Profili di responsabilità in capo agli istituti bancari per l'erogazione dei finanziamenti da Covid-19
Nell'ottica di tamponare l'emorragia di liquidità derivante dall'emergenza Coronavirus garantendo la continuità aziendale delle imprese colpite, il Governo italiano ha varato numerose misure normative.
Tra queste, il decreto-legge n. 23/2020 (1) pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 8.4.2020, ha previsto una cospicua erogazione di liquidità sotto forma di finanziamenti da parte delle banche.
La peculiarità di tali finanziamenti consiste nella loro garanzia statale mediante il ricorso al Fondo di Garanzia per le piccole medie imprese (P.M.I.) ed alla S.A.C.E. S.p.A. per le imprese di grandi dimensioni. Di particolare interesse è la garanzia, pari al 100% del finanziamento, per le P.M.I. di minori dimensioni, le quali possono richiedere importi fino al 25% dei ricavi 2019 e con una soglia massima di 25.000 euro.
Differenti e più articolati scaglioni sono previsti tanto per gli importi massimi dei finanziamenti, quanto per le relative percentuali garantite, con riguardo alle imprese di dimensioni più ampie. Ebbene, in caso di insolvenza ed escussione della garanzia statale da parte dell'istituto di credito, il Fondo di Garanzia o S.A.C.E. S.p.A. vengono surrogati ex lege, ai sensi dell'art. 1203 c.c., nel diritto di credito della banca. Ciò, a mente dell'art. 8-bis co. 3 decreto-legge 3/2015 (2), dovrebbe comportare la trasformazione del credito della banca, di natura chirografaria, in credito privilegiato del Fondo.
Il condizionale è d'obbligo perché, sebbene la giurisprudenza di legittimità si sia espressa nei termini descritti (3) , altrettanto non si può dire per le corti di merito che, per contro, tendono ad escludere la trasformazione in parola alla luce del dettato normativo dell'art. 2745 c.c., secondo il quale "il privilegio è accordato dalla legge in considerazione della causa del credito" e, pertanto, non in ragione della natura del soggetto creditore.
Il lettore più attento si sarà già avveduto del punctum dolens sotteso alla presente trattazione: la configurabilità di una responsabilità penale in capo ai soggetti indicati dalla legge fallimentare ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 216 co. 3 legge fallimentare (bancarotta fraudolenta di tipo preferenziale).
Si pensi ad un'impresa che già versava in uno stato di decozione prima dell'avvento del contagio pandemico e che, al netto di tale circostanza, richieda ed ottenga i finanziamenti del decreto-legge n. 23/2020.
Qualora detta impresa non dovesse riuscire a risollevare le proprie sorti e precipitasse in un irreversibile stato di dissesto finanziario, in caso di susseguente dichiarazione di fallimento si verrebbe a concretizzare una lesione della par condicio creditorum prevista dall'art. 2741 c.c. Il creditore statale, invero, vanterebbe un credito privilegiato che è divenuto tale proprio in ragione della richiesta di finanziamento, della successiva escussione della garanzia statale e della conseguente surrogazione nel credito precedentemente vantato dalla banca.
Se a prevalere sarà l'interpretazione pretoria fornita dalla Suprema Corte, è senz'altro prevedibile che l'imprenditore che agisca come testé descritto possa essere indagato per l'ipotesi di bancarotta di tipo preferenziale. Ma non solo.
A ben vedere, non può nemmeno escludersi che il medesimo imprenditore possa essere altresì chiamato a rispondere della diversa ipotesi delittuosa di bancarotta semplice ex art. 217 legge fallimentare. In particolare, le ipotesi descritte dal citato articolo e che potrebbero ricadere nella fattispecie in esame sono quelle di cui ai numeri 3 e 4: vale a dire, rispettivamente, il compimento di operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento (n. 3) e l'aggravamento del proprio dissesto tramite la mancata richiesta della dichiarazione di fallimento (n. 4).
Nel contesto sinora descritto si inserisce anche la figura dell'istituto di credito che ha elargito il finanziamento. Si deve valutare attentamente, infatti, se i suoi rappresentanti legali possano essere chiamati a rispondere, ai sensi degli articoli 110 e ss. c.p., dei reati fallimentari sin qui esaminati. Il concorso dell'extraneus nel reato proprio di bancarotta è una figura ormai consolidata nel panorama giurisprudenziale che, a tal riguardo, richiede la sussistenza di specifici requisiti oggettivi e soggettivi.
Sul piano oggettivo, il concorrente esterno deve integrare una condotta che contribuisca causalmente al verificarsi del fatto di reato. (4)
Con riguardo all'elemento soggettivo, in capo al concorrente deve sussistere il semplice dolo generico, consistente nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell'intraneus e, per quanto concerne la specifica ipotesi di bancarotta preferenziale, di determinazione della preferenza nel soddisfacimento di uno dei creditori rispetto agli altri; non viene richiesta, invece, la specifica conoscenza dello stato di decozione della società (5) anche se, è bene rimarcarlo, siffatta conoscenza "può rilevare sul piano probatorio, quale indice significativo della rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi dei creditori". (6)
Svolte queste doverose premesse normative e giurisprudenziali, occorre ora domandarsi, concretamente, in quali circostanze un istituto di credito possa incorrere nella responsabilità penale in esame.
Tornando all'esempio precedentemente svolto con riguardo all'imprenditore della società che già versa, al momento della richiesta di finanziamento, in uno stato di dissesto finanziario, bisogna chiedersi con che comportamento e con che animus il rappresentante dell'istituto di credito possa rischiare la propria incolpazione.
Sul piano oggettivo, con riguardo alla bancarotta semplice, è indubbio che l'erogazione del prestito integri di per sé una condotta di ausilio a quella tipica descritta dall'art. 217 legge fallimentare.
Per l'ipotesi aggravata di bancarotta preferenziale, la condotta deve invece consistere in una induzione o agevolazione ad usufruire dei finanziamenti in discussione.
È bene evidenziare, tuttavia, che non può escludersi, quantomeno sul piano dell'incolpazione da parte della Procura, una configurazione della condotta concorrenziale sulla base della semplice elargizione del finanziamento come avviene per l'ipotesi meno grave di bancarotta semplice. A parere di chi scrive, ciò che deve essere maggiormente indagato è piuttosto il profilo soggettivo dei rappresentanti dell'istituto finanziatore.
Deve sussistere, in particolare, la consapevolezza e la volontarietà di realizzare un comportamento causalmente orientato a ritardare il fallimento e/o ad aggravare il dissesto della società tramite la mancata richiesta della dichiarazione di fallimento (elemento soggettivo per la bancarotta semplice) oppure a determinare la preferenza nel soddisfacimento di uno dei creditori rispetto agli altri (elemento soggettivo per la bancarotta preferenziale).
Il comportamento che dovrebbe condurre ad escludere l'elemento soggettivo in capo ai rappresentanti delle banche è l'implementazione di un'attività istruttoria adeguata ed approfondita sulla situazione patrimoniale del soggetto richiedente il finanziamento. Se è innegabile, invero, che da una semplice lettura del dettato normativo del decreto legge n. 23/2020, sembrerebbe che agli istituti di credito sia imposta l'elargizione dei finanziamenti "a semplice richiesta" delle imprese che rivestono i requisiti ivi specificati, è altrettanto pacifico che il "Modulo per la richiesta di garanzia su finanziamenti" pubblicato dal Ministero dello Sviluppo Economico menzioni "i dati andamentali dell'impresa provenienti dalla Centrale Rischi di Banca d'Italia" (punto n. 7) e richieda la produzione dell'ultimo bilancio depositato o dell'ultima dichiarazione fiscale presentata (punto n. 15).
Alla luce di ciò, da una lettura sistematica della normativa di riferimento, sembra di potersi affermare che agli istituti di credito venga comunque imposta un'attività istruttoria. Questa, tornando al caso esemplificativo sin qui esaminato, dovrebbe costituire la cartina tornasole per escludere la penale responsabilità dell'istituto finanziatore.
In assenza della prova di un'indagine istruttoria sulla situazione economico finanziaria del soggetto richiedente, per contro, risulterà assai arduo tentare di escludere la sussistenza di una condotta agevolatrice dei reati fallimentari e la consapevolezza della stessa in capo ai rappresentanti degli istituti di credito. Peraltro, è bene rimarcare come il profilo penalistico sin qui esaminato non esaurisce le ipotesi di responsabilità in cui gli istituti in questione possono incorrere qualora non dovessero effettuare attività istruttoria preventiva all'erogazione dei finanziamenti. L'erogazione del credito ad imprese già decotte o che comunque versano in una situazione patrimoniale particolarmente disagiata, invero, può altresì comportare una ulteriore responsabilità, questa volta di diritto civile, da "concessione abusiva del credito". Siffatta responsabilità, di elaborazione pretoria e di natura aquiliana, si determina nei confronti dei terzi che, in seguito alla erogazione dei finanziamenti in parola, abbiano confidato nella solvibilità della impresa decotta e abbiano perciò intrattenuto con la stessa rapporti commerciali. (7)
Trattandosi di una responsabilità ex art. 2043 c.c., devono ricorrere i classici presupposti da questa prevista: condotta materiale, colpevolezza, danno ingiusto e nesso di causalità fra condotta e danno.
Non vi è chi non veda come un comportamento foriero di responsabilità penale così come descritta supra, possa parimenti condurre ad una parallela e concomitante implicazione sul piano civilistico nei termini appena accennati. In conclusione, in una prospettiva de iure condendo, pare non solo opportuno, bensì doveroso, un aggiustamento della disciplina normativa attualmente in vigore attraverso la previsione di uno scudo penale. Se, invero, agli istituti bancari viene richiesta un'indagine istruttoria sulla meritevolezza delle imprese in ordine alla ricezione dei finanziamenti, è altrettanto vero che ciò non è sancito in modo esplicito e, in ogni caso, l'istruttoria richiesta è semplificata. Le banche rischiano infatti di trovarsi fra "due fuochi".
Da un lato il dettato normativo, letto insieme ai proclami politici che ne hanno accompagnato l'emanazione, tende ad agevolare e a consigliare la richiesta dei finanziamenti in esame suggerendo alle banche di non fare ostruzionismo in tal senso.
Dall'altro, tuttavia, gli istituti di credito si trovano a dover comunque subordinare tale erogazione alla ampiamente menzionata istruttoria per non rischiare di incorrere nelle responsabilità penali e civili descritte. Ecco che in un contesto così configurato, una rivisitazione del tessuto normativo attraverso la previsione esplicita di uno scudo penale sembrerebbe compendiare al meglio le due esigenze appena tratteggiate. A tal uopo, è opinione di chi scrive che una soluzione di buon senso consisterebbe nella previsione di una causa di esenzione dalla punibilità sulla scorta di quella già disciplinata dall'art. 217-bis della legge fallimentare per i pagamenti e le operazioni compiute in esecuzione di un concordato preventivo o in conseguenza dell'accesso a finanziamenti funzionali alla prosecuzione dell'esercizio d'impresa.
Fino a quando non vi sarà un intervento del legislatore, il consiglio per gli istituti di credito è quello già ampiamente analizzato: l'effettuazione di un'attenta istruttoria in ordine alla situazione patrimoniale di ogni impresa che richiede di accedere ai finanziamenti di cui al decreto-legge 23/2020 sembra essere l'unica via per "dormire sonni tranquilli". Il contenuto di tale indagine deve quantomeno prevedere la richiesta della produzione del bilancio dell'ultimo esercizio commerciale e la dichiarazione espressa, da parte dell'impresa, dell'assenza di una sua segnalazione alla Centrale Rischi d'Intermediazione Finanziaria.
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(1) Si leggano, per una disamina più approfondita, gli articoli 1 e 13 del decreto-legge n. 23/2020.
(2) "3. Il diritto alla restituzione, nei confronti del beneficiario finale e dei terzi prestatori di garanzie, delle somme liquidate a titolo di perdite dal Fondo di garanzia di cui all'articolo 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, costituisce credito privilegiato e prevale su ogni altro diritto di prelazione, da qualsiasi causa derivante, ad eccezione del privilegio per spese di giustizia e di quelli previsti dall'articolo 2751-bis del codice civile, fatti salvi i precedenti diritti di prelazione spettanti a terzi. La costituzione e l'efficacia del privilegio non sono subordinate al consenso delle parti. Al recupero del predetto credito si procede mediante iscrizione a ruolo, ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, e successive modificazioni."
(3) Così Cass. Civ., Sez. I, Sentenza n. 2664 del 30.1.2019 che si esprime proprio con riguardo ad un credito in capo a Sace S.p.A.
(4) Si legga, ex multis, Cass. Pen., Sez. V, Sentenza n. 37194 dell'11.07.2019.
(5)Cfr. Cass. Pen., Sez. V, Sentenza n. 27141 del 27.3.2018 e Cass. Pen., Sez. V, Sentenza n. 16983 del 5.3.2014.
(6) Così Cass. Pen., Sez. V, Sentenza n. 38731 del 17.5.2017
(7) Cass. Civ., Sez. I, Sentenza n. 11695 del 14.5.2018.