Profili di responsabilità penale in capo agli istituti bancari per l'erogazione dei finanziamenti da Covid-19, in seguito all'emanazione della legge di conversione n. 40/2020 - PARTE II
La presente trattazione costituisce il seguito di un precedente articolo pubblicato su questa testata in data 15 maggio 2020
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La spinta a ritornare sulla medesima tematica è giunta dalla recente implementazione di correttivi legislativi che, si anticipa, così come concepiti si sono rivelati inadeguati a superare le perplessità e le inadeguatezze palesate dalla normativa emergenziale.
Peraltro che la materia fosse, per ovvie ragioni, "fluida" e in continuo divenire, era cosa nota. Gli scriventi, all'epoca, rimarcavano i profili problematici che la legislazione di emergenza aveva generato con riguardo ai rischi civilistici e, soprattutto, penalistici, cui sarebbero andati incontro gli istituti di credito nell'erogare i finanziamenti previsti con il decreto legge n. 23/2020 al fine di tamponare l'emorragia di liquidità che l'emergenza da Coronavirus aveva creato. In particolare, il campo di indagine veniva circoscritto allo spettro di una potenziale incriminazione, in capo ai rappresentanti delle banche, per concorso dell'extraneus nei reati propri di bancarotta semplice e bancarotta fraudolenta.
Rinviando allo scritto in parola per una più completa disamina della questione, nella presente sede è doveroso brevemente ripercorrere i punti nodali della stessa. Ciò, come si avrà modo di specificare infra, in ragione del fatto che i profili ivi considerati ed approfonditi sono ancora di estrema attualità nonostante i citati interventi interpretativi/riformatori. A tal riguardo, si fa particolare riferimento all'introduzione nel d.l. 23/2020, con la legge di conversione n. 40/2020, dell'art. 1-bis ("Dichiarazione sostitutiva per le richieste di nuovi finanziamenti"), a mente del quale "Le richieste di nuovi finanziamenti effettuati ai sensi dell'articolo 1 devono essere integrate da una dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà" nel quale il titolare o il legale rappresentante dell'impresa sono chiamati ad indicare il possesso di alcuni specifici requisiti.
Ma facciamo un passo indietro.
Come si ebbe modo di chiarire, la previsione di una cospicua erogazione di liquidità sotto forma di finanziamenti da parte delle banche prevista dal d.l. 23/2020, comportava che in caso di insolvenza dell'impresa e successiva escussione della garanzia statale da parte dell'istituto di credito, il Fondo di Garanzia o S.A.C.E. venissero surrogati ex art. 1203 c.c. nel diritto di credito della banca ai sensi dell'art. 8-bis co. 3 d.l. n. 3/2015.
In tal modo il credito della di natura chirografaria della banca si trasformava in credito privilegiato del Fondo. Ecco che a tal guisa, in capo ai soggetti indicati dalla legge fallimentare, sorgeva il rischio di configurabilità di una responsabilità penale per bancarotta fraudolenta di tipo preferenziale ex art. 216 co. 3 l.f., nonché per bancarotta semplice ex art. 217 numeri 3 e 4 l.f..
Come ultima conseguenza, per ciò che interessa prettamente la materia in esame e dunque la figura degli istituti di credito che hanno provveduto ad elargire il finanziamento, sorgeva il rischio che i rappresentanti di questi potessero essere chiamati a rispondere, ai sensi degli articoli 110 e ss. c.p., degli anzidetti reati fallimentari.
Il concorso dell'extraneus nei reati propri fallimentari si sarebbe atteggiato alla stregua di una condotta di ausilio a quella tipica descritta dall'art. 217 l.f., oppure nella induzione o agevolazione ad usufruire dei finanziamenti in discussione (art. 216 l.f.).
Sul piano soggettivo, rispettivamente, doveva indagarsi la presenza o meno di consapevolezza e volontarietà di realizzare un comportamento causalmente orientato a ritardare il fallimento e/o ad aggravare il dissesto della società tramite la mancata richiesta della dichiarazione di fallimento, oppure a determinare la preferenza nel soddisfacimento di uno dei creditori rispetto agli altri.
Ebbene, chi scrive concludeva la propria indagine asserendo che l'esclusione dell'elemento soggettivo in capo ai rappresentanti delle banche potesse concretarsi solo attraverso l'implementazione di un'attività istruttoria di tipo semplificato avente ad oggetto la situazione patrimoniale del soggetto richiedente il finanziamento.
Se, infatti, dal dettato normativo del decreto legge n. 23/2020 sembrava che agli istituti di credito fosse imposta l'elargizione dei finanziamenti "a semplice richiesta" delle imprese, non poteva non prendersi in considerazione che il "Modulo per la richiesta di garanzia su finanziamenti" pubblicato dal Ministero dello Sviluppo Economico menzionasse "i dati andamentali dell'impresa provenienti dalla Centrale Rischi di Banca d'Italia" (punto n. 7) richiedendo altresì la produzione dell'ultimo bilancio depositato o dell'ultima dichiarazione fiscale presentata (punto n. 15).Attraverso una lettura sistematica, veniva consigliata alle banche l'effettuazione di una attività istruttoria di natura semplificata, e dunque da distinguersi rispetto all'istruttoria tradizionale che gli istituti di credito sono chiamati ad effettuare a fronte di una richiesta di finanziamento al netto dell'emergenza sanitaria da Coronavirus.
In assenza della prova di un'indagine istruttoria, seppur semplificata, vertente sulla richiesta dei due menzionati aspetti documentali sulla situazione economico finanziaria del soggetto richiedente, sarebbe infatti risultato assai arduo escludere la sussistenza di una condotta agevolatrice dei reati fallimentari.
Lo studio veniva concluso da chi scrive in una doppia ottica. Da un lato, in una prospettiva de iure condendo, si suggeriva una rivisitazione della disciplina normativa attraverso la previsione di uno scudo penale che prendesse come prototipo quanto previsto dall'art. 217-bis l.f. Dall'altro, de iure condito, si ribadiva l'opportunità di effettuare la già descritta istruttoria di tipo semplificato.
Ebbene, muovendo al punto centrale della disamina odierna, alla luce dell'accennata riforma normativa, ci si deve domandare se l'introduzione dell'imposizione, in capo alle banche, di ottenere dai richiedenti il finanziamento un'autodichiarazione possa integrare o meno l'esclusione della sussistenza dell'elemento soggettivo di concorso sopra descritto in capo all'istituto di credito.
La risposta a tale quesito, come preannunciato, è purtroppo negativa. L'autodichiarazione prevista dal neo introdotto art. 1-bis, la cui formulazione aveva proprio la finalità di sgomberare il campo dai dubbi e dalle perplessità interpretative appena descritte con riguardo al d.l. 23/2020 ed agevolare le banche nell'erogazione dei finanziamenti da Covid-19, non ha minimamente portato ai risultati sperati. L'obbligo di autodichiarazione, invero, riguarda elementi del tutto inidonei ad escludere la consapevolezza, in capo all'istituto di credito, di realizzare un comportamento causalmente orientato a ritardare il fallimento e/o ad aggravare il dissesto della società, né di determinare la preferenza nel soddisfacimento di uno dei creditori rispetto agli altri.
Questi è invero tenuto a dichiarare, in sintesi, quanto segue:
1) che la propria attività d'impresa è stata limitata o interrotta dall'emergenza epidemiologica da COVID-19;
2) che il finanziamento coperto dalla garanzia viene richiesto per sostenere costi del personale, investimenti o capitale circolante impiegati in stabilimenti produttivi e attività imprenditoriali che sono localizzati in Italia;
3) che i finanziamenti saranno accreditati esclusivamente su un conto corrente dedicato; 4) che i soggetti qualificati dell'impresa non si trovano nelle condizioni ostative previste dall'articolo 67 del d.lgs. 159/2011 e che nei loro confronti non è intervenuta condanna definitiva, negli ultimi cinque anni, per reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell'evasione fiscale.
Siffatte affermazioni, a ben vedere, riguardano lo stato di difficoltà in cui versa l'azienda, un vincolo di spendita dei finanziamenti al riassestamento di tale difficoltà e l'assenza di condizioni ostative che derivano da profili di responsabilità penale in capo ai soggetti qualificati. Ebbene, se da un lato la autodichiarazione in questione amplia l'ambito di conoscenze preliminari in capo agli istituti finanziatori, essa non inerisce ad aspetti che possano portare ad escludere il rischio penale sin qui esaminato.
In altre parole, fare affidamento a quanto dichiarato nell'autodichiarazione può agevolare l'istituto a difendere la "bontà" del proprio finanziamento in relazione alla finalità dello stesso di coprire l'emorragia di liquidità derivante dall'emergenza sanitaria, ma non può in alcun modo mandarlo esente da un eventuale accusa di correità qualora si configurassero le due ipotesi di reati fallimentari già menzionate, giacché nulla di quanto ivi contenuto fa riferimento alla situazione patrimoniale della società richiedente il finanziamento.
Or dunque, si può affermare senza alcun timore di essere smentiti che le problematiche di natura pratica già evidenziate nel primo articolo redatto dagli scriventi non sono state minimamente cancellate, né in alcun modo ridimensionate, dall'intervento legislativo avvenuto in sede di conversione del decreto legge n. 23/2020.
Ad oggi, infatti, una banca che voglia evitare ogni qualsivoglia rischio di concorrere in reati di natura fallimentare non potrà limitarsi a ricevere l'autodichiarazione di cui all'art. 1-bis richiamato, ma dovrà continuare ad operare quell'indagine consistente nell'istruttoria semplificata già ampiamente descritta.
Ecco che chi scrive non può che ribadire, ancora una volta, la necessità e l'urgenza di introdurre un vero e proprio scudo penale che mandi esente gli istituti di credito da ogni rischio di addebito penale derivante dalle loro condotte. Solo in tal modo si potrà addivenire a quella tanto decantata, ahinoi solo sulla carta, erogazione di liquidità di cui oggi le imprese hanno bisogno come l'ossigeno.
Senza una norma che faccia "dormire sonni tranquilli" agli istituti di credito sotto il profilo penale, è ovvio che questi andranno assai cauti nel fornire i finanziamenti in parola. È da rimarcare, peraltro, che l'esenzione da responsabilità sin qui propugnata inerisce il solo profilo penale. L'erogazione di crediti ad imprese che versano in una situazione patrimoniale particolarmente disagiata comporta in ogni caso una ulteriore responsabilità di diritto civile denominata da "concessione abusiva del credito".
In forza di essa, i terzi che abbiano confidato nella solvibilità della impresa decotta grazie alla erogazione dei finanziamenti in parola, ed abbiano dunque proseguito nell'intrattenere con la stessa rapporti commerciali, possono citare gli istituti di credito in forza di tale istituto che rientra in un'ipotesi di responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.
Non si auspica, dunque, una moratoria tout court della responsabilità per gli istituti di credito, bensì la semplice previsione di uno scudo riguardante la responsabilità di natura penale. Si consenta, in aggiunta, una annotazione critica nei confronti del legislatore. Se, invero, la mancata previsione di uno scudo penale da parte dei decreti legge, vista la loro natura emergenziale, era anche giustificabile, altrettanto non può dirsi per la legge di conversione adottata dal parlamento.
In tale sede era infatti possibile, e pertanto doverosa, una maggiore riflessione affinché si addivenisse a valutazioni analoghe a quelle testé esposte. Lo strumento dell'autodichiarazione, oltretutto, ben si sarebbe prestato in tale ottica, qualora avesse imposto l'affermazione di elementi ulteriori rispetto a quelli previsti e qualora gli si fosse accostata una clausola di esclusione tout court della responsabilità penale degli istituti di credito. Ma tant'è.
Alla luce del quadro normativo positivo, non può che prendersi atto della realtà e ribadire che le banche dovranno continuare ad effettuare l'istruttoria semplificata già descritta, subordinando il rilascio dei prestiti, oltre alla compilazione dell'autodichiarazione di cui all'art. 1-bis citato, anche al ricevimento di ulteriore documentazione contabile che asseveri lo stato di salute finanziaria in cui versa l'azienda: il bilancio dell'ultimo esercizio commerciale e la dichiarazione espressa, da parte dell'impresa stessa, dell'assenza di una sua segnalazione alla Centrale Rischi d'Intermediazione Finanziaria (CRIFF).
In conclusione, ancora in un'ottica di riforma legislativa della materia de quo, chi scrive ritiene che l'erogazione dei finanziamenti, piuttosto che essere subordinata esclusivamente allo stato di salute finanziaria dell'impresa richiedente, dovrebbe altresì attenzionare la bontà del progetto imprenditoriale di questa. In altre parole, anche se un'azienda non dovesse godere di solide basi finanziarie, questa dovrebbe comunque essere destinataria degli aiuti finanziari in esame qualora riuscisse a sottoporre all'attenzione dell'istituto di credito un progetto imprenditoriale competitivo e valido. Un'idea siffatta si inserisce in un'ottica macroeconomica che guarda con favore ad incentivare idee e progetti imprenditoriali validi, e ciò a prescindere dalla solidità finanziaria della realtà aziendale. Certo è che una forma siffatta di "credito a progetto" non può essere in ogni caso del tutto svincolata da un'indagine sulla salute economica del soggetto richiedente. Ciò che si vuole proporre, a ben vedere, è una sorta di mitigazione di tal ultima indagine qualora il soggetto richiedente proponga idee e progetti imprenditoriali che potenzialmente possano generare un effetto economico benefico su larga scala.