Penale

Ricezione di assegni falsificati, quando non scatta la ricettazione

La Cassazione, sentenza n. 37162 depositata oggi, chiarisce che la ricezione di assegni con clausola di non trasferibilità “falsificati dopo” la <i>abolitio criminis</i> non integra la ricettazione

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di Francesco Machina Grifeo

La ricezione di assegni con clausola di non trasferibilità “falsificati dopo” la abolitio criminis - effettuata con Dlgs n. 7 del 15 gennaio 2016 - non integra il reato di ricettazione perché non sussiste il delitto presupposto. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, sentenza n. 37162 depositata oggi, accogliendo il ricorso di un uomo condannato dalla Corte di appello di Roma per il reato di ricettazione di assegni non trasferibili, “falsificati in quanto clonati”.

Nel ricorso, l’imputato aveva sostenuto che non c’erano gli elementi della ricettazione “tenuto conto che all’epoca della sua consumazione - ovvero l’ottobre 2017 - la falsificazione dell’assegno non trasferibile era stata depenalizzata, sicché non sussisteva il reato presupposto”. E che il richiamo alla giurisprudenza sulla irrilevanza della depenalizzazione successiva alla consumazione del reato presupposto non era pertinente, in quanto, nel caso in esame, “non si trattava di valutare una condotta inizialmente rilevante, ma poi depenalizzata, ma di una condotta che al tempo della sua commissione non costituiva reato”.

Per la II Sezione penale il ricorso è fondato. Per integrare il delitto di ricettazione, spiega la Suprema corte, è necessario che il bene ricevuto sia provento di reato. Tornando al caso specifico, per un verso, il reato presupposto, ovvero la falsificazione degli assegni attraverso “clonazione”, risultava depenalizzato (ad opera del Dlgs n. 7 del 15 gennaio 2017); per l’altro, la ricezione degli assegni falsificati è stata consumata intorno al 23 ottobre 2017, dunque successivamente alla depenalizzazione.

In definitiva, si legge nella decisione, la condotta di falsificazione è stata posta in essere quando la stessa non costituiva più reato, a causa dell’abolitio criminis decisa dal legislatore, il che impedisce di ritenere integrato il presupposto della ricettazione.

Si tratta di una conclusione, afferma la Corte, coerente anche con la giurisprudenza secondo cui la ricettazione di un assegno bancario con clausola di non trasferibilità oggetto di falsificazione conserva rilevanza penale anche dopo la depenalizzazione del presupposto reato di falso in scrittura privata, dal momento che nella ricettazione la provenienza da delitto dell’oggetto materiale del reato è elemento definito da norma esterna alla fattispecie incriminatrice, per cui l’eventuale abrogazione di tale norma non assume rilievo ai sensi dell’art. 2 cod. pen. (e cioè della successione delle leggi penali), in quanto la rilevanza penale del fatto deve essere valutata con esclusivo riferimento al momento in cui ha avuto luogo la condotta tipica di ricezione della cosa. Tale giurisprudenza presuppone, infatti, che nel momento in cui viene consumata, la condotta che identifica il reato presupposto, costituisca reato.

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