Professione e Mercato

Professionisti vs PNRR, una sfida da cogliere

Il PNRR rappresenta un grande appuntamento su cui l'Italia misurerà le sue capacità di far fruttare adeguatamente i finanziamenti provenienti dall'Europa

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di Claudio Rorato*

Il PNRR rappresenta un grande appuntamento su cui l'Italia misurerà le sue capacità di far fruttare adeguatamente i finanziamenti provenienti dall'Europa. Ognuno dovrà fare la sua parte, compresi i Professionisti, chiamati a supportare il mondo imprenditoriale, prevalentemente di micro e piccola-media dimensione, nella gestione del cambiamento, per recuperare competitività sui mercati.

Portare innovazione culturale e gestionale nelle imprese, significa avere sperimentato e interiorizzato nuovi comportamenti. Le professioni giuridiche ed economiche – avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro – che già oggi presidiano alcune importanti attività (fiscali, giuslavoristiche, amministrative, contrattuali), sono in grado di assolvere questo compito?

La sfida è importante e dovrebbe avere un'unica risposta proprio per cogliere un duplice obiettivo: svolgere un ruolo importante per l'attuazione del piano strategico nazionale (questo è il PNRR), diventare un veicolo culturale e gestionale per le imprese, supportandole a elaborare nuove visioni in chiave strategica.

Ce la faranno sicuramente gli studi che, con ottimismo, guardano alle tecnologie digitali come a un volano per migliorare i modelli organizzativi, di business e relazionali dei loro studi. Ciò li aiuterà a recuperare efficienza, fidelizzare la clientela, cogliere nuove opportunità dai mercati. Vincerà anche chi non si limiterà a rispondere alle richieste del cliente ma svilupperà un atteggiamento proattivo per comprendere i bisogni latenti delle aziende e misurare la loro soddisfazione per i servizi e gli strumenti impiegati nella relazione. Acquisiranno un vantaggio competitivo anche gli studi attenti a ibridare la loro conoscenza, a individuare e a trattenere i talenti per ringiovanire gli organici non solamente dal punto di vista anagrafico ma anche della propensione al digitale.

Dal PNRR arriveranno fondi per migliorare le competenze digitali delle imprese, per elevare la loro capacità di sviluppare modelli organizzativi e di business ispirati alla sostenibilità, per aumentare gli asset digitali impiegati in modo da migliorare l'efficienza e lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi.

Qui i professionisti giocheranno la loro partita. Dai numeri della ricerca condotta dall'Osservatorio Professionisti della School of Management del Politecnico di Milano emergono luci e ombre.

I più ottimisti sul futuro della professione sono gli studi multidisciplinari (59%), i meno ottimisti gli avvocati (38%). I timori maggiori sono nei confronti delle piattaforme che erogano servizi sulle attività più standardizzate (35%-40%), nella difficoltà a reperire il personale per sostenere la crescita dello studio (23%-38%) o a gestire il passaggio generazionale (15%-21%).

I professionisti ritengono che gli studi siano poco attrattivi per i giovani a causa di bassi livelli retributivi (dal 31% dei multidisciplinari al 56% degli avvocati), dello scarso bilanciamento tra lavoro e vita privata (dal 38% di avvocati e consulenti del lavoro al 54% dei commercialisti) e, infine, delle difficoltà a intravedere percorsi di carriera strutturati (dal 30% dei consulenti del lavoro al 43% degli avvocati).

Tra il 23% (multidisciplinari) e il 35% (avvocati) non sono stati realizzati significativi progetti di cambiamento negli ultimi dieci anni. È un dato che dà la misura delle dimensioni della popolazione professionale più arretrata, che difficilmente potrà avere un ruolo di spicco nella partita del PNRR verso le imprese.

Sul fronte delle tecnologie, al netto della quasi plebiscitaria fattura elettronica, gli studi hanno mediamente tassi di adozione dal 40% in giù in tutti gli strumenti. Ciò significa che gli impatti del digitale non sono ancora percepiti così importanti e ampi. Fanno eccezione i grandi studi (NdA: organico complessivo superiore a 30 unità), almeno la metà dei quali possiede i due terzi delle tecnologie censite.

Scarse ancora le adozioni delle tecnologie di frontiera – AI nelle sue articolazioni, blockchain – com'era lecito attendersi. Stupisce la scarsa crescita dei siti web, gettonati da meno della metà degli studi mono disciplinari, da poco più del 50% dei multidisciplinari ma dal 95% dei grandi studi. Questi ultimi, ancora una volta, dimostrano di aver messo in discussione i precedenti paradigmi a favore di una nuova visione del ruolo.

Infine, un dato che dà speranza, condizionata, al mondo professionale. Le PMI che hanno sviluppato progetti digitali (53%) nel 27% dei casi si sono rivolte agli studi di avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro, che risultano i primi interlocutori, ecco la nota positiva, per queste aziende.

Se scaviamo nel dato, emerge però che il supporto prevalente riguarda aspetti amministrativi – assistenza nell'accesso ai bandi – e meno di accompagnamento nell'analisi e realizzazione dei bisogni progettuali di digital transformation.

L'altro elemento meno positivo riguarda il 63% delle aziende che, invece, non vedono nelle professioni giuridiche ed economiche l'interlocutore per accompagnarle in un percorso di cambiamento culturale e gestionale.

Alle circa 220mila PMI si possono anche aggiungere i 4,5 milioni di microimprese: un mercato enorme a cui gli studi professionali devono guardare con ottimismo ma consapevoli che alcuni paradigmi tradizionali, tipici del loro agire, devono essere messi in discussione, pena l'impossibilità di trasmettere realmente una nuova cultura alle imprese, quella che può fare realmente la differenza sul fronte della competitività richiesta dal PNRR.

* di Claudio Rorato, Responsabile Scientifico e Direttore Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale della School of Management del Politecnico di Milano

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