Professione e Mercato

Per i penalisti basso rischio di commettere reati perseguibili nella vita reale

Più critico il fronte del trattamento dati: non può bastare la regolamentazione privacy europea

di Massimiliano Carbonaro

Per il momento pensare al metaverso e ai suoi simili come luoghi – per quanto digitali – dove gli avatar possano commettere veri e propri reati è decisamente prematuro.

Certo c’è già un’ampia casistica di reati legati al digitale: dallo stalking ai furti di identità, dai reati informatici alle estorsioni. «Al momento non si è a conoscenza di procedimenti su reati commessi nel metaverso – commenta l’avvocato Andrea Puccio, partner fondatore di Puccio Penalisti Associati in merito alle frontiere del penale – ma bisogna cominciare a prendere in considerazione la situazione, anche se nel Metaverso restano validi alcuni principi generali, come quello della personalità della responsabilità penale». Per Puccio uno dei problemi principali è la configurabilità del reato, ovvero capire se una determinata condotta sia punibile: nel metaverso il reato verrebbe commesso non da una persona fisica, ma da una sua proiezione virtuale in cui la condotta illecita non si realizzerebbe nei confronti di un’altra persona fisica, ma su un altro avatar. Forse servirebbe su questo fronte un intervento del legislatore sovranazionale per individuare un sistema di tutele condivise con un quadro normativo di riferimento.

Anche per l’avvocato Paolo di Fresco, of counsel di Lexia Avvocati la materia è ancora in divenire e bisognerà immaginare un sistema sovranazionale di tutele. «Solo se c’è un riflesso nella vita reale si può parlare di reato – sottolinea – ma nel metaverso la condotta si attua attraverso un avatar, in una dimensione sganciata da riferimenti materiali, mentre per configurarsi un reato deve esserci un comportamento tangibile».

Se lo sviluppo e la diffusione del metaverso dovessero crescere si porrebbero criticità anche sui fronti della privacy. «Il trattamento dei dati è un tema fondamentale quando si entra in un mondo in cui si agisce come un avatar con un’identità digitale – commenta l’avvocato Ugo Di Stefano, partner dello studio Lexellent –; quest’ultima è soggetta a controlli e registrazioni in maniera pervasiva e maggiore rispetto al mondo fisico». L’attuale normativa europea (Gdpr) non basterebbe a regolamentare la protezione dei dati: servirebbe un coordinamento globale. Sul fronte del lavoro, confrontandosi con sistemi non fisici, si prospettano dubbi sulla valutazione dell’operato di un dipendente, sulle tasse e la retribuzione. «Le aziende, però, – rileva Di Stefano – mantengono un approccio tradizionale, non stanno pensando all’organizzazione del lavoro di domani. A parte i brand internazionali e quelli del lusso, sul metaverso le imprese restano a osservare».

Così come, per certi versi, anche gli studi legali. «Siamo molto attenti agli strumenti digitali – conclude Puccio – ma immaginare avatar avvocati è prematuro».

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