Rassegne di Giurisprudenza

Presupposti della nullità del licenziamento ritorsivo

Licenziamento ritorsivo - Motivo illecito esclusivo e determinante - Necessità - Onere della prova del lavoratore - Sussistenza - Comparazione con altri motivi del recesso - Esclusione
Per accogliere la domanda di accertamento della nullità del licenziamento in quanto fondato su motivo illecito, occorre che l'intento ritorsivo datoriale (il cui onere è a carico del lavoratore) abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di recedere dal rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso, dovendosi escludere la necessità di procedere ad un giudizio di comparazione fra le diverse ragioni causative del recesso, ossia quelle riconducibili ad una ritorsione e quelle connesse, oggettivamente, ad altri fattori idonei a giustificare il licenziamento.
• Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 7 settembre 2022, n. 26395

Licenziamento - licenziamento per ritorsione - nullità - presupposti.
Non può considerarsi ritorsivo un licenziamento palesemente (anche se erroneamente) basato sull'inosservanza di direttive aziendali, qualora manchi la prova, il cui onere incombe sul lavoratore, della sussistenza di un motivo illecito determinante. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva dichiarato la illegittimità del licenziamento disciplinare adottato in violazione dell'art. 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, escludendone, tuttavia, la natura discriminatoria, in assenza della allegazione e prova del motivo illecito determinante).
• Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 27 febbraio 2015, n. 3986

Licenziamento - Licenziamento disciplinare - Carattere ritorsivo del provvedimento datoriale – Configurabilità - Condizioni.
In tema di licenziamento disciplinare, ove il lavoratore deduca il carattere ritorsivo del provvedimento datoriale, è necessario che tale intento abbia avuto un'efficacia determinativa ed esclusiva del licenziamento anche rispetto agli altri eventuali fatti idonei a configurare un'ipotesi di legittima risoluzione del rapporto, dovendosi escludere la necessità di procedere ad un giudizio di comparazione fra le diverse ragioni causative del recesso, ossia quelle riconducibili ad una ritorsione e quelle connesse, oggettivamente, ad altre inadempienze. (Nella specie, la S.C., nel rigettare il ricorso, ha ritenuto ininfluente che le contestazioni mosse al dipendente, investito di funzioni di responsabilità in diverse filiali di un istituto bancario, fossero state originate da una ispezione, asseritamente disposta come reazione ingiusta a sue segnalazioni in ordine alle modalità di gestione di un gruppo finanziario).
• Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 9 marzo 2011, n. 5555

Licenziamenti individuali - Impugnazione - Licenziamento discriminatorio - Licenziamento per motivo discriminatorio - Licenziamento per ritorsione - Carattere ritorsivo e discriminatorio per attività sindacale - Onere probatorio a carico del lavoratore - Oggetto - Individuazione - Modalità di assolvimento - Chiarimenti
Per affermare il carattere ritorsivo e quindi la nullità del provvedimento espulsivo, in quanto fondato su un motivo illecito, occorre specificamente dimostrare, con onere a carico del lavoratore, che l'intento discriminatorio o di rappresaglia per l'attività svolta abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà del datore di lavoro anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso. Per l'accertamento dell'intento ritorsivo del licenziamento non è sufficiente la deduzione dell'appartenenza del lavoratore ad un sindacato, o della sua partecipazione, anche se attiva, ad attività sindacali, ma è necessaria la prova della sussistenza di un rapporto di causalità tra tali circostanze e l'asserito intento di rappresaglia, dovendo, in mancanza, escludersi la finalità ritorsiva del licenziamento.
• Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 14 luglio 2005, n. 14816