Immobili

Per la sicurezza l’amministratore può intervenire su parti private

Lo conferma la Cassazione nell’ordinanza 14140/2021

di Giulio Benedetti

L’amministratore del condominio deve compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio (articolo 1130 del Codice civile), ma quando l’intervento di urgenza richiesto dal sindaco, per tutelare la pubblica incolumità, riguarda anche le parti private, il condòmino non può opporsi alla messa in sicurezza del condominio. Lo conferma la Cassazione nell’ordinanza 14140/2021.

L’ordinanza sindacale

Nei confronti di un condominio il sindaco emetteva un’ordinanza che ingiungeva l’esecuzione della rimozione di calcinacci ed il rifacimento dei balconi, per tutelare la pubblica incolumità. L’amministratore convocava l ’assemblea che commissionava i lavori ma una condomina citava in giudizio il condominio, l’ingegnere e l’impresa lamentando la non corretta esecuzione, all’interno della sua proprietà, dei lavori secondo la regola dell’arte e impeditivi dell’accesso al suo locale caldaia.

Il Tribunale rigettava la domanda della condomina e rilevava che il compimento di atti conservativi per la salvaguardia del condomino legittimava l’intervento dell’amministratore, anche senza la previa convocazione dell’assemblea. Inoltre, l’approvazione dei lavori di messa in sicurezza indicati nell’ordinanza non richiedeva il consenso della condòmina, poiché era un intervento implicante il compimento di atti diretti alla conservazione dell’edificio condominiale e all’eliminazione di una situazione di pericolo per la pubblica incolumità; quindi alla loro esecuzione la condomina non poteva opporre che il balcone, su cui dovevano essere eseguiti, fosse di sua privata proprietà.

La Corte di appello accertava poi che l’assemblea condominiale non aveva approvato il progetto tecnico esecutivo ma solo il piano di interventi, secondo la relazione dell’ingegnere in cui era prevista la necessità della demolizione totale dei balconi di cui il predetto professionista aveva accettato la pericolosità statica.

La successiva assemblea approvava l’esecuzione dei lavori ma la condòmina aveva palesato la volontà di mantenere inalterata la facciata: quindi niente lavori.

In Cassazione

La Corte di Cassazione rigettava il ricorso della condòmina avverso la sentenza della Corte di appello, poiché, in assenza di una specifica impugnazione, non poteva qualificare la sua domanda come quella di riduzione in pristino del balcone, in quanto i giudici di merito avevano qualificato la domanda come azione di risarcimento dei danni e tale affermazione era passata in giudicato. Il ricorso non si confrontava con la sentenza del Tribunale, confermata dal giudice di appello, la quale aveva ritenuto che la domanda della condòmina si limitava a dedurre i danni per l’illegittimità delle delibere assembleari di approvazione dei lavori e non per la loro inadeguata esecuzione, secondo la regola dell’arte.

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