Penale

Reformatio in peius, divieto anche con riferimento all'appello

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di Giovanni Negri

Nel caso in cui la sentenza d’appello sia stata annullata per ragioni diverse da quelle di tipo esclusivamente processuale, il divieto di reformatio in peius, che opera anche nel giudizio di rinvio, non va rapportato alla sentenza di primo grado, ma a quella annullata. È questo il principio di diritto affermato dalla sentenza n. 49717 della Sesta sezione penale della Cassazione, depositata ieri.

La Corte ricorda innanzitutto il principio consolidato in base al quale il divieto di reformatio in peius trova applicazione anche al giudizio di rinvio. Con la puntualizzazione però che, se la sentenza di secondo grado è stata annullata per ragioni esclusivamente processuali, il paramentro cui bisogna fare riferimento è costituito dalle decisioni contenute nella pronuncia del giudice di primo grado. In questa ipotesi infatti, sottolinea la Cassazione, non c’è stato il consolidamento di posizioni di carattere sostanziale in capo all’imputato e , pertanto, il divieto di peggioramento deve essere riferito a quanto deciso nell’ambito della sentenza di primo grado.

Tuttavia nel caso esaminato dalla Cassazione, ci si trova davanti a una sequenza di atti che non è possibile contestare sul piano della forma: il vizio che ha condotto all’annullamento della pronuncia di appello infatti è di natura sostanziale visto che ha impedito la ricostruzione dell’iter attraverso il quale il giudice è arrivato alla decisione e dunque incide sulle ragioni della deliberazione stessa.

È così accolto uno dei motivi di ricorso presentati dalla difesa di uno dei boss della ’ndrangheta in Lombardia. Dovrà cioè scontare 12 anni e non 14, cioè quanto stabilito in sede di giudizio di secondo grado dalla Corte d’appello e non la pena decisa dal tribunale in primo grado.

La Corte di cassazione, tra l’altro, in una delle prime applicazioni della riforma del processo penale dell’agosto scorso procede direttamente alla rideterminazione della pena sulla base del nuovo articolo 620 lettera l) del Codice di procedura penale.

Infatti, avverta la Cassazione nel dettaglio, «il limite derivante dalla pur immotivata riduzione di pena disposta nei confronti dell’odierno ricorrente deve ritenersi operante, onde la disposta conferma non può che essere rapportata , per ciò che attiene al trattamento sanzionatorio, alla meno gravosa pena irrogata con la sentenza della Corte d’appello di Milano annullata con la ricordata pronuncia n. 34147 del 21 aprile 2015, in tale senso potendo procedere alla rideterminazione della pena questa Corte, ai sensi dell’articolo 620 lettera l) del codice di rito».

Corte di cassazione, Sesta sezione penale sentenza 30 ottobre 2017 n. 49717

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