Payback sui dispositivi medici: prime impressioni sull’udienza della Consulta e ricadute sul servizio sanitario nazionale
La pronuncia della Corte è attesa entro un ragionevole orizzonte temporale, auspicabilmente prima della pausa estiva
Il 22 maggio scorso si è svolta a Roma l’udienza pubblica nella quale è stata discussa la questione di legittimità costituzionale della normativa sul payback sui dispositivi medici (art. 9-ter del Decreto legge n. 78/2015), per contrasto con gli artt. 3, 23, 41 e 117 della Costituzione, sollevata dal TAR Lazio con l’ordinanza di rinvio n. 12553 del 24 novembre 2023.
Erano presenti in aula i legali di sedici imprese, tra cui quelle scelte a campione dal TAR per l’udienza pilota svoltasi il 24 ottobre 2023 da cui è originata la rimessione, oltre all’Avvocatura di Stato e all’Avvocatura regionale in difesa, rispettivamente, della Presidenza del Consiglio dei Ministri e della Regione Toscana, regione che ha registrato il maggior sforamento del tetto di spesa e sarebbe, dunque, destinataria della maggior quota di ripianamento.
Le difese dei produttori
Gli interventi spiegati dai legali delle imprese fornitrici si sono ampiamente soffermati sui diversi profili di incostituzionalità del payback, evocati dall’ordinanza di rimessione.
Al fine di escludere l’assimilazione del meccanismo oggetto d’impugnazione (il payback sui dispositivi medici) rispetto al diverso payback applicato nel settore dei farmaci (già passato al vaglio della Consulta), sono state evidenziate le diversità dei due mercati e il diverso impatto del payback su di essi.
Si è osservato, in particolare, che il settore farmaceutico è governato da multinazionali che investono enormi capitali in ricerca e, una volta sviluppato il prodotto, ne traggono rilevantissimi profitti fino alla scadenza del brevetto e all’inserimento del farmaco nelle liste di trasparenza. In un simile contesto, dal quale le aziende produttrici di farmaci non innovativi coperti da brevetto ricavano indubbi benefici, la compartecipazione al ripianamento della spesa per l’innovazione farmaceutica e la compressione dei margini operata dal payback può giustificarsi e non appare sproporzionata. Replicare, invece, un simile sistema di drenaggio in un mercato, qual è quello dei fornitori di dispositivi medici, composto per la stragrande maggioranza di micro, piccole e medie imprese, che partecipano a gare pubbliche nelle quali il prezzo si forma applicando un ribasso su basi d’asta definite dall’amministrazione, è irragionevole e non porrebbe le aziende nella condizione di reggere il consolidarsi di una misura che va ad erodere integralmente l’utile di impresa.
Sotto diverso profilo, è stato ribadito che il sistema delineato dal legislatore determina un ingiustificato sacrificio dell’iniziativa economica privata con l’utilizzo di prestazioni irragionevoli ed eccessive. Sotto tale profilo, gli interventi dei legali delle aziende hanno evidenziato come le imprese fornitrici non abbiano alcun ruolo nella determinazione dei tetti di spesa, né alcuna responsabilità nel relativo sforamento, pagandone cionondimeno effetti insostenibili. I tetti di spesa sono infatti determinati dall’amministrazione senza alcun confronto con i privati, così come sono sempre gli enti del SSR a stabilire unilateralmente il fabbisogno di dispositivi medici e a bandire le gare per il loro acquisto, con predeterminazione di condizioni, sulle quali il privato non ha alcun potere di incidenza né alcun controllo.
Altri interventi hanno enfatizzato la violazione degli artt. 3 e 117 della Costituzione (quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU), sotto il profilo dell’affidamento, della ragionevolezza e dell’irretroattività delle misure censurate. In proposito, è stato rilevato come la previsione unilaterale di tetti di spesa, determinata retroattivamente in relazione al quadriennio 2015-2018, a distanza di oltre sette anni dalla norma introduttiva del payback, e la conseguente quota di ripianamento posta a carico delle aziende fornitrici hanno determinato una sostanziale compromissione dell’utile calcolato al momento della partecipazione alle gare indette dalle Regioni. In assenza di un tetto di spesa previamente stabilito e di indicazioni sulle relative modalità di calcolo, infatti, le imprese non sono state in condizione di determinare in modo chiaro la prestazione economica loro richiesta in sede di gara, né hanno potuto beneficiare dei meccanismi previsti dalla stessa normativa (rinegoziazione dei contratti e recesso, in caso di mancato accordo con la PA) per contenere lo sforamento e il sacrificio ad esse imposto, con stravolgimento del sinallagma contrattuale.
I legali hanno poi rimarcato come il prelievo economico, disposto dall’art. 9 ter sul fatturato delle aziende fornitrici, costituisca una prestazione patrimoniale imposta che viola l’art. 23 della Costituzione perché adottata in assenza della previsione, a livello legislativo, di criteri direttivi idonei a limitare la discrezionalità del potere esecutivo nella sua attuazione: si tratta, infatti, di una norma in bianco , in cui rimangono totalmente indeterminati i criteri per la fissazione dei tetti regionali di spesa, così come mancano criteri che consentano di tener conto: della diversa offerta sanitaria delle regioni (e del rapporto tra sanità pubblica e privata), della mobilità interregionale e della diversità dei dispositivi medici da ricomprendere nel calcolo dell’ammontare complessivo della spesa rilevante ai fini del payback, senza quindi alcuna considerazione della diversa tipologia di destinatari dell’imposizione. Inoltre, è stata stigmatizzata l’assenza di limiti temporali al sistema di contribuzione introdotto, così come la circostanza che la norma - nel far riferimento al fatturato (piuttosto che al margine di utile) - colpisce l’intero reddito dell’impresa e non solo quella parte “suppletiva” connessa alla posizione privilegiata dell’attività esercitata con la PA.
Su un piano più squisitamente procedimentale, ulteriore profilo portato all’attenzione della Consulta ha riguardato l’assenza dei presupposti per giustificare la delimitazione temporale degli effetti di una declaratoria di incostituzionalità in nome del principio di equilibrio di bilancio (ex articolo 81 della Costituzione) evocato dalla difesa erariale. In proposito, alcuni precedenti della Corte, pur dichiarando l’incostituzionalità della normativa impugnata, ne hanno escluso una rimozione con effetti retroattivi poiché una simile pronuncia avrebbe comportato uno squilibrio del bilancio dello Stato di entità tale da implicare una manovra finanziaria aggiuntiva, nonché un’irragionevole redistribuzione della ricchezza a vantaggio di quegli operatori che potevano aver beneficiato di una congiuntura favorevole, oltre ad una traslazione degli oneri sui consumatori con indebito vantaggio per alcuni operatori. I legali delle aziende hanno incisivamente sottolineato come i presupposti giustificativi di una pronuncia di incostituzionalità con effetti limitati nel tempo non ricorrono nel caso del payback: non vi è, infatti, prova che la rimozione retroattiva del meccanismo comporti una manovra finanziaria aggiuntiva, né alcun operatore ha beneficiato di una congiuntura favorevole poiché i prezzi determinati in sede di gara sono rimasti immutati, né sussiste alcuna traslazione dell’onere sui consumatori in quanto l’acquirente dei dispositivi e “pagatore” è la pubblica amministrazione.
La posizione dell’Avvocatura di Stato e della Regione Toscana
L’Avvocatura ha primariamente enfatizzato i gravissimi effetti sugli equilibri di bilancio che deriverebbero da una declaratoria di incostituzionalità, paventando il rischio di ricadute sulla fiscalità generale del peso eccedente la spesa sanitaria. I legali hanno poi argomentato la sostenibilità del sacrificio imposto ai fornitori e la prevedibilità delle misure introdotte dal legislatore. Sul primo aspetto, l’Avvocatura ha insistito per l’assimilazione dei due mercati (quello farmaceutico e quello dei dispositivi) sotto il profilo della capacità di influenzare la domanda e il prezzo del prodotto: le aziende responsabili dell’immissione in commercio dei dispositivi avrebbero, secondo le tesi dell’Avvocatura, flessibilità nella scelta del soggetto cui venderli (SSN o settore privato) e nella qualificazione del prodotto in termini di dispositivo medico e della marcatura CE. Inoltre, secondo l’Avvocatura, l’onere di ripianamento posto a carico degli operatori avrebbe un impatto limitato in quanto il payback non incide sul totale del fatturato aziendale, ma solo sulla quota parte derivante dalle forniture di dispositivi alle strutture pubbliche.
Sotto diverso profilo, l’Avvocatura ha replicato che la norma sul payback risale al 2015e operatori professionali come i produttori di dispositivi medici avrebbero dovuto prevederne la possibile entrata in vigore accantonando nei propri bilanci le risorse necessarie per fronteggiare il ripiano incerto solo nel quantum, ma non nell’an.
La decisione della Consulta e gli effetti sul SSN
La pronuncia della Corte riveste un’importanza decisiva per la definizione degli oltre duemila ricorsi pendenti innanzi al giudice amministrativo, che si dovranno conformare alle statuizioni della Consulta. È questa, dunque, la sede in cui si gioca la partita del payback.
La Corte ha prestato attenzione e mostrato grande sensibilità verso i temi dibattuti. Nel corso dell’udienza, le argomentazioni a sostegno dell’incostituzionalità del payback veicolate dal TAR remittente e sviluppate dai legali delle aziende sono apparse estremamente convincenti. Non è, tuttavia, agevole prevedere l’esito del giudizio di costituzionalità poiché la Consulta sarà chiamata a operare un bilanciamento tra i contrapposti interessi costituzionali coinvolti nella vicenda e a ponderare gli effetti della propria decisione, qualunque essa sia.
Il rigetto della declaratoria di incostituzionalità potrebbe avere un impatto dirompente sull’intero comparto dei fornitori di dispositivi medici, con inevitabili ricadute sul sistema sanitario nazionale. Rendere strutturale una misura come il payback rischia, infatti, di mettere in ginocchio il settore, esponendo aziende di piccole e medie dimensioni al rischio di procedure concorsuali per l’insostenibilità dell’onere loro imposto. Al contempo, la pressione sulle aziende e le incertezze sulle modalità di determinazione del payback potrebbero ripercuotersi sul sistema delle forniture al SSN, allontanando i produttori dalla partecipazione alle gare pubbliche e spostandone l’interesse sulle strutture private, il tutto ai danni dei pazienti che subirebbero gli effetti della carenza di dispositivi fondamentali per la salute.
Non trascurabili sono anche gli effetti che una declaratoria di incostituzionalità avrebbe sugli equilibri dei bilanci delle Regioni che fanno affidamento sulle risorse rivenienti dal payback. Cionondimeno, come ben evidenziato nel corso dell’udienza, la gestione dell’impatto economico di una simile decisione dovrebbe rientrare nel perimetro della responsabilità politica di Governo e Parlamento.
Il costo “socio-economico” di una pronuncia di accoglimento consegue, infatti, a un’errata scelta legislativa e non alle statuizioni della Corte che abbiano accertato l’erroneità di tale scelta. Compete, quindi, agli organi politici approntare misure strutturali per fronteggiarne l’impatto, ripensando ad esempio alla riorganizzazione della spesa sanitaria o al taglio di enti inutili. La giurisprudenza della Corte, del resto, proprio riferendosi al principio di equilibrio del bilancio, ha sottolineato in più occasioni che la responsabilità politica del mandato elettorale si esercita non solo attraverso il rendiconto del realizzato, ma anche in relazione al consumo delle risorse impiegate.
Vista la rilevanza della tematica e le sue ricadute sistemiche, la pronuncia della Corte è attesa entro un ragionevole orizzonte temporale, auspicabilmente prima della pausa estiva, ma allo stato non vi sono conferme ufficiali da parte dei giudici della Corte.
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*A cura di Lorenzo Gentiloni Silveri e Ada Esposito del team Life Sciences & Healthcare di Legance