Se il ricorso è inammissibile il giudice non può dichiarare l’improcedibilità dell’azione penale
Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 30189 deposita oggi
L’inammissibilità del ricorso osta alla rilevabilità del decorso del termine di improcedibilità previsto dalla riforma Cartabia per accelerare i tempi del processo. Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 30189 deposita oggi, dichiarando inammissibile il ricorso di un uomo condannato dalla Corte di appello di Bari, nel giugno 2022, per resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.), lesioni personali (artt. 582-585 c.p.), a seguito di un episodio in cui aveva colpito un militare per sottrarsi a un controllo e poi si era dato alla fuga.
L’imputato ha proposto tre motivi di censura. Il Procuratore generale ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio per l’intervenuta improcedibilità dell’azione penale (nel maggio 2025). Per la VI Sezione penale, tuttavia, la inammissibilità dei motivi presentati dal ricorrente osta alla dichiarazione di improcedibilità.
Per la Suprema corte, infatti, non vi sono ragioni “per non estendere anche alla c.d. prescrizione processuale” i principi, già operanti con riguardo alla c.d. “prescrizione sostanziale”, posto che l’inammissibilità impedisce a priori la corretta instaurazione del giudizio di impugnazione, “invalidando tutti gli atti in ipotesi già compiuti prima della sua declaratoria e considerato che, d’altro canto, l’improcedibilità, pur precludendo la pronuncia nel merito, presuppone un’impugnazione regolarmente proposta e, quindi, ammissibile, definendo il giudizio d’impugnazione con una decisione in rito”.
L’accertamento dell’inammissibilità dell’impugnazione, in altre parole, rende inoperante l’improcedibilità in quanto ciò che rileva non è il momento in cui l’inammissibilità è accertata, ma quello in cui essa si realizza. Dunque “la circostanza che l’inammissibilità sia dichiarata dopo il decorso dei termini di cui all’art. 344-bis cod. proc. pen. non esclude che logicamente preceda tale decorso ogni qualvolta la fase, protratta oltre i termini massimi, si sia avviata mediante un atto inammissibile”.
Del resto, l’esigenza di ragionevole durata dei processi sottesa all’istituto dell’improcedibilità non può sopravanzare la necessità di rispettare le regole sulla corretta instaurazione del rapporto processuale. In definitiva, gli unici casi nei quali, nonostante l’inammissibilità del ricorso, al giudice dell’impugnazione sia consentita una pronuncia diversa, rimangono quelli della abolitio criminis e dell’estinzione del reato per morte del reo.
La Suprema corte è poi consapevole dell’assenza di un orientamento “condiviso” da parte della dottrina ma ritiene comunque di dare continuità al filone di legittimità che conferisce natura pregiudiziale alla delibazione della inammissibilità dell’atto di impugnazione rispetto al rilievo del decorso del termine di improcedibilità dell’azione penale.
Questo perché, prosegue la decisione, soltanto l’accertata ammissibilità dell’impugnazione, per l’effetto propulsivo che la connota, investe il giudice del potere decisorio sul merito del processo. Al contrario, la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione preclude una qualsiasi pronuncia sul merito. Mentre la porzione di processo che si svolge tra il momento in cui si sollecita l’instaurazione del grado superiore di giudizio e quello in cui tale sollecitazione è dichiarata inammissibile rimane circoscritta al solo accertamento della questione processuale relativa alla sussistenza del presupposto di ammissibilità e, in difetto di questo, non riserva spazio ad altre decisioni.
L’inammissibilità dell’impugnazione, quindi, paralizza, sin dal suo insorgere, i poteri decisori del giudice, il quale non è abilitato a occuparsi del merito e a rilevare, a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., cause di non punibilità, quale l’estinzione del reato per prescrizione, sia se maturata successivamente alla sentenza impugnata sia se verificatasi in precedenza, nel corso cioè del giudizio definito con tale sentenza, destinata a rimanere immodificabile, proprio perché contrastata da una impugnazione inammissibile.
Diversamente opinando, argomenta la Cassazione, si verificherebbe una impropria “sanatoria” delle situazioni di inammissibilità e risulterebbe arbitrariamente alterato il fisiologico svolgimento dell’iter processuale.[...] Né, aggiunge la Corte, tale ricostruzione si pone in contrasto con i diritti garantiti dagli artt. 6, 55 1 e 2, e 7, 5 1, CEDU, posto che è onere della parte interessata attivare correttamente il rapporto processuale.
In conclusione, l’introduzione della c.d. “prescrizione processuale” non ha inciso sul piano sistematico sul pregiudiziale compito del giudice della impugnazione di verifica del valido accesso alla fase impugnatoria.