente superati dalla sentenza della Consulta, che con una “decisione additiva di principio, consegna al legislatore e agli interpreti un principio di rango costituzionale”.

E nell’ordinanza n. 3888/2023 la Cassazione si è adeguata ai nuovi principi affermando che: “[...] per effetto dell’intervento del giudice delle leggi sussiste il diritto alla liquidazione del compenso vantato dall’avvocato che abbia assistito la parte in una procedura di mediazione, ma sul presupposto indefettibile che la mediazione abbia carattere obbligatorio”.

Si badi bene però, prosegue la sentenza, che tale diritto del difensore “non preclude al legislatore di poter provvedere in futuro alla attività di integrazione normativa ritenuta opportuna in quanto conseguente alla pronuncia additiva”. Tuttavia, aggiunge la Corte, il fatto che la pronuncia della Consulta “si limiti a consegnare un principio, senza contestualmente introdurre regole di dettaglio self-executing, “non esonera gli organi giurisdizionali, in attesa che il legislatore adempia al suo compito, dall’applicazione diretta di quel principio”. Si tratta infatti di “diritto vigente, capace di valere per forza propria, in quanto derivante dalla Costituzione”.

In definitiva, prosegue l’ordinanza, la Cassazione “non può esimersi dall’osservare che, ove si riconoscessero effetti vincolanti soltanto alla parte ablatoria della decisione additiva, e invece valore meramente persuasivo al principio in essa formulato, si verrebbe a negare la stessa funzione assolta dalle sentenze di accoglimento del Giudice delle leggi, le quali apparrebbero come meramente dichiarative dell’incostituzionalità di omissioni legislative e, proprio perché non seguite dall’applicazione concreta del principio da esse enunciato, non agevolmente armonizzabili con il disposto dell’art. 136 Cost. e dell’art. 30 della l. n. 87/1953, che invece postulano l’espunzione e la cessazione dell’efficacia della norma incostituzionale quale il necessario ed inevitabile effetto della dichiarazione di incostituzionalità̀”.

È dunque “evidentemente fondata, per tutte le considerazioni sinora svolte, la denunzia circa la violazione degli artt. 74, co. II, 75, co. I e 83, co. II, d.P.R. 115/2002 da parte dell’ordinanza impugnata, che, avendo concluso per l’esclusione ad un caso di mediazione obbligatoria sine iudicio dell’applicazione dei principi ivi aggiunti per effetto del diritto alla liquidazione del compenso, è incorsa in violazione di legge”.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©