Professione e Mercato

Salute e Giustizia. Una ricerca sulla responsabilità professionale sanitaria

di Rita Salimbeni

Ad un anno di distanza rispetto alla data prefissata nel 2020, a causa della pandemia, l'Osservatorio sui conflitti e sulla conciliazione ha presentato online, il 4 Maggio scorso, il progetto di ricerca svolto in collaborazione con l'Università di Tor Vergata, il Tribunale e l'Ordine dei Medici di Roma, dal titolo "Salute e Giustizia. Una ricerca sulla responsabilità professionale sanitaria". Il webinar, come ha ricordato in apertura il Presidente dell'Osservatorio, dott. Fabrizio Gentili, ha riavviato anche il ciclo delle Officine della Conciliazione, interrotto nel 2020, su un tema quanto mai attuale, anche in vista dei provvedimenti normativi succedutisi negli ultimi anni.

Per i saluti iniziali, è intervenuto anche il Presidente dell'OMCEO Roma, Dott. Antonio Magi, il quale ha sottolineato come questo genere di lavoro possa influenzare positivamente la modalità stessa di approccio del medico alla sua professione, anche perché, purtroppo, negli ultimi anni il rapporto fiduciario con il paziente si è interrotto e, quindi, usare l'istituto della conciliazione risulta molto utile, sia perché può evitare al medico di trovarsi per anni a difendersi in un procedimento giudiziario a suo carico, sia per snellire la giustizia e rendere effettiva la tutela dei cittadini ad essere risarciti.

A moderare e presentare la ricerca, nata dal progetto attuativo di una convenzione stipulata tra l'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata" ed il Tribunale di Roma il 31 ottobre del 2018, il dott. Francesco Oddi, magistrato, Presidente della II sez. del Tribunale Civile di Roma. Oggetto della convenzione: il monitoraggio della domanda e della relativa risposta di giustizia in tema di responsabilità sanitaria, ai fini conosciti dell'orientamento giurisprudenziale prevalente. Hanno partecipato al progetto anche altri soggetti estranei alla convenzione: dall'Ordine dei Medici di Roma all'Osservatorio sulla responsabilità medica, all'Osservatorio sulla giustizia civile istituito presso il Tribunale di Roma, che ha anche seguito il tema della predittività, cioè della conoscibilità della giurisprudenza capitolina, in funzione poi delle scelte di tutela dei diritti da assicurare ai cittadini.

La formazione di questo gruppo di studio, appositamente istituito, ha lavorato sulla giurisprudenza del Tribunale di Roma in tema di responsabilità medica, dapprima nel triennio 2016-2018, estendendo poi l'ambito di ricerca anche a tutto il 2020, a causa dell'interruzione per l'emergenza Covid. La ricerca non ha potuto prendere in considerazione decisioni nelle quali è stata applicata la legge Gelli-Bianco, perché ancora non ce ne sono, in considerazione del fatto che si tratta di legge entrata in vigore nel 2017. Sino al 2020, infatti, si sono avuti solo i procedimenti di accertamento tecnico preventivo, che precedono il merito della controversia. Ciò nonostante, la ricerca è importante, perché prende in considerazione gli orientamenti del più grande Tribunale italiano e rappresenta un unicum nel panorama nazionale. Sotto la guida del Prof. Marsella, ordinario dell'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", e con il coordinamento del magistrato Alberto Cisterna, che ha curato l'estrazione dei dati, due ricercatori hanno condotto l'indagine da cui è emerso il dato rilevante di 225 pronunce l'anno del Tribunale di Roma in tema di responsabilità medica, un dato che fa riflettere sull'entità della materia, tanto da esistere una sezione apposita, nel Tribunale, che se ne occupa. La ricerca è stata presentata a blocchi dai due ricercatori, il dott. Michele Treglia e l'Avv. Jacopo Giammatteo, con il coinvolgimento per ognuno di essi di 3 discussants autorevoli.

A trattare la prima parte, sui criteri e l'ambito di ricerca, è intervenuto il dott. Treglia, medico legale: tramite l'applicativo informatico della XIII sez. Tribunale Roma e l'uso di parole chiave come "responsabilità medica", sono state scandagliate tutte le sentenze tra Gennaio 2016 e Dicembre 2020, con un risultato di 1190 sentenze in totale, anonimizzate, cioè private di ogni riferimento a dati sensibili in esse contenuti, da cui sono state espunte circa 70 pronunce non pertinenti (veterinaria, RCA, etc.), mentre sulle restanti 1117 è stata poi avviata l'analisi con griglia. In particolare, sono stati considerati diversi aspetti della sentenza, come la branca di appartenenza, la qualità delle parti in causa, l'anno di iscrizione a ruolo e quello di pubblicazione, la consulenza tecnica effettuata e quella recepita in sentenza, il tipo di danno ed il tipo di risarcimento richiesto e poi liquidato. Un primo dato importante è l'iscrizione a ruolo delle cause: dall'analisi delle tempistiche è emerso che il valore medio tra l'inizio della causa e la pubblicazione della sentenza è di 4,9 anni; ulteriore dato è l'intervallo di tempo medio tra l'evento contestato e l'inizio della causa vera e propria: trascorrono in media 5 anni.

Il dott. Oddi ha quindi precisato che la ricerca, da considerarsi solo un primo passo necessariamente aperto ad ulteriori approfondimenti, si è concentrata su tre grandi aree: i dati relativi ai soggetti convenuti, strutture sanitarie e persone fisiche; l'area della CTU, cioè come la consulenza può aver contribuito alla decisione del giudice; infine, quali domande sono state formulate e accolte, le spese processuali, con particolare attenzione alla tematica del consenso informato. Sul primo aspetto, ciò che rileva in particolar modo, è comprendere se e quali variazioni potranno essere apportate, dalla riforma introdotta dalla legge Gelli, sulla individuazione dei soggetti legittimati passivi.

Ad esporre il blocco della prima area, l'Avv. Jacopo Giammatteo: "nell'88% dei casi analizzati la struttura sanitaria è stata convenuta, mentre per il restante 12% non è stato così. Nel 46% dei casi, invece, il professionista medico non è stato coinvolto nel procedimento. Successivamente, abbiamo suddiviso la ricerca per anno: nel 2020, ad esempio, vi sono 171 sentenze che riportano la presenza di almeno una struttura sanitaria in giudizio con 94 condanne, così abbiamo fatto nell'analisi dei casi relativi ai medici: partendo dal 2016, su 115 sentenze con almeno un sanitario convenuto, 26 sono le sentenze di condanna. Poi abbiamo analizzato il tipo di struttura sanitaria coinvolta. Nel 32% la struttura convenuta è privata mentre il restante 44% è pubblica. Nel 4% dei casi le strutture sono miste, sia pubbliche che private, nel 5% vi sono più strutture pubbliche citate e nel 3% più strutture private citate. Rimangono, infine 137 sentenze che non hanno visto la partecipazione di strutture sanitarie. Abbiamo poi analizzato le branche coinvolte: la prima riguarda l'odontoiatria, seguita dalla medicina estetica, l'oculistica e l'ortopedia. In particolare, nel primo ambito, ad esempio, nel 71% dei casi la domanda attorea è risultata accolta dal giudice".

Ad aprire la prima tavola rotonda di commenti, il dott. Alberto Cisterna, Presidente della XIII Sezione del Tribunale di Roma: "la ricerca riguarda uno spaccato molto interessante, quello antecedente e a cavallo della riforma della Legge Gelli. Non si può trascurare un dato: questo sistema normativo sta creando sia un problema di responsabilità per le strutture pubbliche, con relativi accantonamenti finanziari per far fronte ad eventuali obblighi risarcitori nel tempo, sia la difficoltà, per le strutture private, di evocare nel giudizio di rivalsa il professionista che non soltanto impedisce loro di avere il medico a latere nella controversia, ma soprattutto blocca l'attivazione di polizze assicurative che quest'ultimo ha stipulato per suo conto, e questo costituisce un grosso impedimento nella risoluzione conciliativa delle controversie".

Subito dopo, il Prof. Luigi Tonino Marsella, ordinario dell'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata": "Purtroppo, la serenità con cui il medico dovrebbe esercitare il suo lavoro, negli ultimi anni è stata fortemente compromessa. Grazie alla lungimiranza con cui il Tribunale di Roma ha sempre trattato il tema, il nuovo impulso dato dalla ricerca ha seguito e confermato un intendimento normativo storico, che dovrà necessariamente proseguire. Non dimentichiamo anche che con il Dl Lorenzin sono entrate nel panorama dell'assistenza sanitaria ben 28 categorie di professioni esercenti la professione sanitaria, non sussistendo più la distinzione tra esercenti principali ed ausiliari".

A chiudere questa prima parte di commenti, l'Avv. Guido Locasciulli, consulente dell'OMCEO Roma ed esperto della materia: "l'analisi effettuata fa emergere in ambito processuale l'elevata litigiosità di un sistema imperniato ormai sulla cosiddetta medicina difensiva, peraltro in un ambito politico-economico di commissariamento della sanità regionale. Rileva, quindi, non più solo l'operato del medico, ma anche le diverse carenze strutturali emergenti: più azioni legali avviate, più condanne, questo è il dato. È evidente, poi, che le strutture pubbliche rimangono il primo contraddittore. Preminente risulta, però, anche il protagonismo delle strutture private, riservandosi un terzo dei casi. Una ulteriore riflessione particolare riguarda, infine, i casi in cui la struttura, pubblica, deve rispondere del danno causato, mentre il medico non risulta coinvolto, più che altro per un discorso di responsabilità erariale".

Il Presidente Oddi ha proseguito, presentando la seconda parte della ricerca, i dati relativi allo svolgimento delle consulenze tecniche d'ufficio, anche questo aspetto coinvolto nella normativa di riforma e collegato al progetto ORME del 2007 a cura dell'Osservatorio sulla responsabilità medica.

È di nuovo il dott. Treglia a presentare i dati: "nel 93% delle cause considerate, il giudice ha disposto la CTU. Dalla successiva analisi della condivisione della Ctu, poi, è emerso che nella maggior parte dei casi, il giudice condivide quanto stabilito dal consulente, rimanendo invece minimali i casi in cui lo condivide parzialmente o lo disattende. In ambito di responsabilità, in poco più della metà dei casi vi è stato un riconoscimento di essa in capo alla struttura sanitaria o al professionista, mentre residua un 2% di casi in cui il procedimento non è proprio arrivato a definizione, perché magari nel frattempo è sopraggiunto un accordo stragiudiziale tra le parti. Per le branche, invece, nel settore dell'ortopedia, odontoiatria, ginecologia, chirurgia estetica e generale, diverse sono state le condanne registrate, con una percentuale di soccombenza che oscilla tra il 50% ed il 70%, considerato poi che tutte insieme queste cinque branche costituiscono circa il 60% del contenzioso in materia sanitaria".

A ripartire con la fase dei commenti, il Dott. Cisterna: "ci sono due aspetti da puntualizzare: come mai la forbice di dissenso tra CTU e giudice sia andata sempre più restringendosi e a cosa è dovuta la concentrazione delle sentenze di condanna nelle 5 aree mediche citate. Sul primo punto, bisogna sottolineare che accanto al medico legale c'è tutto un gruppo di specialisti che tendono a fornire rassicurazione al giudice nel decidere secondo quanto stabilito in consulenza tecnica, senza considerare anche tutti gli interventi di rinnovazione di consulenza, che tendono a consolidarne il risultato. Certo è, che qui può trovare spazio la conciliazione, uno strumento che le parti dovrebbero utilizzare, a maggior ragione in questo momento, in cui il dato tecnico-scientifico è consolidato e, quindi, l'orientamento del giudice è abbastanza prevedibile. Per quanto riguarda, invece, il secondo punto, ci sono settori storicamente più esposti, dove l'apporto e la selezione di consulenti tecnici altamente qualificati è fondamentale e dove si pone il tema delicato della prova scientifica e del rapporto che il giudice ha con essa se fiduciario o, come dovrebbe essere, profondamente valutativo".

A seguire, il Prof. Marsella: "la CTU determina la decisione del giudicante, non vi è dubbio. C'è da dire che però la ricerca si staglia su un periodo a cavallo della riforma della Legge Gelli - Bianco, dal 2016 in poi. Nel frattempo, il Tribunale di Roma ha svolto una politica lungimirante di selezione dei consulenti. Circa 7 anni fa, l'Ordine dei Medici partecipò ad un'attività di questo tipo con il Tribunale, contando all'epoca più di 5460 consulenti iscritti, di cui peraltro solo un buon 20% operava pienamente, mentre il restante 80% lavorava pochissimo. All'esito del filtro, rimasero non più di 2400 posizioni attive. Occorre continuare su questa strada e selezionare sempre di più, investendo sulla collegialità della consulenza e sulla specificità della materia in causa, tenendo conto non solo delle competenze ma, anche e soprattutto, delle esperienze maturate dai consulenti tecnici, anche perché le branche maggiormente coinvolte sono quelle della medicina invasiva, quindi non si può più affidare un compito così delicato a persone poco adatte".

A chiudere quest'altra parte, sempre l'Avv. Locasciulli: "va senz'altro compiuta una riflessione anche a livello ordinistico, per garantire la formazione di personale consulente competente a cui può attingere il soggetto giudicante, nonché per sugellare la specialità e la collegialità richiesta al già richiamato art. 15 della legge Gelli. Si pone, inoltre, sempre più l'esigenza di avere albi dedicati di professionalità sanitarie diverse dai medici-legali e con cui questi dovranno poi confrontarsi. Per le tipologie coinvolte, invece, bisogna fare una riflessione sulla novellazione che il paradigma normativo odierno ha subìto, per poter conferire al collegio peritale anche una funzione conciliativa, sempre più necessaria, che il legislatore caldeggia e che i tribunali accolgono molto volentieri".

L'ultimo blocco di slide della ricerca è relativo alla domanda risarcitoria e all'esito del giudizio, oltre alla misura in cui vengono liquidati i danni. A livello ministeriale, ha riferito il dott. Oddi, si stanno elaborando gli schemi per stabilire con apposito provvedimento i criteri di liquidazione del danno su base nazionale, superando le differenze tra le vecchie tabelle di Roma e Milano sulle cosiddette macro-permanenti.

Ad esporre, questa volta, l'Avv. Giammatteo: "si è proceduto suddividendo il danno contestato in due macroaree, danno da lesioni e da decesso, oltre ad aver considerato il danno da consenso informato. Su 1117 casi, la prevalenza la ottiene la richiesta di danni da lesioni, in più di 600 sentenze, mentre quella di danni da decesso rappresenta appena un terzo di queste ultime. Abbiamo, poi, analizzato quante volte nelle sentenze è stato affrontato il danno da consenso e in più del 70% dei casi non è neppure richiesto. Il range economico entro cui il consenso viene risarcito ha un'entità media di circa 10mila euro, mentre la cifra complessivamente risarcita per danni in generale, supera i 130 milioni di euro al netto degli interessi di mora, etc., con un risarcimento medio liquidato di più di 220mila euro a fronte di una richiesta, da parte dei proponenti causa, in media di quasi 600mila euro. Dall'analisi della condanna e compensazione delle spese in caso di rigetto della domanda attorea, è emerso che nel 44% dei casi c'è compensazione, mentre la restante percentuale è di condanna alle spese, con una media di quasi 10mila euro".

A riprendere per primo la parte dei commenti, sempre il Dott. Cisterna: "si tratta di un territorio molto delicato perché tutte le conoscenze medico-legali vengono riversate nel processo e poi sfociano in una valutazione che inizialmente sembra adeguata ma che alla fine, visti i dati medi resi noti, non vengono sostanzialmente accolti se non per la metà delle richieste. Anche qui, vista la sede che è l'Osservatorio sulla conciliazione, mi sembra un dato di grande trasparenza della macchina giudiziaria, un punto d'orgoglio, per il Tribunale di Roma, esporre pubblicamente i dati della ricerca e contestualmente discuterne e valutare anche la congruità delle scelte fatte. Detto ciò, accanto ai danni da lesioni e da decesso, si pone anche la necessità di un correttivo della ricerca, o meglio, di aggiungere il problema della perdita di chances, sia in via principale che vicaria. Bisognerà, dunque, sia identificare la nozione di "perdita di chances", e qui chiediamo il contributo accademico, sia studiare criteri di liquidazione affidabili, rapportati all'evento risarcito, soprattutto alla luce della sentenza della Cassazione del Novembre 2019".

A seguire, il Prof. Marsella: "la perdita di chances è un argomento assolutamente da affrontare, in una perfetta coniugazione tra la scienza medica e giuridica, andando avanti sulle sfide future relative alla monetizzazione del danno. Nel commento dei dati, invece, meraviglia che ci siano cause in cui ancora viene coinvolto il consenso. Medici e sanitari ancora non hanno contezza di ciò che è stato stabilito per legge, codificando peraltro un orientamento giurisprudenziale storico, per cui il consenso deve essere raccolto e sottoscritto. Ancora abbiamo danno da consenso informato, pur avendo la Cassazione messo un punto fermo sulla questione, riconoscendo all'omissione di consenso informato un'astratta capacità plurioffensiva, come lesione del diritto alla salute ma anche all'autodeterminazione. Quando il legislatore dice che il tempo della comunicazione è tempo di cura al paziente, una riflessione è d'obbligo: quanto tempo ci vuole per instaurare una relazione fiduciaria medico-paziente con un'idonea capacità informativa e poi di seguito espletare quella prestazione sanitaria?". La tendenza a procedimentalizzare tutto forse non sempre è adeguata.

A chiudere l'ultima tavola rotonda, l'Avv. Caroleo, membro del Direttivo della Camera regionale di Conciliazione del Lazio: "questa ricerca è stata una grande operazione del Tribunale di Roma ed un'opera scientifica straordinaria dell'Università di Tor Vergata e della sezione di medicina legale, che va offerta a medici, avvocati e operatori del settore. È stato fondamentale il lavoro dell'Osservatorio sui conflitti e sulla conciliazione per realizzare questo evento e la collaborazione dell'Ordine dei Medici, perché i conflitti possono trovare soluzioni conciliative e questo deve essere un contributo anche per il nuovo Ministro Cartabia, che ha già manifestato una certa apertura in tal senso. Il legislatore, dunque, deve ascoltare la voce del Tribunale e dell'Università, perché credo che la Legge Gelli andrà modificata per consentire di raggiungere il vero obiettivo della conciliazione. Sui dati esposti, invece, porrei l'accento sul discorso delle spese processuali, perché a fronte di un 50% di domande di risarcimento danni rigettate, una buona parte porta con sé anche la compensazione delle spese. È bene porsi anche dalla parte soccombente, che non solo si vede negato un preteso diritto, ma non riesce neppure a recuperare le spese sostenute, sforzandosi di capire che sia per quest'ultima, che per i suoi difensori, la consulenza tecnica possa essere un ottimo strumento di miglior difesa e di conciliazione. E qui, anche l'Ordine dei medici deve fare la sua parte, portando a compimento il lavoro di formazione specifica dei consulenti tecnici".

Sul finale, i commenti dei partecipanti hanno avviato un intenso dibattito, suscitando interessanti spunti per nuove iniziative sempre sul tema della responsabilità medica.

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