Per l’accordo in mediazione niente omologa se è astratto
Il ricorso per l’omologazione finalizzato all’esecutività dell’accordo stipulato in mediazione deve essere rigettato se il presidente del tribunale non può effettuare il previsto controllo di conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico. Questo se né dall’accordo né dagli altri atti della procedura conciliativa si può evincere il titolo sottostante alla pretesa creditoria.
Il Tribunale di Firenze con il decreto presidenziale del 2 luglio scorso (estensore Breggia) torna sui temi della mediazione e chiarisce come l’accordo conciliativo e la sua possibile esecutività debba essere sottoposto a un controllo non solo di regolarità formale, ma anche di conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico come previsto dalla norma di riferimento. Norma che stabilisce – dopo la riforma del 2013 – che tale controllo possa essere svolto anche dagli avvocati, oltre che dal presidente del tribunale competente per territorio.
Nel caso sottoposto al tribunale, le parti che avevano svolto la mediazione – senza assistenza legale – erano pervenute a un accordo sottoposto all’omologa nel quale si pattuiva un riconoscimento del debito rateizzato per consentire il pagamento. Il presidente del tribunale ritenuto che dall’accordo non si potesse desumere il titolo della pretesa rigettava la richiesta - con decreto del 15 maggio 2015 - concedendo alla parte istante 15 giorni per l’integrazione delle informazioni anche attraverso la produzione di documenti con gli atti del procedimento di mediazione e, in particolare, della domanda e della adesione. Il decreto veniva trasmesso anche all’organismo di mediazione prevedendo la possibilità per lo stesso di integrare quanto necessario.
Dopo il provvedimento il solo ricorrente depositava la copia della domanda di mediazione, presentata in forma congiunta dalle parti. Da tale documento il Tribunale rilevava ulteriori elementi ma che non consentivano di esperire il necessario controllo di conformità persistendo l’astrattezza dell'accordo stipulato. Dall’esame della domanda di mediazione emergeva l’indicazione quale oggetto della stessa la «liquidazione del debito di …, verso …»; inoltre, con riferimento alla materia del contendere ove era previsto l’invito a barrare le varie ipotesi (condominio, diritti reali eccetera), risultava barrato il quadratino relativo a uno spazio bianco privo di ogni dicitura; infine, a fronte dell’astrattezza di tale accordo lo stesso prevedeva addirittura la possibile vendita di un immobile, con diritto di prelazione a favore del creditore o impiego del prezzo per il saldo del residuo debito.
L’astrattezza dell’accordo, quindi, conduceva al definitivo rigetto del ricorso per la omologazione con il decreto del 2 luglio scorso: «La radicale mancanza di ogni indicazione circa la causa delle pretese creditorie rende impossibile verificare la conformità dell’accordo all’ordine pubblico o a norme imperative». Precisa il Tribunale che pur tenendo conto delle caratteristiche di riservatezza tipiche della mediazione appare evidente che ai fini dell’omologazione «è necessario mettere il giudice in grado di effettuare le valutazioni di sua competenza con la sintetica indicazione del titolo sottostante alle pretese creditorie, mentre, nel caso di specie, l’indicazione dell’oggetto della controversia come “liquidazione del debito” è puramente astratta e non consente le predette valutazioni».