Civile

Scissione societaria, i creditori non possono chiedere la revoca

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di Giovanbattista Tona

Sull’ammissibilità dell’azione revocatoria contro l’atto di scissione di una società la giurisprudenza di merito dà risposte contrastanti mentre i giudici di legittimità non si sono ancora pronunciati.

A favore dell’inammissibilità si è di recente schierata la Corte d’appello di Roma con la decisione del 27 marzo scorso.

Con un atto negoziale una società può scindersi e costituire una nuova società, cosiddetta scissionaria, alla quale può destinate cespiti e rapporti attivi rimanendo titolare delle passività. Ma i suoi creditori potrebbero ritenersi pregiudicati. Per tutelarsi, possono però proporre un’azione revocatoria contro la scissione?

La risposta della Corte d’appello è negativa e a conforto del proprio convincimento i giudici romani richiamano anche il fatto che il nuovo Codice della crisi, nell’ambito del concordato preventivo, prevede l’opposizione come unico rimedio cui i creditori dissenzienti possono ricorrere contro le operazioni di scissione previste dal piano di concordatario .

L’inammissibilità

La sentenza della Corte d’appello di Roma prende le mosse dalla sesta direttiva Cee del 17 dicembre 1982 relativa alle scissioni delle società per azioni che impone di garantire la sicurezza giuridica nelle relazioni sia tra le società partecipanti alle scissione sia tra queste e i terzi sia fra gli azionisti.

La scissione consiste in una disarticolazione dell'impresa che rende autonomi i rami di azienda frazionando il rischio. Secondo i giudici romani, il trasferimento dei beni non può però considerarsi oggetto di autonomo e distinto negozio giuridico. Non a caso, argomentano, la riforma societaria del 2003 ha mutato il termine «trasferimento» in «assegnazione», segnalando così che la modificazione patrimoniale non deriva da un mero atto traslativo.

In passato, altre decisioni (come ad esempio quella della Corte di Appello di Catania del 19 marzo 2017 o quella del Tribunale di Bologna dell'1 aprile 2016) avevano escluso che i creditori potessero chiedere la dichiarazione di inefficacia della scissione in quanto il relativo atto ha solo natura organizzatoria e non determina di per sé un trasferimento patrimoniale.

I creditori della società scissa possono peraltro avvalersi di un rimedio specifico, cioè l’opposizione alla scissione, il cui atto, di contro, non potrebbe essere reso inefficace ex post poiché vige il principio di irretrattabilità degli effetti di essa una volta eseguita l'iscrizione al registro delle imprese in base all'articolo 2054 quater del Codice civile.

Il rimedio dell'opposizione quindi escluderebbe lo strumento revocatorio. Infine i creditori della società scissa possono rivalersi sulla società scissionaria che rimane solidalmente responsabile per i debiti della prima nei limiti del patrimonio alla seconda destinato con la scissione.

L’orientamento a favore

A conclusioni opposte sono giunte invece la sentenza del Tribunale di Pescara del 17 maggio 2017, un'ordinanza del Tribunale fallimentare di Roma del 16 agosto 2016 e una decisione del Tribunale di Venezia del 5 febbraio 2016.

Secondo questo orientamento non si potrebbe trarre dal sistema un'esplicita esclusione del rimedio generale della revocatoria rispetto agli effetti della scissione, che, pur essendo atto organizzatorio, comporta modificazioni giuridiche di elementi patrimoniali, come tali revocabili.

Si aggiunge che non vi è coincidenza tra i soggetti che possono opporsi alla scissione e i creditori che potrebbero avere interesse al rimedio della revocatoria e che della responsabilità solidale diretta si possono avvalere solo i creditori anteriori alla scissione.

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