Giustizia

Pnrr e giustizia da remoto, soluzione strutturale o toppa emergenziale?

I dubbi del Movimento Forense sull’’impiego di una “task force” di 500 magistrati non in presenza per gestire l’arretrato

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di Dario Tornese*

Nella corsa contro il tempo per salvare le risorse del PNRR destinate alla giustizia civile la proposta del Ministero si concretizza in un provvedimento straordinario che prevede l’impiego di una “task force” composta da 500 magistrati volontari chiamati a gestire il contenzioso civile da remoto per smaltire l’arretrato: un’operazione che, sebbene sulla carta punti all’efficienza, solleva profondi dubbi sulla sua concreta operatività in un ordinamento – quale è quello italiano – che in diverse occasioni ha dimostrato di non essere ancora pronto ad affrontare con la giusta concretezza le sfide della digitalizzazione.

È indubbio che la Giustizia italiana debba essere alleggerita, velocizzata e resa compatibile con le esigenze europee e l’idea di utilizzare risorse già formate senza attendere nuovi concorsi o complessi meccanismi di mobilità presenta un chiaro valore pratico, ma è anche lecito chiedersi quale giustizia stiamo costruendo e quale beneficio vogliamo perseguire tramite la digitalizzazione: una giustizia telematica realmente più celere ed efficiente che sfrutti la tecnologia a vantaggio del processo, o un sistema che vede nella digitalizzazione uno strumento a favore degli Uffici?

Ciò che desta preoccupazione è il rischio che la giustizia si trasformi in un servizio decentrato, dove l’efficienza operativa prevale sulle garanzie del contraddittorio e della prossimità, creando una “giustizia a doppia velocità” che vedrebbe alcune sedi beneficiare dell’arrivo dei magistrati “remoti” mentre altre, già in difficoltà, restare carenti di personale e risorse, accentuando così le disuguaglianze nei territori più fragili e vulnerabili alla desertificazione giudiziaria.

È indubbio, quindi, che – come avvenuto anche nel periodo di emergenza epidemiologica – il Processo Telematico rappresenti l’unico strumento in grado di adattarsi a tutte le situazioni e garantire la continuità e la rapidità del sistema giustizia e, pertanto, esso non può essere ridotto a mero rimedio contingente ma, al contrario, deve essere considerato – perché lo è – uno strumento essenziale e come tale deve essere potenziato mediante la previsione di un piano a lungo termine che preveda investimenti strutturali – certamente – ma che miri anche alla formazione del personale e alla valorizzazione dell’Ufficio del Processo, con lo scopo di creare una struttura autosufficiente e, soprattutto, in grado di garantire e rafforzare la presenza della giustizia sul territorio anziché smaterializzarla.

In questo contesto, il potenziamento della digitalizzazione del processo rappresenta un passaggio non solo utile ma ancor più necessario, come più volte ribadito dal Movimento Forense, il quale, attraverso il suo Dipartimento Nazionale di Giustizia Telematica, si è distinto per il costante impegno nella formazione tecnica rivolta non solo all’avvocatura ma anche alla magistratura, colmando in più occasioni il vuoto lasciato dalle Istituzioni, come testimonia – da ultimo – l’intervento formativo a favore dei Giudici di Pace in seguito all’estensione del processo telematico anche a tali uffici.

La digitalizzazione della giustizia, però, è un processo delicato e come tale deve essere attuata con coerenza, perché il problema dell’arretrato non può risolversi con misure palliative e senza una visione sistemica e un monitoraggio attento il mero impiego di magistrati da remoto rischia di trasformarsi in una toppa emergenziale fine a sé stessa su una falla strutturale senza rimedi che, se legittimato oggi solo in nome del PNRR e non supportato da una vera strategia di riforma, domani potrebbe trasformarsi in un’arma a doppio taglio capace di intaccare l’essenza stessa della giurisdizione.

* Responsabile Comunicazione di Movimento Forense

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